Discorso semi-serio sul Counseling Filosofico


gerd_b_achenbachPerché il Counseling Filosofico?

Fa d’uopo cominciare con un po’ di storia di quella che oggi viene comunemente definita “Consulenza Filosofica” o all’anglosassone “Counseling Filosofico”.

Signore e signori, udite udite, la consulenza filosofica “nasce” nel 1981 in Germania ad opera del Prof. Gerd B. Achenbach che per primo aprì uno studio da professionista filosofo delle “Philosophisce Praxis”, come come? Avete inteso bene, proprio così! Sto furbetto (ops)! Pardon, il Prof. Achenbach ad un certo punto della propria vita, cosa va ad escogitare! (Traduzione letterale) la professione legata all’espletamento delle pratiche filosofiche, hai capito al tedesco?!

Beninteso, non ha scoperto un bel niente! Infatti tale termine, da noi poi liberamente tradotto per indicarne la professione in “Consulenza Filosofica”, era già stato coniato, ma va a lui il merito di avergli dato corposità e fatto sì che da lui in poi si parlasse della figura professionale del “Consulente Filosofico o  Counselor Filosofico” che dir si voglia. In verità esiste ancora un minimo di differenza tra i due modi di definirli, infatti il consulente filosofico, termine maggiormente usato in Italia dal 2000 in poi grazie anche al fiorentino Neri Pollastri che fu un pioniere della Consulenza Filosofica italiana, è più legato alla linea di Achenbach che vede il rapporto consultante/consulente paritetico ed in evoluzione per entrambi, una sorta di “work in progress” ( come “tira” l’inglese) su tematiche filosofico/esistenziali, un dialogo aperto e senza metodi né strumenti da addurre affinché il cliente possa poi “ragionare” come pure il professionista, un libero mettersi in discussione di entrambi, dove alla fine ci sarà un cambiamento, non indotto, per entrambi. “Ora, il fatto che essa non possegga teorie né metodi standard non significa che sia una tecnica abbandonata al caso.

Semplicemente non si tratta di una tecnica e non ci sono modi per insegnarla (Né per impararla). La consulenza filosofica ha però a portata di mano la tradizione millenaria del pensiero, cioè deve riconsiderare la filosofia sotto la nuova luce dell’applicazione pratica alla vita”.[1] Allora mo voi vi starete dicendo, non mentite che ve lo state dicendo, lo so! “ma allora che ci vado a fare dal consulente filosofico se poi non mi da dei consigli, così come io necessito nel momento di difficoltà esistenziale che sto attraversando e poi mi tocca pure pagarlo”? Vero che vi stavate chiedendo proprio questo? Eheheh… ;))) Malfidati che non siete altro! Ah, a spendere i soldi per “affogare” i problemi, i pensieri negativi, in alcool e droghe va bene eh?! A farsi prendere dai “giochini” diventando poi patologici e là poi vi ci vorrà lo psicoterapeuta, va altrettanto bene vero? Vedrete quanto vi costeranno di più e per quanti anni!!!

Allora non ci volete andare da un professionista delle relazioni d’aiuto dal nome Consulente Filosofico? Da uno che ha fatto la scelta ardua e valorosa di intraprendere la carriera universitaria nelle scienze umane e prendersi una laurea in Filosofia quando tutti gli dicevano (sghignazzando) “Ma che la fai a fare Filosofia, che è anche una facoltà dura con insegnamenti spacca cervello! A che ti servirà nella vita e nel lavoro poi”?! Da un professionista del “fine pensare” con un bagaglio esperienziale di riflesso che gli proviene da millenni di saggezze e parti di cortocircuiti neurali capaci di formulare le più illuminate teorie per il benessere di tutti in ambito umano e sociale (senza parlare poi di tutti quei belli aforismi da postare su Facebook)! In più, oltre la sudata “umiliata” laurea, sto stolto di Consulente Filosofico, non si va ad assorbire altro stress e (svuotamento ulteriore di portafoglio) con corsi, aggiornamenti, masters e chi più ne ha più ne metta per specializzarsi sempre più nella sua professione delle relazioni d’aiuto? Che stupido!  Ebbene, non ci volete andare? Peggio per voi, ma poi non venite a dirmi che io non vi avevo avvisati!

