A proposito di felicità


felicita_2Come molte altre ragazzine per tutta la mia adolescenza ho ridotti i miei diari scolastici e ad un ammasso informe di fotografie, foglietti, citazioni e scambi epistolari (non c'erano i telefonini) fino a far loro raggiungere la dimensione di un tomo della Treccani.

Una delle frasi, che anno dopo anno, ho continuato a privilegiare come "suggerimento di vita" era questa: " non ci può essere felicità se le cose che facciamo sono diverse da quelle in cui crediamo ". Non è per negligenza, ma non posso attribuire questa frase al suo autore perché non ho idea di come e quando sia stata scritta: sicuramente in un altro tempo, in cui valori e coerenza avevano significato diverso.

 

La vita e la mia professione di counselor mi hanno, in un certo senso, sovra esposto a teorie e pratiche che avevano al centro le emozioni, positive e negative che fossero: ragionare sulla felicità, sempre che questa affermazione non sia già un ossimoro, per sostenerne la ricerca, per spiegarne i termini indispensabili, per elargire ricette più o meno efficaci, è un'attività umana, filosofica e sociale, che si perde nella notte dei tempi.

Mi è quindi difficile pensare di poter dire qualcosa di nuovo ed è con questa consapevolezza che condivido questa riflessione.

Credo che la felicità sia e debba essere qualcosa di momentaneo e di molto intenso e che quasi sempre sia attivata da avvenimenti o persone esterni a noi: penso all'innamoramento, ad un successo, alla realizzazione di un sogno, a una vincita o a una vittoria.

Proprio per questo ritengo che vada goduta, quando arriva, e poi lasciata andare a favore di uno stato ben più duraturo e interno che veramente va perseguito con una competenza emotiva che si costruisce negli anni: competenza che alcuni, più fortunati, possiedono per averne ricevuto i modelli nell'infanzia e che altri, faticosamente, sono costretti a imparare, a volte, proprio malgrado quello che hanno ricevuto da bambini.

Parlo, ovviamente, della serenità, intesa come capacità di focalizzare e amplificare le " cose buone " della vita. Al contrario della felicità, la serenità è un'operazione profondamente interna, che nasce dalla nostra percezione della realtà e che richiede un atteggiamento quotidiano di ricerca e riconoscimento della dimensione noetica della nostra vita, cioè di quale sia il senso che noi vogliamo darle.

Due esempi per spiegarmi meglio: come detto prima l' innamoramento, corrisposto, è fonte di grande felicità. Mentre diamo il meglio di noi alla persona che vogliamo conquistare, ci avviciniamo al modello di uomo o di donna che avremmo sempre desiderato essere, ci percepiamo vincenti, forti e belli e tutto ci sembra possibile.

Spesso è qui che scatta una grande trappola emotiva per noi stessi e per il partner: l'intensità e, tutto sommato, la facilità di questo stato di grazia portano a sottovalutare la difficoltà e il coinvolgimento che richiedono la costruzione dell'amore " maturo " quello, cioè, basato sul desiderio, sulla scelta e sull’ascolto dell’altro, destinato a durare e ad accompagnarci per buona parte della nostra vita adulta.

Questo esempio rende il pienamente l'idea del passaggio del dono gratuito della felicità al duro lavoro della serenità: mantenere vivo il legame di coppia, nutrire la quotidianità del rapporto, accettare la diversità dell'altro, condividere la fatica e rispondere alle richieste dell’altra persona per poter trovare (e ritrovare) appagamento nella vita a due sono vissuti che richiedono impegno, attenzione al partner e competenza emotiva, ma portano la gioia piena della consapevolezza di vivere una situazione che si è desiderato e costruito.

Allo stesso modo, nel nostro lavoro di ogni giorno la felicità serve poco o, perlomeno, è utopico pretenderla; concentrandosi, invece, sul benessere che ci possono portare gli obiettivi perseguibili, le relazioni significative, le nuove idee o, semplicemente, la stabilità o il cambiamento che affrontiamo, abbiamo molte più probabilità di trovare gratificazione e senso alla nostra attività.

Quello che noto, e non solamente tra i giovani, è che la ricerca a tutti i costi della felicità, come emozione forte e travolgente, porta fuori dalla realtà, verso l'attesa della botta di fortuna che cambia la vita, verso lo sballo di una sera, verso la ricerca di un partner che sia soprattutto qualcuno da mostrare per sentirsi invidiati, verso il possesso di status symbols precisi e facilmente riconoscibili e identificabili: in sostanza l'assunzione di una maschera sociale che copra dubbi, paure e vuoto esistenziale.

Una volta, un cliente quarantenne molto in difficoltà nella costruzione di un’autonomia sociale ed affettiva, mi disse di sentirsi “una Ferrari con il freno a mano tirato”: il percorso che insieme abbiamo compiuto, attraverso la relazione di aiuto, lo ha portato a scoprire che il problema primario non era, come veniva vissuto, il freno, cioè i blocchi emotivi che gli impedivano di essere come voleva, ma la percezione, e quindi la richiesta che faceva a se stesso, di essere sempre e soltanto una Ferrari, cioè una persona eccezionale, senza errori e compromessi e senza capacità di confrontarsi. Continuando sulla metafora, si è dato via via il permesso di essere a volte una berlina, a volte un’utilitaria o una bicicletta, e, perché no, nei momenti di crisi anche un monopattino.

Ciò che intendo è che la rincorsa esasperata al momento perfetto, alla vita senza problemi, a un rapporto senza mediazione finiscono per mettere una seria ipoteca sulla nostra autostima e, di conseguenza, sul nostro benessere.

Non ci sono strategie vincenti, bacchette magiche o interruttori da premere per assicurarsi una vita serena con punte di felicità e capacità di far fronte alle inevitabili crisi dell’esistenza, ma alcuni spunti si possono trarre dalla propria esperienza, dalla lettura, dal confronto con persone “sagge”, da piccoli percorsi personali.

Tra questi:

  • Andare alla ricerca delle nostre esigenze profonde, delle cose che ci fanno stare bene, riconoscendo anche alle persone che ci sono più vicine di poterle sperimentare per condividerle o per permettercele con un sorriso:

  • Costruire dei piccoli riti quotidiani di benessere;

  • Concentrare, ogni tanto, la nostra attenzione sugli altri meno fortunati, ai quali possiamo dare, spesso senza toglierci niente di indispensabile;

  • Prendere atto che la vita passa veloce e che le cose su cui spesso ci accaniamo non sempre sono fondamentali nell’ottica del tempo;

  • Operare una “selezione” tra le persone che ci circondano, privilegiando coloro che “risuonano” emotivamente o per interessi con noi e con i quali possiamo permetterci di essere noi stessi;

  • Riscoprire la semplicità, intesa come attenzione alle cose piccole, silenziose e pregnanti della vita;

  • Spegnere ogni tanto televisione, computer e cellulare e ascoltare il mondo e ciò che c’è dentro senza filtri che distorcono, nell’ottica di una comunicazione più autentica

Sono solo alcune, forse banali, piccole strategie che possono migliorarci la vita, poi ognuno può trovare le proprie assicurandosi, e si torna alla citazione iniziale, di non vivere cose che non sente, a prezzo della propria felicità o della propria serenità.

Potrebbero interessarti ...