La Clinica sistemica e il Counseling: alcune connessioni per altre significazioni

Inviato da Rosanna Pizzo

”La psichiatria nel senso più ampio, è un dialogo tra la psiche ammalata e la psiche del medico, che si suppone sia “normale”; è una spiegazione tra la personalità ammalata e quella del terapeuta per principio anch’essa soggettiva”

(C.G. Jung, Ricordi , sogni , riflessioni)

L'accezione Clinica, tradizionalmente rimanda alla patologia e quindi alla cura come riconduzione alla normalità, che nel caso della domanda sanitaria è fisiologica e d’altro canto il suo etimo rinvia sia ad un metodo della medicina(dal greco klinike téchne”arte medica”derivato a sua volta dall’ indoeuropeo kline cioè letto, quindi considerazione della persona nel suo ambiente naturale, vicinanza dell’osservatore all’osservato) che ad una disciplina applicativa, che occupa un posto preminente nella salute mentale, seppure in un contesto di diverso significato.

In psicologia clinica, infatti, come scrive R.Carli, “a differenza della clinica sanitaria dove la domanda può essere accettata e validata dal medico, oppure rifiutata, perché incongrua rispetto al procedimento diagnostico e terapeutico, il vero sintomo del paziente è la domanda, e come essa si presenta, si declina e si dispiega, nel rapporto con lo psicologo stesso.”1

La locuzione “Clinica,” secondo la sua collocazione semantica e contestuale, però, come vedremo, pone non pochi problemi di senso,in quanto, il sapere clinico e la sua pratica, portano tradizionalmente con sé, equivoci e reificazioni dell’essere umano, perché non in grado di identificarne la complessità, come osserva Michel Foucault in un suo famoso saggio2.

Egli dice, infatti, che il sapere clinico fa riferimento a un corpo artificiale, il corpo del sapere, nel quale il corpo dell’uomo malato deve entrare come in un vestito, per garantire l’obiettività della ricerca:i sintomi manifestati dal paziente, infatti, non vengono considerati come una turbativa della malattia, ma come i segni che la rivelano.

Il modo soggettivo di vivere la malattia, le connessioni con il mondo di cui la persona fa parte, devono interferire poco o nulla, in modo da non compromettere l’approccio scientifico, secondo cui ogni sintomo deve corrispondere ad un quadro nosografico verificabile e riscontrabile.

Tra il medico e l’uomo malato si frappongono come uno schermo, gli scopi. l’organizzazione del sapere medico, l’organizzazione della malattia e l’organizzazione dell’insegnamento, per cui il medico è un funzionario di quel sapere e l’uomo “un caso” di quel sapere, a cui non può avere accesso, in quanto non può entrare nell’ordine del sapere potere medico.

Medico e paziente infatti si trovano all’interno di una relazione asimmetrica in cui il primo in quanto detentore dei saperi di una disciplina, per le ragioni che diremo in appresso, controlla la produzione di un discorso, secondo un sistema di polizia discorsiva, su cui ha pieno potere e da cui il secondo è fatalmente escluso.

Ci riferiamo, con quest’asserzione, a quei meccanismi sociali di controllo della comunicazione, su cui M. Foucault ha scritto pagine di grande profondità. Egli afferma, infatti che il linguaggio è sottoposto a precisi metodi di controllo, a procedure di esclusione, che ne limitano la potenzialità, relegandolo nell’ambito di significati stabiliti e funzionali a chi opera tale controllo.

Uno di questi principi di controllo della produzione del discorso è rappresentato dall’organizzazione delle discipline (si rammenti che disciplina significa insegnamento,ammaestramento..) che obbligano chi ne fa parte ad utilizzare strumenti concettuali precisi, anzi, “per appartenere ad una disciplina una proposizione deve potersi iscriversi in un certo tipo di orizzonte teorico…….entro i suoi limiti, ogni disciplina riconosce proposizioni vere e false; ma essa respinge oltre i suoi margini tutta una teratologia del sapere, anche se una disciplina non è la somma di tutto ciò che può essere detto di vero a proposito di qualcosa.