Il Counselor Filosofico, no! A si, quello è bravo! Figurati già solo il fatto di definirsi “Counselor”, è inutile, l’inglese è l’inglese! Inteso come lingua. Ebbene il Counselor, di anglosassone impostazione, dal punto di vista filosofico, prende le origini dal già citato “furbetto” Prof. Anchenbach, ma con alcune varianti. Le principali sono questo suo mix di Filosofia, Pedagogia e Psicologia; perché questo? Ma perché il Counseling “di provenienza psicologica” in America esisteva già ed il più eminente dei suoi teorizzatori fu un certo Carl Rogers, che solo a pronunciare il suo nome tremano anche le pareti a mo di Johnny Stecchino! Carl Rogers teorizzò il Counseling psicologico negli anni che vanno dal 1930 al 1950, psicoterapeuta, volle dare un’impronta differente alla psicologia allora conosciuta, in base alle proprie esperienze professionali, magia delle magie, ne uscì fuori il termine “terapia centrata sul cliente”, fortemente in auge anche ai giorni nostri e che vede la relazione d’aiuto impostata innanzitutto sull’empatia che il counselor deve saper instaurare con il cliente e quindi sulla focalizzazione del rapporto professionale atto al rispetto dei “valori” e del suo caleidoscopico esperienziale, i suoi vissuti insomma, nonché la sua “visione del mondo”, quello che noi filosofi chiamiamo con il termine tedesco di “Weltanschauung”, e ti pareva, me l’ha sottolineato in rosso, ou ma sto Word è proprio ignorante però! Oltre al citato Rogers, ci sono altri eminenti personaggi dell’area psicologica che hanno voluto dare un’impronta differente alle loro professioni, tra questi ad es.: Victor Frankl con la sua “Logoterapia”, cito: “L’approccio esistenziale alla terapia di Victor Frankl, chiamato Logoterapia (che egli traduce con “terapia attraverso il significato”), si fonda su concetti fondamentali come libertà, responsabilità, significato e ricerca di valori – tutti quanti significativamente presenti nella consulenza filosofica”.[2] Anche nel Counseling Filosofico queste sono categorie essenziali da rispettare.

Un’altra eminente figura nel panorama del Counseling agli albori è senza dubbio Rollo May, medico e psichiatra, padre della psicologia esistenzialista americana. Nel suo testo “L’arte del Counseling”, May, mette in rilievo ciò che il Counselor, come professionista, deve porre in essere per poter condurre adeguatamente una Relazione d’aiuto. “La funzione del counselor consiste nell’aiutare il cliente a trovare quella che Aristotele chiama l’entelechia, l’unica forma, nella ghianda, che la destina a diventare una quercia”.[3]

In epoche più recenti verifichiamo quanto queste lezioni di Counseling abbiano lasciato un segno ed abbiano dato seguito alle professioni che ne sono derivate di “Counselors” nei diversi ambiti di appartenenze ed anche di “Life Coachs”. Mi sento di citare un professore universitario, Franco Nanetti, che è uno psicologo/psicoterapeuta che ha fatto del Counseling una ragione di vita, istituendo Master universitari da lui diretti e promuovendo, anche attraverso la sua scuola A.I.P.A.C., corsi accreditati presso il M.I.U.R. per formarsi alla professione di Counselor. Il prof. Nanetti, esperto conoscitore delle Relazioni d’aiuto, è altresì autore di numerose opere riguardanti l’argomento ed essenziale è il suo apporto nell’aiutarci a comprendere meglio di come, il Counseling sia ormai diventato importante in tale ottica, (ao stiamo a parlà comunque di problemi esistenziali e non patologici, ai visto mai)! Lo stesso non lesina di dare delle stoccatine alla odierna posizione della psicologia usata soprattutto dai più giovani: “Molti psicologi vogliono cambiare la testa dei loro pazienti, quando la loro abituale condizione è di non-pensiero. Freud era uomo di cultura, leggeva miti e tragedie greche. Ellis fu per molto tempo dedito alle grandi filosofie orientali. Oggi molti giovani psicologi della nuova generazione chiedono sempre più di formarsi sbrigativamente attraverso le tecniche. Hanno poche curiosità. Studiano poco. Non hanno grandi passioni. Parlano di transfert e controtransfert, di disturbi evolutivi e dell’attaccamento, ma nelle parole non c’è in loro nessuna passione per la verità. Ignorano le filosofie e le religioni, la storia, i miti e la poesia, eppure vorrebbero guarire la psiche”.[4] Se lo dice lui! Certo ne ha di coraggio il Prof. Nanetti e che dire quando appunto si occupa di questo all’interno di un altro suo testo e fa parlare, attraverso lui, niente po’ po’  di meno che Seneca: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma sono difficili perché non osiamo”. […] ed ancora, parole sue: “Non possiamo dichiarare di essere veramente liberi, fintanto che non rischiamo anche di trovarci soli ed incompresi”.[5] Che coraggio!

