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ARGOMENTO: Stress e Burnout a rischio insegnanti ed educatori

Stress e Burnout a rischio insegnanti ed educatori 11 years 11 months ago #99

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Dottoressa Adelaide Donzello, Pedagogista



www.giacinto.org/stress-e-burnout-a-risc...gnanti-ed-educatori/

Lo stress legato al lavoro è un rischio concreto e soprattutto deleterio per la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori. Generalmente si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di poterle affrontare e gestire. Lo studioso che ha dedicato gran parte della sua vita dedicandosi all’attività di ricerca sullo stress è Hans Selye il quale lo definiva come “una risposta aspecifica dell’organismo per ogni richiesta effettuata su di esso dall’ambiente esterno” (Selye, 1936).

E’ merito di Selye l’aver individuato tre fasi che caratterizzano la risposta modulata dall’individuo alle situazioni critiche che vengono definite con il termine “stressori”.

Il concetto di stress è articolato in tre fasi distinte:

1) fase di allarme, caratterizzata da un primo momento in cui l’individuo ha difficoltà a formulare una reazione adeguata allo “stressore”. Successivamente, l’organismo cerca di reagire agli “stressori” che possono essere fisici, biologici e psicosociali; in questa fase l’organismo chiama a raccolta tutte le sue risorse disponibili per l’azione immediata, soprattutto secernendo ormoni in grado di provocare opportuni cambiamenti in determinate funzioni organiche. In questa fase avviene un’intensa produzione di adrenalina ed un aumento del battito cardiaco.

2) fase di resistenza, durante la quale l’individuo raggiunge il livello più elevato di adattamento alla situazione stressante e di ripristino del suo iniziale equilibrio omeostatico. Tuttavia se la situazione stressante dovesse persistere ed i meccanismi di difesa non fossero più efficaci come all’inizio si passerebbe alla terza fase.

3) fase di esaurimento funzionale, durante il quale si verifica il collasso delle difese attivate da parte della persona, con pesanti ripercussioni sul piano psicofisico.

Nel 1976, Lazarus, ampliò e affinò la definizione di stress, introducendo una variabile cognitiva. Questa consiste nella valutazione, elaborata dalla persona, della situazione alla quale essa si trova esposta. Se questa valutazione porta ad un risultato negativo, la situazione è percepita e valutata come una minaccia potenziale e l’intensità dello stress viene rapportata al grado di sicurezza, posseduto dalla persona, di potervi far fronte. Se, al contrario, la valutazione porta ad un risultato positivo, che cioè è possibile fronteggiare lo “stressore” in modo efficace, lo stress si abbassa o addirittura si trasforma in uno stato di euforia.

Ogni agente stressante che colpisce un individuo può provocare due reazioni, una positiva (eustress) e una negativa (distress). E’ proprio il distress, il più pericoloso, che in determinate condizioni può sfociare in patologie psicosomatiche, anche in base alle capacità dell’individuo di trovare dentro di sè delle risorse necessarie utili ad affrontare una situazione di “emergenza”.

Quindi è lo stress intensivo e cronico che deve essere particolarmente evitato, infatti a lungo termine può causare un vero e proprio indebolimento della salute!

Tutti i nostri organi principali vengono coinvolti nel momento in cui ci imbattiamo in una situazione di distress. I cambiamenti più cospicui avvengono a livello di: cuore, circolazione ematica, polmoni, fegato, cervello, muscoli, pelle, apparato gastroenterico, organi sessuali, sistema immunitario.

Sembra che il distress prolungato favorisca la produzione di placche in grado di restringere il lume delle coronarie, frenando l’afflusso di sangue al cuore, proprio quando esso ne ha più bisogno.

Negli anni 50, due cardiologi, Friedman e Roseman, scoprirono delle correlazioni tra tipo di personalità e rischio coronarico. Secondo loro, le persone molto ambiziose, altamente competitive, poco disponibili a pazientare etc., presenterebbero un rischio coronario decisamente superiore a quello presentato da persone con stili di vita differenti.

Ma quali sono i fattori lavorativi potenzialmente distressogeni?

Fattori intrinseci al lavoro: le attività lavorative possono essere intrinsecamente gratificanti altre assolutamente inadeguate. Ne primo caso si ha l’eustress nel secondo, il distress.

Ruolo nell’organizzazione: vi sono dei luoghi di lavoro in cui non si ha chiaro il proprio ruolo ma al contrario si ha un conflitto di ruoli.

