Conoscersi per orientarsi

Inviato da Laura Ricci

<<CONOSCERSI PER ORIENTARSI>>

L’utilizzo delle carezze di riconoscimento per comprendere le relazioni

tra insegnati e allievi di una scuola superiore del Centro - Nord

 

 

Premessa

Per un Istituto superiore della mia città ho partecipato al progetto <<CONOSCERSI PER ORIENTARSI>> rivolto alle classi seconde con alunni pluri-ripetenti con disagio sociale e familiare.

La finalità del progetto era quella di promuovere un clima sereno e accogliente per facilitare apprendimento e relazioni costruttive. Gli insegnanti coinvolti nel progetto erano quelli di lettere, arte, musica e sport. Il mio incarico era quello di aiutarli perché potessero:

  • valorizzare ogni singolo alunno come persona portatrice di talenti specifici che, se messi a disposizione di altri, possono creare momenti importanti;

  • progettare ed attuare interventi educativi per promuovere negli alunni atteggiamenti di accoglienza delle diversità, sostenendo lo sviluppo di una comunicazione affettiva all’interno delle classi.

Il mio intervento di counseling è durato per tutto il primo quadrimestre con un incontro alla settimana di 2 ore con gli 11 docenti che partecipavano al progetto.

 

 

La richiesta degli insegnanti

La richiesta che questo “gruppo progetto” mi ha fatto era pertanto di supportarli nel saper correttamente interpretare il rapporto fra affettività ed intelligenza, ragionando in particolare su come il pensiero può guidare gli affetti e sostenerli, e su come l’affettività può affinare e promuovere le capacità di comunicare e di pensare.

A tale proposito insieme abbiamo valutato come nelle classi l’affettività cambia di segno, positivo o negativo, a seconda del tipo di sostegno offerto dall’intelligenza, e come la produttività dell’intelligenza cambia a seconda del segno, positivo o negativo, dell’affettività1.

L’Analisi Transazionale ha mostrato come nel dialogo interno l’alunno giudichi se stesso, riaprendo una ferita non del tutto rimarginata, che trova origine nella critica proveniente dall’esterno, dalle figure per lui significative. Questa disapprovazione porta alla prevaricazione dell’altro, poiché nasce dalla paura e dalla rabbia di frustrazione della non accettazione di sè e dalla disconferma delle proprie capacità.

La delicatezza del rapporto educativo richiede, in conseguenza di ciò, che l’insegnante conosca ed attivi quei processi personali di integrazione fra affettività e intelligenza che gli permettano di prendersi autonomamente carico della propria vita diventando, con la coerenza e l’esempio, un punto di riferimento per i suoi alunni.

    A tal proposito H. D. Johns ha elaborato il diagramma della decisione secondo il quale l’insegnante che è consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi diritti (B), valuta il significato delle proprie azioni (G), analizza i dati della realtà e prende una decisione (A).

 

 

Gli strumenti del counselor

Da quando sono counselor, e non solo psicologa scolastica, utilizzo l’Analisi Transazionale. come una concreta ricerca di soluzioni per gli insegnanti disposti a porsi nella relazione educativa che favorisca una presa di coscienza di sé ed una più attenta conoscenza degli alunni. Adesso nei miei interventi a scuola utilizzo l’analisi degli Stati dell’Io, delle transazioni, delle carezze, della strutturazione del tempo, dei giochi e del copione.

Mi soffermo qui di seguito sullo strumento delle carezze, mostrando poi come lo utilizzo, riportando come esempio un intervento di counseling all’interno di una scuola superiore della mia città.

Eric Berne ha descritto la fame di stimolo2 come il bisogno vitale dell’individuo: un bisogno primario che ci permette di essere umani, di costruire la nostra identità nella relazione con l’altro.

Per chiarire questo concetto egli faceva riferimento alle numerose ricerche di René Spitz sui neonati allevati in orfanotrofio. Questi piccoli, se privati per lungo tempo di stimolazioni fisiche, tendevano a sviluppare problemi fisici ed emotivi, forme psicopatologiche così dolorose ed irreversibili, da poter giungere, in alcuni casi, persino alla morte.

E’ palese quindi quanto siano fondamentali il contatto fisico, la manipolazione, le tenerezze che i neonati ricevono dalle figure di riferimento che li accudiscono.