Ci si è spesso chiesti come mai sia stato possibile che i botanici e i biologi del XIX secolo non abbiano visto che quel che Mendel diceva era vero. Il fatto è che Mendel parlava di oggetti, metteva in opera metodi, si poneva su un orizzonte teorico, che erano estranei alla biologia del suo tempo.3

La psicologia clinica tradizionale, legata al modello medico, opera l’identica spersonalizzazione della Clinica medica, attraverso la costruzione di un sapere specialistico e l’adozione di nomenclature linguistiche poco atte a interpretare la sofferenza della sragione, bensì a creare una copertura sottile, ma potentissima, grazie alla quale il rapporto con l’Altro, con l’Insensato è stato privato di ogni funzione esistenziale ed è stato ridotto a una dimensione della patologia individuale4

Sul versante fenomenologico contro l’atteggiamento clinico in psichiatria, R.Laing, giustamente si chiedeva “come può uno psichiatra considerare direttamente il paziente per descriverlo, se il vocabolario psichiatrico a sua disposizione serve solo a tenerlo a distanza? I termini del vocabolario tecnico corrente, infatti hanno o l’una o l’altra di queste proprietà:o si riferiscono. ad un uomo in isolamento rispetto agli altri e al mondo (cioè ad una entità ,la cui qualità essenziale non è quella di essere in rapporto con gli altri e col mondo) o si riferiscono ad aspetti falsamente elevati a sostanza di questa entità isolata”5

Infatti, le parole del folle possono assumere un loro statuto di senso, solo attraverso una serie di filtri utilizzati dall’esperto (quindi la sua propria competenza e i suoi strumenti tecnici…ecc)

Ciò significa che ci troviamo all’interno di una sorta di polizia discorsiva, che stabilisce le aree di praticabilità dei discorsi, attraverso veri e propri rituali: essi stabiliscono la qualifica che devono possedere gli individui che parlano, determina i gesti e i segni che devono accompagnare il discorso, basti pensare al linguaggio religioso, politico giudiziario, religioso, terapeutico, i cui ambiti discorsivi si muovono all’interno di pratiche ritualizzanti che diventano veri e propri mezzi di discriminazione.

Viceversa, la Clinica sistemica, sembra, punto per punto, rappresentare una riclassificazione dell'ordine logico, sotteso all'epistemologia del modello medico, criticata da Michael Foucault, con tanta argomentata profondità:vediamone le affascinanti significazioni, a cui ha dato voce Umberta Telfner, dirette appunto a demedicalizzare la cornice semantica e politica di detta nozione.

Leggiamo testualmente nell'incipit. ”Intendiamo qui rideclinare i termini clinica e psicologia clinica intesi in senso ampio come interventi di riflessione /azione in un contesto dato, quali modalità di intervento coerenti con l'epistemologia sistemica”.

Le concettualizzazioni, di cui sopra, poi continuano, ponendo l'accento,sulla difficoltà di semeiotizzare, con un nuovo vocabolo il processo clinico, coerentemente con l'ottica sistemica, in quanto lontana dal modello medico, cercando di denotare e soprattutto, connotare gli interventi in maniera diversa e alternativa alla predetta prassi.

Esemplificando, ancora, il contesto attinente il processo clinico, non separa gli osservatori dagli osservati, insieme coinvolti in una danza, che comprende le due parti, (aveva detto Bateson”siamo parte danzante di una danza di parti interagenti”) viene messa al bando ogni dicotomia tra chi cura e chi è curato.

Inoltre la proposta di un modello narrativo in psicologia ha permesso di allontanarsi da un linguaggio e da una prassi medica, per utilizzare metafore e parole chiave mutuate dalla letteratura.

L'ottica sistemica, infatti, sin dagli anni 60, ha proposto una serie di interventi diversi e il termine consulenza, come ombrello sotto il quale identificare molteplici possibili interventi.

Così non si designa più con il termine clinica la sola psicoterapia, che diventa una delle funzioni, che vanno a costituire l'identità del clinico.

