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ARGOMENTO: annotazioni, pareri e scambio di conversazioni...

annotazioni, pareri e scambio di conversazioni... 11 years 9 months ago #114

  • Giancarla Mandozzi
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così ho commentato, poco fa, l'articolo di Antonio Alloggio Amedeo sul counseling scolastico, pubblicato ieri da counselingitalia:

condivido: "si tratta propriamente di non dimenticare il largo margine di aleatorietà ed incertezza che il percorso di counseling costituisce, richiedendo continuo monitoraggio e sistematica e flessibile sperimentazione" e, aggiungo, si tratta di dare priorità assoluta alla nostra (del counselor intendo, meglio se docente-counselor) autenticità e congruenza nella relazione con il giovane, per rassicurarlo (di questo ha bisogno estremo) comunicandogli la nostra serena attiva competente e totale attenzione. Solo allora il nostro comportamento e le nostre parole e/o persino le eventuali nostre inflessioni dialettali si integreranno e il giovane accetterà consapevolmente la nostra presenza, la nostra persona come quel momentaneo ed efficace sostegno che sta-va cercando.

Contando sull'opportunità di scambiarci da queste pagine opinioni e pareri, nonché sul fatto che lo stesso autore frequenti il nostro forum, vorrei meglio precisare la mia breve annotazione e aggiungerne qualche altra.
Precisazioni: la mia condivisione era riferita anche all'affermazione:
"Il counselor scolastico non è un amico del ragazzo!"

Certamente, è proprio così, per tanti motivi e soprattutto perché la relazione con il giovane studente in difficoltà IMPLICA che il counselor sia anche formatore.
Per questo, annotavo che sarebbe auspicabile che il counselor nella scuola sia docente, o almeno lo sia stato e a lungo così da sedimentare e fare proprie le abilità e le competenze che si richiedono a chi si occupa di educazione/formazione.
Nella relazione tra counselor e giovane in effetti compare un...valore aggiunto: così definirei la condizione comunque e inevitabilmente asimmetrica tra il counselor e il giovane. E tale valore aggiunto costituisce lo spessore importante di questa singolare relazione in cui è pure previsto che tra il counselor e lo speciale "cliente" si stabilisca una sorta di alleanza, di reciprocità, di collaborazione, proprio perché il "cliente" si attivi e si auto-aiuti.

Non considero al contrario rilevante, anzi contraddittorio, il fatto che il counselor si preoccupi di come presentarsi al giovane, come vestirsi, come parlare e addirittura si ponga il problema se è il caso di uniformarsi in qualche modo alla realtà dei giovani.

Cito dall'articolo:

Linguaggio contemporaneo (digital) / Tradizione: Come parlare coi ragazzi? Come esprimersi? Fino a che punto è possibile rispecchiare alcuni contenuti del loro slang ed usarli strategicamente senza apparire grotteschi ed innaturali?
Ero adolescente negli anni 80, e quando sentivamo un adulto pronunciare la parola “bestiale”, ci sentivamo imbarazzati al posto suo. Difficilmente potremo essere smentiti se dicessimo che ciò che conta è fondamentalmente la spontaneità, che pur tiene conto del possibile divario fra registri e codici verbali. Credo che l’importante sia essere semplici, forse lasciarsi scappare qualche inflessione dialettale quando serve, se è efficace, per rafforzare il concetto, creare un congruente umorismo, senza per questo dover fare i compagni di merende, assumendo cioè il rischio di essere prevaricati mentre si crede di conquistare la simpatia dei ragazzi.


Bene, l'esperienza vissuta qualche volta può persino aiutarci, a patto di "vederla" correttamente: gli atteggiamenti di quegli adulti (! se lo erano davvero) degli anni 80 erano tali da far sentire imbarazzati in quanto erano il segno di un loro disagio di fronte ai giovani, di una mancanza di scelte, di consapevole e competente orientamento su come avvicinarli e soprattutto farsi accettare.
Per rendercene conto basterebbe che ripensassimo a quelle persone, non tante in verità, che pur anagraficamente attempate, serbano dentro un fuoco di gioventù che le induce a comportarsi come ...ragazzini, nell'abbigliamento come nei modi, come nei sogni. Possiamo non essere d'accordo con loro, ma certamente avvertiamo la loro coerenza e autenticità piuttosto che ...una patina di vernice esteriore per essere accettati dagli altri.
Dunque, come può un counselor porsi il problema di come farsi accettare se non partendo da come egli è?


Cito ancora dall'articolo:
Per poterlo dimostrare non è necessario affermarlo e puntualizzarlo: se non si indossano cappellini al contrario, non ci si presenta con pantaloni da rapper o borchie da vitello sul naso è già un buon segno di distinzione generazionale. Non si tratta di essere austeri o forzatamente distanti, ma di rammentarsi che dietro tutta quella corazza di spavalderia e di ostilità al mondo degli adulti, si nasconde proprio la ricerca dell’adulto! Il giovane, oggi, ahimè, si guarda intorno e si chiede che fine abbiamo fatto!

Annoto: non si tratta di affermare una "distinzione generazionale", già sicuramente e platealmente esplicita e non si tratta neppure di "rammentarsi" che il giovane cerca l'adulto, perché la condizione di ADULTO è il nodo centrale di questa relazione: dalla ricerca dell'adulto partiamo e ad essa arriviamo. O, almeno, AUGURIAMOCELO!

Giancarla Mandozzi
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