Appare, inoltre, poco rilevante se lo stimolo corporeo sia piacevole o spiacevole poiché, di fatto, è indispensabile che il bambino abbia contatti fisici (sorrisi, abbracci, buffetti, affettuosità, ecc.). Da varie osservazioni e ricerche3 si evincono le seguenti regole:

  • l’essere umano ha bisogno di riconoscimento;

  • le carezze sono “l’unità di riconoscimento” della presenza dell’altro;

  • qualsiasi tipo di carezza è meglio dell’assenza di carezze;

  • la quantità di carezze di riconoscimento, indispensabile per la sopravvivenza di ciascuno, varia da persona a persona.

Da adulti si impara a sostituire il bisogno di essere toccati con altre forme di riconoscimento sociale. Vi possono essere perciò carezze fisiche, come una pacca sulla spalla o una stretta di mano, ma anche verbali, come un elogio o un complimento, e mimiche, come un sorriso o un cenno di capo; ciò nondimeno anche un’occhiata storta o un’offesa possono essere accettate, poiché in ugual modo tali modalità mostrano che la presenza dell’altro è stata riconosciuta.

Secondo Claude Steiner4 ogni bambino ha ricevuto dai suoi genitori ben cinque regole restrittive riguardo alle carezze, che costituiscono la cosiddetta base dell’economia delle carezze:

  1. Non dare carezze quando ne hai da dare

  2. Non chiedere carezze quando ne hai bisogno

  3. Nonaccettare carezze se le vuoi

  4. Nonrifiutare carezze quando non le vuoi

  5. Nondare carezze a te stesso

 

In questo modo i genitori insegnano ai fanciulli che le carezze sono in quantità limitata e, mantenendosi in posizione da monopolisti, hanno una garanzia in più di controllo sui figli. Riportando il pensiero di Steiner i genitori garantiscono che “una situazione nella quale le carezze potrebbero essere disponibili in numero illimitato è trasformata in una situazione nella quale la disponibilità è scarsa e il prezzo che i genitori possono trarre da esse è elevato”.5

Secondo l’autore dovremmo divenire consapevoli che le carezze sono disponibili in quantità illimitata e che possiamo opporci alle cinque regole restrittive, dando una carezza tutte le volte che lo vogliamo, chiedendone una ogni volta che lo desideriamo, prendendola quando ci è offerta se ci risulta gradita o rifiutandola se non ci fa piacere ed, infine, possiamo anche dedicare carezze a noi stessi, vantandoci delle nostre abilità e festeggiando i nostri successi.

Fin da piccoli, alla mancanza di carezze positive, si impara a riparare con dei modi per ottenere carezze negative piuttosto della loro privazione. Il programma che il bimbo si fa per soddisfare questo bisogno di contatto, contribuisce alla creazione del processo di copione basato su una decisione di autoriconoscimento.6.

Da adulti poi è possibile riproporre tale schema decisionale infantile continuando a cercare carezze negative e collezionando dei comportamenti che svilupperanno i giochi, le emozioni parassite, o il copione.

I riconoscimenti possono essere suddivisi in due principali categorie:

  • riconoscimenti incondizionati positivi o negativi sull’esistere;

  • riconoscimenti positivi o negativi condizionati sul fare, che riguardano l’essere competenti.

Per la realizzazione di una sana autostima sono necessari le carezze positive sia sul proprio valore personale, sia sulle proprie abilità e competenze, mentre i riconoscimenti negativi bloccheranno nella persona lo sviluppo naturale del senso di auto-efficacia, e l’individuo si adatterà alle ingiunzioni genitoriali, alimentando un senso d’inadeguatezza e di disagio.

Anche la qualità e l’intensità delle carezze sono importanti. In ambito educativo, è sostanziale riflettere sulla tipologia di carezze che gli insegnanti sono disposti a ricevere quanto su quelle che sono disponibili ad elargire.

E’ utile come docenti tenere in considerazione che:

  • per i ragazzi in difficoltà le carezze servono alla sopravvivenza. Non per l’apprendimento o il miglioramento di punti deboli, ma come consolidamento del compromesso tra la difficile vita familiare e quella scolastica, dove le piccole approvazioni degli insegnanti rappresentano una risorsa vitale.

  • Si migliora l’efficacia della valutazione dando carezze positive condizionate sui compiti ben eseguiti, oltre che carezze negative condizionate per quelli incompleti o con molti errori.