Torniamo con lo sguardo sul “Counseling Filosofico”, ma chi è che ci stiamo dimenticando? Come come? Lou Marinoff!!! Oh no, non si può, meno male che me ne sono ricordato. Chi è costui? Come chi è costui? Ma stiamo scherzando? E’ un professore americano che volle essere pioniere di questa disciplina negli States e che, provocatoriamente, si è talmente lasciato prendere la mano cominciando a “sparare” su tutti e tutto che se qualcuno, di buon senno, non gli avesse bloccato il polso, avrebbe fatto una strage, (sempre nell’ambito delle professioni che si occupano delle Relazioni d’aiuto, s’intende)! Perché, cosa ha fatto? Vi starete chiedendo; cosa ha fatto? Ma vi rendete conto che ha scritto un libro che è diventato un bestseller dal titolo “Plato, not prozac!” che tradotto in italiano è: “Platone è meglio del prozac”, che pazzo scatenato! E giù medici, psichiatri, psicoterapeuti, psicologi, farmacisti, informatori scientifici, biologi, ginecologi (no, questi no)! Insomma ha creato un putiferio. Ma che cavolo avrà detto mai poi in questo suo testo? Pensate solo che alcuni praticanti filosofi, gli hanno dato contro perché pare non sia del tutto “preciso” in alcune sue affermazioni ma, aldilà di ciò, va’ a lui, ad es., il merito di aver escogitato un “procedimento” dall’acronimo P.E.A.C.E. che indica: P = problema; E = emozione; A = analisi; C = contemplazione; E = equilibrio e col quale scandaglia “filosoficamente” un’empasse esistenziale del cliente di turno. “L’occasione non bussa una volta sola: bussa di continuo, ma troppo spesso siamo sordi al suo richiamo, o fingiamo di non udirlo, o non abbiamo il coraggio di aprire l’uscio”.[6] Ok, allora basta, abbiamo archiviato anche quest’altro autore; macché! Si è permesso di scrivere un altro testo permettendo che il titolo dello stesso nell’edizione italiano fosse: “Le pillole di Aristotele”, ah, ma allora te la cerchi! Vabbé poco male per chi come lui ha poi scritto: “La sofferenza, d’altro canto, è uno stato mentale. Come nel caso dell’offesa, per avvertirla devi esserne complice volontario”.[7] Contento lui!

Ritorniamo in Italia, ebbene abbiamo ancora da interpellare colui il quale, nelle pratiche filosofiche, non solo c’ha messo la faccia, ma la barba, il corpo, la mente e l’odio che si è tirato addosso da parte dei suoi colleghi “psicanalisti”, chi? Vi chiederete? Il famosissimo prof. psicanalista, filosofo, scrittore e chi più ne ha più ne metta Umberto Galimberti. Si è profondamente votato al primato della Consulenza Filosofica come Relazione d’aiuto rispetto alle problematiche di tipo culturali/esistenziali. “La pratica analitica coglie l’angoscia nevrotica che ha la sua causa-colpa (in greco le due parole sono rese dallo stesso termine aitìa) nei trascorsi del sofferente, nel suo passato, nella sua biografia; la pratica filosofica coglie l’angoscia esistenziale che alle sue spalle non ha né una causa né una colpa, perché nasce dall’anticipazione della morte futura, di cui la sofferenza, come riduzione delle possibilità di vita, è segno e anticipazione”.[8] Ora voi capirete che tutto ciò non solo mi fa gioco e mi rende tutto molto più semplice per fare sì che voi vi rendiate conto dell’importanza assunta dalla Filosofia allorquando si è fatta pratica e quindi “consulenza” o “counseling”, ma addirittura mi si offrono su di un piatto d’argento, come si suol dire, parole e parole scritte dal prof. succitato, ma mi limiterò a sintetizzare citandovi questo: “Per Nietzsche, il grande geografo che ha fissato i punti cardinali è stato Platone, e l’anima è il compasso di cui si è servito per disegnare i confini. Per questo, scrive Nietzsche: “Platonismo è in primo luogo saggezza nel prendere sul serio l’anima”.[9]