Non si suddividono più le fasi prevenzione, cura e riabilitazione, come separate, in quanto i tre momenti fanno parte di un continuum, i cui effetti pragmatici sono spesso imprevedibili e quindi, nella loro complessità, non enunciabili a priori.

Per esempio, la consulenza ad un azienda può migliorare le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti e funzionare come prevenzione rispetto ad altre difficoltà; l'orientamento scolastico può mettere in luce o “curare” un problema familiare o sociale e così via.

Così, non si differenzia una fase conoscitiva da una fase più strutturata sull'intervento, in quanto il fare domande è già introdurre differenze. Infine, nonostante la parità relazionale all'interno del sistema di neoformazione(terapeuta + cliente, consulente + committenti, operatori + gruppo di riferimento),è ovvio, che la responsabilità del cambiamento spetta all'operatore socialmente definito,

Non bisogna dimenticare la coerenza tra teoria e prassi, attraverso un uso attento degli strumenti, della loro applicazione e del contesto in cui si opera. L'uso delle parole, in questa cornice di senso, diventa fondamentale, un memento, che ci ricorda, appunto, la lezione di Mara Selvini e collaboratori, diretta ad esortarci, nel descrivere una persona, a non usare l'ausiliario essere, (quel signore è depresso) sostituendolo con apparire(quel signore appare depresso)in modo da non reificare i comportamenti, derubricandoli da una loro processualità, legata spesso al contesto relazionale di appartenenza del suddetto…per cui “le proprietà sono solo differenze che esistono solo nel contest, solo nella relazione”.

Infine, questi spunti di riflessione e di ridefinizione della locuzione, Clinica, tuttora in corso, che vede impegnati numerosi clinici, che non si identificano con il modello medico, fa ritenere che “sotto la voce clinica possono essere inclusi interventi molto diversi tra loro, dalla consulenza alla psicoterapia, dalla mediazione familiare o penale alla supervisione , dalla conduzione di gruppi di aiuto alla facilitazione in situazioni sociali e collettive, dall'emporwement agli interventi di rete”.

Infine, l'ampia ed argomentata dissertazione, sulla voce Clinica si chiude con la considerazione , che “molti altri interventi potrebbero essere menzionati....perché già prassi corrente, altri sono ancora da progettare...ecc”6

In proposito, non posso fare a meno di lanciare un messaggio irriverente, il cui suggerimento mi è venuto proprio dal testo “Irriverenza” ricco di spunti riflessivi e trasgressivi, che veramente aiutano a crescere come persone e come professionisti.

Vorrei fare un breve cenno a questo scritto, cogliendone alcuni aspetti salienti, per fissare la cornice di senso in cui mi muovo e quindi argomentare, quanto dirò, senza ricorrere ....ad entimemi... artifici retorici .atti solo a confondere un malcapitato interlocutore, vediamo perchè.

Nell'incipit, della Prefazione, del suddetto testo, Kenney racconta della famosa festa dei Giullari, che si teneva nel Medioevo, in tutta Europa, in cui il popolo sovvertendo i ruoli delle classi dominanti, rivestendone quindi i panni, ne metteva in berlina sbeffeggiandoli, principi, rituali ed usi che costituivano il fondamento dell'ordine costituito:il potere veniva così osteso e messo in ridicolo, per renderlo non solo meno minaccioso, ma anche per minarne la credibilità assoluta.

Questa è già una riflessione, un primo avvertimento volto a diffidare di verità inoppugnabili, in genere, e più in particolare quelle costruite e non co-costruite nei contesti di cura , dove possono diventare veramente letali, sia per chi cura ,che per chi viene curato.