  • Le carezze positive incondizionate e condizionate vanno donate in modo sincero e autentico e rappresentano per l’adolescente un capitale personale che gli garantisce il successo. Intelligenza, volontà e sensibilità sono essenziali alla riuscita, non solo come valori in sé ma per i risultati che permettono di ottenere.

  • Evitare le carezze false, cioè quelle che cominciano con qualcosa di positivo ma danno una frecciata negativa alla fine. Es.: “Vedo che capisci, più o meno.” “Questo è un buon compito, finalmente!”.

  • A causa del background culturale alcuni studenti e professori possono essere parsimoniosi nel dare carezze positive, e vengono perciò percepite come fredde e riservate;

  • E’ opportuno rinforzare positivamente anche alunni e insegnanti che appaiono indifferenti alle carezze positive, poiché per alleviare la sofferenza infantile, esse potrebbero essersi negate il bisogno di tali riconoscimenti.

 

Il bisogno di carezze degli alunni

L'adolescenza è una tumultuosa tappa evolutiva nella quale si risperimentano in modo piuttosto caotico tutti i bisogni delle fasi precedenti. L’alunno necessita di carezze di natura simile a quelle già ricevute, ma adeguate all'età nel loro contenuto.

E’ il caso di ricordare che la risperimentazione delle fasi evolutive precedenti non avviene in modo sequenziale.7. Si tratta spesso di una mescolanza di aspetti nei quali si può intravedere l'intento inconsapevole di armonizzare e completare la propria visione e la propria esperienza del mondo.

Per i bisogni evolutivi corrispondenti alla prima fase, simbiotica, le carezze devono essere di accettazione incondizionata. Il loro significato, se fosse possibile tradurlo in parole, potrebbe essere: <<Ti voglio bene anche ora che sei cresciuto e sappi che il mio amore ti seguirà ovunque tu vada>>.

Per le necessità corrispondenti alla seconda fase, esplorativa, le carezze saranno volte a sostenere la ricerca autonoma e il loro significato sarà: <<Puoi prendere iniziative, sperimentare>>, <<Puoi scegliere cosa fare, autonomamente, e se lo chiedi ti sarò vicino>>.

Per la terza fase, di prima separazione, le carezze saranno volte a permettere l'autonoma diversità, e il loro significato potrebbe essere: <<Puoi andare, puoi sperimentare i tuoi modi di essere e di fare e sarai sempre benvenuto quando tornerai>>, <<Puoi separarti da me e pensare con la tua testa>>, <<Puoi fidarti delle tue sensazioni per essere certo di ciò che ti serve>>. Le contrapposizioni e le provocazioni (tipiche della “fase del no”) vanno trattate con equilibrio, tolleranza e fermezza, e le carezze negative, quando necessarie, vanno riferite ai comportamenti e non alla persona.

Nella quarta fase, di socializzazione, gli adolescenti definiscono la loro identità e la loro sessualità. Le carezze saranno volte a questa conferma. È importante distinguere la diversa varietà delle carezze fisiche non confondendo coccole con sessualità. Per un adolescente è possibile ricevere coccole come un bambino piccolo, ma è anche possibile che ne rifugga. La sessualità va poi accettata come qualcosa di naturale di cui si parla serenamente e senza malizia. Il significato delle carezze sarà: <<Puoi essere come tu desideri>>, <<C'è posto per te fra gli adulti quando ti sentirai pronto>>.

Della quinta fase, di costruzione, gli adolescenti sviluppano il pensiero logico a un maggior grado di astrazione, utilizzano argomentazioni più sofisticate e sottili, giungono a conclusioni complesse. Si assumono responsabilità progressivamente più importanti. Osservano e denunciano le incongruenze e le falsità nell'atteggiamento di chi sta loro vicino, ma sono loro stessi contraddittori. Provano nuovi amici, nuovi ambienti sociali, nuove esperienze, nuove relazioni. Il significato delle carezze relative a questi aspetti sarà: <<Puoi riflettere sulle conseguenze delle tue azioni>>, <<Puoi fare le cose a modo tuo>>, <<Puoi avere tuoi principi morali>> <<Puoi frequentare nuove persone fidandoti del tuo istinto e delle tue sensazioni>>.