Abbiamo fatto un resoconto importante per poterci addentrare in questa affascinante disciplina che ci conduce alla scoperta di questa antica-nuova professione legata alle Relazioni d’aiuto. Avremmo ancora moltissimi autori da dover citare, moltissimi testi da dover annoverare nel nostro discorso sul “Counseling Filosofico”. Voglio portare una testimonianza ulteriore grazie al Dr. Paolo Cattorini che è medico, filosofo, docente universitario e  specializzato in psicologia clinica, ci dice: “Per dirla con una battuta, suggeriremmo a ogni psicanalista di andare ogni tanto in supervisione da un buon consulente filosofico… […] Freud riconobbe, con la solita lealtà, che certi filosofi lo avevano anticipato e tuttavia lodò i limiti della propria cultura, poiché essi gli avrebbero permesso di (fare una scoperta). Se avesse letto con più gusto Schopenhauer – egli spiega – forse non si sarebbe soffermato sulle pagine dedicate al concetto di rimozione e non l’avrebbe elaborato autonomamente”.[10]

Non mi spingerò oltre ma, è doveroso citare, per chi preso da interesse voglia approfondire le sue conoscenze in merito, l’Associazione Nazionale per le Pratiche Filosofiche “Confilosofare” che ha un sito internet: www.confilosofare.com all’interno del quale, grazie all’attenta gestione da parte del presidente Dr. Mario Guarna e dei suoi collaboratori si possono trovare articoli ed iniziative di spessore in merito all’argomento qui trattato, nonché al mio blog personale: http://vitafilosofica.blogspot.com  

Permettetemi di congedarmi da voi con una domanda: Ammettiamo di trovarci, in un dato momento della nostra vita, nella necessità di dover gestire una sofferenza, come potrebbe essere quella della perdita di una persona a noi cara, che sarebbe per questo normale dunque, ebbene, nel momento in cui non sussistano patologie “come ansia, depressione o attacchi di panico” chi pensate possa realmente aiutarvi nel riformulare, gestire e metabolizzare il concetto di morte che è insito nello svolgimento delle nostre esistenze?

E’ questo solo un esempio di tutte le possibili applicazioni del Counseling Filosofico per l’aiuto reale verso chi si trovasse in un momento di transitoria sofferenza esistenziale.  

Francesco Iannitti


[1] Raffaella Soldani, Introduzione, in Gerd B. Achenbach, La consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2004, pag. 5

[2] Gerald Corey, Theory and Practice of Counseling and Psychotherapy, quinta edizione, Brooks/Cole, Pacific Grove, Ca., 1996, pag 171 op. cit. in Peter B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2006, pag. 98

[3] Rollo May, L’arte del Counseling, Astrolabio, Roma 1991, pag. 20

[4] Franco Nanetti, Assertività ed emozioni, Pendragon, Bologna 2008, pag. 20

[5] Franco Nanetti, Counseling ad orientamento umanistico-esistenziale, Pendragon, Bologna 2009, pag. 63

[6] Lou Marinoff, Platone è meglio del Prozac, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2001, pag. 241

[7] Lou Marinoff, Le pillole di Aristotele, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2003, pag. 147

[8] Umberto Galimberti, La casa di psiche – Dalla psicanalisi alla pratica filosofica -, Feltrinelli, Milano 2005, pag. 15

[9] Ibidem, pag. 95

[10] Paolo Cattorini, Bioetica clinica e consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2008,  pag. 73

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