D'altro canto la locuzione terapia dal greco therapeia, presenta una ricca valenza semantica, cosi come evoca il suo etimo originario, per chi ha una certa dimestichezza con la lingua greca, e rinvia ad un prendersi cura, assistere, essere al servizio di qualcuno . Però, la therapeia ,presenta anche semanticamente , come nella personalità umana una parte d’ ombra direbbe Jung, quindi, aspetti occulti, nascosti al suo interno che possono agire, in maniera distorta, in quanto essa esprime accanto al significato di cura, anche quello di ossequio, codazzo, servitù, quasi a connotare i pericoli di una dipendenza, che può ricorsivamente coinvolgere chi cura e chi è curato:un esempio può essere rappresentato dal transfert e dal controtransfert, nella migliore delle situazioni, perché potrebbe anche accadere di ben peggio….

Poi, il testo prosegue, con celebre esempio tratto da un famoso esperimento fatto da Bateson e il suo gruppo, negli annoi 60, nelle isole Hawaii, attinente il comportamento comunicativo dei delfini e cioè: l'istruttore dopo aver addestrato un delfino ad un determinato contesto di apprendimento, del tipo condizionamento ricompensa- premio, l'animale, se metteva in atto il comportamento appreso, il detto istruttore non lo ricompensava più, se non esibiva un modulo comportamentale sempre nuovo.

Il delfino, un giorno, dopo inutili tentativi diretti ad ottenere la ricompensa, ripetendo il comportamento iniziale, cominciò a dare grandi colpi di coda, per manifestare il proprio disagio, finché, quando lo fecero uscire, non esibì una serie di moduli nuovi che non erano mai stati prodotti nella sua specie.

Il delfino, come afferma Bateson, era riuscito a fare un salto di livello logico, cioè aveva imparato ad affrontare il contesto dei contesti, esibendo ogni volta che entrava in scena un diverso e sempre nuovo modulo comportamentale.

In altri termini il delfino aveva fatto un esperienza di tipo schizofregenico. l'attraversamento del caos dato dal doversi confrontare con il suo apprendimento due o deuteroapprendimeto, e doverlo superare… per non impazzire.. Ma cos’è l’apprendimento due ? Secondo Bateson, esso si struttura attraverso sequenze di relazioni significative apprese nella prima infanzia, è inconscio, tende sempre ad autoconvalidarsi, ed è quindi inestirpabile. Quello che chiamiamo io non è che l’aggregato di quelle caratteristiche che chiamo il mio carattere e quindi tutti i termini come dipendenza orgoglio , fatalismo si riferiscono a caratteristiche dell’io che sono apprese in sequenze di relazioni

Nel caso del delfino detto apprendimento veniva proprio invalidato dalla stessa figura di riferimento per lui importante, come può essere quella di un genitore e ciò era terribile , ma diventava altrettanto terribilmente creativo, al punto da consentirgli un passaggio all'apprendimento tre7.

Esso, l’apprendimento tre, ci dice Bateson, è molto raro , al punto che persino gli studiosi , che sono esseri umani, trovano difficile immaginare o descrivere questo processo. Qualcosa del genere è ipotizzabile nel contesto psicoterapeutico, nelle conversioni religiose e in tutte quelle esperienze che provocano una profonda riorganizzazione del carattere .

In questo contesto, astraendone la metafora, e quindi entrando nel Sancta Sanctorum di definizioni autorevolmente codificate sul Counseling, quali quelle già esposte, è facile intendere come esse inducano perlocutoriamente, (considerato che l'atto perlocutorio, secondo Austin è quello diretto a suscitare un determinato effetto sull'interlocutore)8 a credere che siano “indiscutibili”.

Invece, proprio, per aver acquisito un modo di pensare sistemico e.. ..irriverente, mi chiedo se dette definizioni, siano del tutto accettabili, e se non è il caso di rinegoziare il significante e il significato della “parole” counselor.

La parole è la concreta esecuzione linguistica, che sta ad indicare, non solo le regole grammaticali, ma anche le scelte idisincratiche e personali dei membri di una comunità linguistica9 come ho già detto in un precedente articolo.

Ludwig Wittegenstein, ( 1889 - 1951) filosofo e logico austriaco afferma che il linguaggio, è come il bastone bianco per il cieco, gli serve per costruire il suo mondo.