 

Le parole che lasciano un segno

Il rapporto interpersonale che il docente instaura con i suoi allievi soddisfa il loro bisogno di fidarsi dell’adulto: potersi fidare significa per questi ragazzi in difficoltà riconciliarsi con l’autorità, abbandonando atteggiamenti esibizionistici o di sfida, sperimentandosi come persone degne di rispetto e protezione.

Questa fiducia è fondata sulle parole, ed insieme agli insegnanti, abbiamo trovato quelle che lasciano un segno.

Le parole che hanno un effetto negativo sono contenute prevalentemente nelle definizioni svalutanti, come ad es: “Tu sei il solito disobbediente, arrogante, …”, riguardano le profezie più o meno catastrofiche che vengono fatte sul futuro del ragazzo “Se continui così finirai per rimanere senza amici, non troverai mai un lavoro, avrai problemi con la giustizia, ….”. Queste frasi, anche se pronunciate con l’intenzione di mettere in guardia l’alunno suoi futuri pericoli, se prese letteralmente dall’adolescente, possono contribuire alla costruzione di un’identità che porta poi ad un copione disfunzionale, perdente.

A queste espressioni demoralizzanti, il ragazzo può rispondere con comportamenti di provocazione del tipo “Ah si? Adesso ti faccio vedere io di che cosa sono capace….”. Ed è proprio da questa rabbia di sfida che possono nascere comportamenti aggressivi e atti di bullismo.

Gli insegnanti durante i nostri incontri hanno compreso che, se desiderano aiutare e motivare gli allievi a crescere, non possono usare queste espressioni con i ragazzi; non abbiamo concordato che non bisogna rimproverare e confrontare gli adolescenti; abbiamo evidenziato che gli interventi educativi sono un aiuto ai giovani e, quindi, devono consentire la possibilità ripartire dall’errore commesso, dal comportamento inadeguato per far cogliere una reale e positiva possibilità di recupero con domande del tipo: “Cosa puoi fare adesso? Come puoi rimediare a questa offesa che hai fatto alla tua compagna? La prossima volta che ti troverai in una situazione simile, che cosa protrai fare di diverso? Di che cosa hai bisogno per superare positivamente questa difficoltà, che cosa posso fare per te? Sono qui, ti ascolto”.

Questo dialogo autentico richiede al docente maturità psicologica, equilibrio di sè ed esperienza pedagogica; le parole che utilizza acquistano significato aggiungendo forza e valore ai riconoscimenti che esprimono.

 

L’insegnante: un “distributore automatico” di carezze

I professori che vogliono promuovere il successo negli allievi devono ascoltarli, dialogare con loro alla pari, rispettando con le parole e le azioni, la loro persona. La correzione degli errori, o di eventuali azioni antisociali, va eseguita nel rispetto dell’allievo che le ha compiute.

E’ basilare che gli insegnanti in classe dosino con equilibrio le carezze condizionate rivolte al fare, e quelle di tipo incondizionato positivo rivolte all’essere: queste ultime sono esperienze significative per la crescita dell’adolescente e rimangono registrate nel copione di vita, condizionandone in maniera significativa il dialogo interno e le relazioni interpersonali.

La modalità con la quale il professore elargisce le carezze è importante non solamente per l’impatto che esse hanno sul comportamento individuale, ma anche sullo stile delle relazioni interpersonali e sociali che egli induce nell’economia delle carezze della classe.

Come ho già detto, durante le sue ore di lezione l’insegnante utilizza le carezze positive per incoraggiare l’allievo, e quelle negative per rimproverarlo.

Una prima verifica che può fare è quella di chiedersi quale è la proporzione delle carezze positive e negative che egli ha dato durante un mese di lezione, in un primo momento per tutta la classe, poi per ogni alunno in particolare. Questo controllo permette al docente di sapere a quale genere di “distributore di carezze” egli appartiene: la bilancia è in equilibrio? Se no da quale parte pende? La risposta a questi interrogativi rappresenta per lui una buona informazione, che gli consente di prendere coscienza delle sue tendenze personali, o di analizzare sotto questa angolatura le reazioni degli alunni.

Con i docenti abbiamo valutato che, un altro elemento importante in questa ottica, è rappresentato dallo scialacquamento di carezze e dal pericolo di inflazione. La posologia delle carezze positive e negative è l’espressione di una competente saggezza educativa. Trattandosi di ragazzi in difficoltà è basilare perciò riconoscere la capacità o l’attività dove questi alunni riescono meglio. L’effetto positivo di una tale carezza può essere senza dubbio maggiore se ciò che un allievo produce è destinato alla classe (una poesia, un poster, una fotografia, ecc.).