Qualità delle relazioni interpersonali nel posto di lavoro: si è verificato che le persone le quali non possono godere una buona rete di rapporti sociali tendono ad avere una vita più breve e meno felice.

Sviluppo di carriera: la possibilità di effettuare degli avanzamenti di carriera può gratificare la persona sia dal punto di vista economico che psicologico e sociale. Viceversa, in assenza di una tale prospettiva, c’è una maggiore possibilità che la persona perda dapprima la motivazione al lavoro per poi in casi estremi giungere al burnout.

Il termine inglese “burnout” può essere tradotto letteralmente in “bruciato”, “fuso” ed indica una condizione di esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e a fattori della sfera personale ed ambientale.

Dal punto di vista psicologico, il burnout è definito come “un processo nel quale lo stress si trasforma in un meccanismo di difesa e una strategia di risposta alla tensione, con conseguenti comportamenti di distacco emozionale ed evitamento“.

Il fenomeno fu studiato per la prima volta negli USA da Herbert Freudenberger che nel 1974 pubblica il primo articolo sull’argomento (“Staff burnout”, in: Journal of Social Issues) in cui denomina “burnout” un quadro sintomatologico individuato in operatori di servizi particolarmente esposti agli stress conseguenti al rapporto diretto e continuativo con una utenza disagiata. Successivamente Maslach (1976) descrive il burnout come una malattia professionale specifica degli operatori dell’aiuto, che colpisce soprattutto quelli più motivati e con aspettative maggiori riguardo al lavoro.

Occorre precisare che tutte le attività lavorative implicano contatti interpersonali e quindi anche un certo livello di tensione. Probabilmente però le professioni di aiuto rappresentano il caso più tipico di forte impegno emotivo

Il burnout è stato descritto come caratterizzato da una costellazione di sintomi che si esprimono a livello cognitivo, emotivo, comportamentale e somatico:
■demotivazione, apatia, depressione;
■perdita di entusiasmo, di interesse e del senso di responsabilità del proprio lavoro;
■irritabilità, nervosismo, stanchezza; sensazione di logoramento;
■difficoltà relazionali e sessuali;
■insonnia, disturbi gastrointestinali; malattie della pelle, diminuzione delle difese immunitarie.

Generalmente, le vittime del burnout tendono a trascorrere più tempo del necessario al telefono, cercare scuse per uscire o svolgere attività che non richiedano interazioni con utenti e colleghi; hanno difficoltà a scherzare sul lavoro, talvolta anche solo a sorridere. Il burnout può spingere la persona anche ad un forte tabagismo e-o all’assunzione di psicofarmaci.

Fra le potenziali vittime del burnout vi sono: educatori ed insegnanti. Si tratta di professioni nelle quali le responsabilità morali dell’operatore, lo stress a cui è sottoposto e il suo coinvolgimento emotivo sono particolarmente elevate.

Tra le cause che possono contribuire alla sindrome del burnout negli educatori, specialmente coloro i quali lavorano nelle strutture private, possiamo citare la scarsa retribuzione, un eccessivo coinvolgimento emotivo, un’ambiguità di ruoli (spesso gli educatori finiscono con il fare mansioni che non li appartengono), turni di lavoro pesanti, lavoro precario.

Tra le cause che contribuiscono alla sindrome di burnout negli insegnanti possiamo elencare la retribuzione inadeguata, l’incapacità di adattarsi i rapidi e continui cambiamenti de metodi della didattica, l’eccessivo coinvolgimento emotivo nei problemi degli alunni, la monotonia del lavoro. Cattive condizioni lavorative, conflitti di ruolo, bassa qualità dei rapporti con i colleghi e con i superiori sembrano essere dei fattori che incidono notevolmente sul burnout. E’ importante saper valorizzare le proprie potenzialità e saper gestire il burnout e lo stress. Esistono delle tecniche corporee che hanno lo scopo di eliminare le tensioni fisiologiche, garantendo uno stato di serenità. Le tecniche di respirazione e di rilassamento progressivo di Jacobson, ad esempio, sono considerate tra le più semplici ed efficaci. Non è facile superare lo stress e soprattutto il burnout da soli, in molti casi è preferibile far ricorso a dei professionisti esperti.

Lo stress e il burnout non sono dei problemi che appartengono al singolo ma all’intera società; non si devono sottovalutare , ma conoscere, capire e soprattutto prevenire! Per dirlo con le parole di Maslach “Un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura”.

Dottoressa Adelaide Donzello, Pedagogista
Ultima modifica: 11 years 11 months ago Da gerbi.
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