Conseguentemente, a mio avviso, il significante linguistico counselor, che nella lingua d'uso, la nostra, certamente non è di facile comprensione, come ho già detto, è inoltre denotatato e connotato come dice Sabrina Piroli, “per negazione e per sottrazione,” ma anche per doppi vincoli, perché sembra affermare e negare contestualmente la stessa sussistenza di un approccio diretto a prendersi cura, ... visto che l'esperto, al momento che deve essere definito, ne resta indefinito il contesto di appartenenza, richiede una rinegoziazione di senso.

Infatti, se la parola è segno gesto e rinvia all'azione, non mi sembra che detta locuzione consenta, in un sistema di aspettative condivise, una facile comprensione del suo significato, tra l'altro mutuato da un altra lingua, come io stessa ho constato, nel contesto del mio micromondo sociale.

Mi chiedo, allora, perché, nella “cornice clinica,” non possa essere incluso anche un intervento di Counseling, ed inoltre mi chiedo, perché non si possa ridefinire la locuzione counselor, in quella che nella lingua d'uso, la nostra, è certamente più negoziabile in ordine alla sua comprensibilità e cioè consulente, esperto nella relazione d'aiuto, che non ritengo sia confusiva rispetto a consulente, psicoterapeuta, in quanto il contrassegno sul modo del primo professionista, è di esperto nella relazione d'aiuto, mentre per l'altro è di psicoterapeuta, competenza codificata da una precisa normativa, a differenza del cosiddetto counselor: entrambi connotano due contesti assolutamente diversi, rispetto al setting, ma anche alla collocazione istituzionale, ma non all'epistemologia sistemica che è comune.

Da decidere, infine se il counselor- consulente possa essere configurato come professione autonoma o una specializzazione successiva attinente determinate professionalità, che a mio avviso è quella che eviterebbe confusioni e sovrapposizioni tra professionalità diverse , considerato che L’Italia è l’unico Paese in cui esistono ancora gli ordini professionali.

In conclusione un accezione clinica spogliata dalle sua connotazione medica, ritengo che possa includere la competenza dell'esperto nella relazione d'aiuto, perlomeno, questo è ciò che mi ha evocato la voce Clinica.

D'altro canto, se riflettiamo sull'etimo di questo significante linguistico, che, come ho già detto, rinvia alla vicinanza dell'osservatore all'osservato, esso non può non assimilare nella sua cornice semantica, tutti i contesti del prendersi cura, come un continuum, che si va definendo per differenza.

Fra l'altro, vorrei ricordare che la locuzione, Clinica, come tutte le espressioni ad alta valenza simbolica, a mio avviso, porta con sé, sempre un eccedenza di senso, che è per se stessa, apertura a sempre nuove semeiotizzazioni, come ha già implicitamente dimostrato Umberta Telfner, nelle sue ampie ed interessanti enunciazioni, in proposito.

Bibliografia

1 Carli R. Fenomenologia dell’adattamento sociale, in Nuove questioni di psicologia. La Scuola, Brescia, 1972.

2 M.Foucault, Nascita della Clinica, ed Einaudi, 1998)

3 Michael Foucault, L’ordine del discorso, pag .16,17,18, ed Einaud, 2004)

4 M.Foucault ,Malattia mentale e psicologia ed Cortina ,1997 )

5 R.D.Laing, L’io diviso, Einaudi, Torino 1969).

6 Sistemica, op citata, pagg174,175,176, 177,178) / Gregory Bateson , Verso un ecologia della mente , Adelphi , 1976

7 Gianfranco Cecchin, Gerry Lane,Wendel A.Ray,Irriverenza, ed Franco Angeli, 1992.

8 Pio E.Ricci Bitti e Bruna Zani,La comunicazione come processo sociale, pag.111, ed Il Mulino, 1983.

9 ibidem, pag 96


Rosanna Pizzo
Consulente relazionale (counsellor), esperto dell'ascolto e della comunicazione e del processo di aiuto alla coppia, alla famiglia, al singolo e all'adolescente.
http://www.counsellingrp.net
- Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Potrebbero interessarti ...