La partecipazione laterale al processo di apprendimento e la risonanza sociale del loro contributo al gruppo classe sono delle carezze efficaci per chi non ne riceve, e continuerà a non riceverne di gratificazioni e di successi nell’apprendimento propriamente scolastico.

Nei nostri colloqui, esaminando le diverse situazioni degli alunni, abbiamo analizzato come l’uso di richiami o apprezzamenti provenienti dallo stato dell’Io Genitore dell’insegnante favoriscono l’instaurarsi di relazioni simbiotiche in cui l’allievo svaluta la propria capacità e interpreta ruoli passivi (si ribella, si confonde, si irrita, si incapacita, …) e l’atmosfera della classe si appesantisce e tutte le attività ne risentono negativamente.

Invece le carezze che provengono dall’Adulto del docente, sia positive che negative, arricchite da valide informazioni e motivazioni, facilitano un equo sostegno psicologico ai fini dell’apprendimento.

Infine, i riconoscimenti provenienti dallo stato dell’Io Bambino del professore, sia positivi che negativi, favoriscono l’intimità e l’empatia, promuovendo un clima di classe rilassato in cui lavorare gradevolmente.

 

Conclusioni

La tipologia di carezze che gli studenti sollecitano e il modo in cui chiedono di essere riconosciuti, sono fattori insiti nella comunicazione circolare fra educatori e adolescenti, in un rapporto di influenze reciproche.

Durante il nostro percorso, gli insegnanti si sono allenati a decifrare le richieste di carezze dei propri alunni, per interpretare la ricerca maldestra di segni di riconoscimento, distribuendo così carezze più intense, comunicando in modo efficace ed autentico.

I professori hanno pure imparato ad utilizzare efficacemente il proprio Gn+ e Ga+ per fornire alle proprie classi un’appropriata struttura genitoriale esterna di protezione, rassicurazione, guida e permesso.

Concludendo, ritengo che i docenti grazie anche al mio intervento di counseling, abbiano ora la capacità offrire ai propri allievi la possibilità di interiorizzare nel loro stato dell’Io Genitore dei comportamenti positivi, dei validi modelli di autorità sociale e di personalità integrata, che possano compensare i comportamenti inadeguati introiettati dalle proprie famiglie di appartenenza.

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1“Ogni volta che il rapporto affettività-intelligenza è dominato dalla paura (di non riuscire, di essere sopraffatti, di essere ingannati, di non essere capiti, di non farcela, …) si può assistere al blocco improduttivo delle capacità razionali, della capacità di decidere e di prendere iniziative: la persona sembra agire automaticamente e comportarsi, in quella circostanza, secondo schemi abituali, familiari, ma poveri e incongruenti rispetto alla situazione e rispetto alle proprie risorse.”F. MONTUSCHI, Vita affettiva e percorsi dell’intelligenza, La Scuola, Brescia, 1983.

2" Si può dunque postulare l'esistenza di una catena biologica che va dalla privazione emotiva e sensoria all'apatia e di qui alle modifiche degenerative e alla morte. In questo senso la fame di stimoli ha con la sopravvivenza dell'organismo umano lo stesso rapporto della fame di cibo”- Berne E., “A che gioco giochiamo”, edizione Tascabili Bompiani, settembre 2.003.

3Ricerche di Balint, Bolwby, Mahler e Winnicott.

4 STEINER C.M. Script people live, New York, Grove Press, 1974 , (trad.it “Copioni di vita” – Edizioni La vita Felice, Milano, 1999).

5Ibidem nota precedente.

6Come afferma Maria Teresa Romanini: “La teoria di copione è in ultima analisi teoria di riconoscimento e anzi della problematicità dell’autoriconoscimento che, fin dai primissimi tempi della vita, deriva dal rapporto tra quanto il soggetto sente e percepisce di sé e quanto, attraverso il riconoscimento dell’ambiente, gli viene proposto come unico riconoscimento che gli permette la sopravvivenza”. inCostruirsi persona, Milano 1999.

7 MASTROMARINO R. – “Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli”. – IFREP, Roma, terza edizione, dicembre 2.000.

 

Laura Ricci

Psicologa del lavoro e delle organizzazioni, Psicologa scolastica

Counselor Analista Transazionale Certificata CTA-C

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