LA LEGITTIMITA’ DELL’ASSURDO E DEL PARADOSSO NELLA RICERCA. Uscire dal neo-oscurantismo scientista

Inviato da Nuccio Salis

medio evo

Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!” (Vangelo di Luca: 10, 21)

 

SCIENZA O MEDIO EVO 2.0?

Viene attribuita a Francoise de la Rochefoucaluld (1613 – 1680), scrittore e filosofo francese, la frase in cui viene detto che “Le menti mediocri condannano abitualmente tutto ciò che è oltre la loro portata”. Una riflessione decisamente attuale, e che molto spesso la si riscontra e la si può osservare in chi non desidera impegnarsi in un tema che viola le proprie abitudini acquisite e richiama a un cambiamento che può richiedere studio, ricerca, responsabilità e pensiero critico: ovvero tutto ciò da cui gran parte dei contemporanei ne rifuggono come la peste, sia mai che possano ricorrere nel rischio di comprendere ed evolvere.

 

Non a caso viene spesso citato il Medio Evo quando determinati argomenti che non si è in grado di affrontare o contemplare, disturbano l’ordine prestabilito delle proprie coordinate mentali e personologiche. Tutto ciò che non rientra nell’alveo del tangibile e del dimostrabile mediante formule empiriche o esperimenti ripetibili, viene derubricato come falso, bufala, o etichettato come “fake-news”, secondo le nuove direttive del controllo sociale in pieno stile orwelliano.

Ci troviamo alla presenza di un reflusso neoilluminista, sostenuto da una nuova casta sacerdotale materialista a cui rivolgere indiscussa obbedienza. Se nei secoli di tetro oscurantismo, ci si affidava ai monsignori del clero per ottenere grazie, protezione e remissione dai peccati, i pontificatori odierni somministrano forme più sofisticate di dominio sociale, suddividendo di fatto la percezione della realtà in due dimensioni opposte che non possono interloquire fra loro: da una parte il mondo esperibile dei sensi e dall’altra tutto ciò che viene omesso e contrastato proprio in funzione di questo rigurgito neocartesiano contemporaneo, che è l’esatto contrario della scienza.

Tutto è rimesso infatti verso i nuovi santoni della scienza da teleschermo in pieno stile nazional-popolare: sono loro a contribuire nell’ammansire ed ammorbare il gregge umanoide, a tranquillizzare il pubblico che c’è qualcuno che penserà al posto loro, a decidere cosa è giusto o sbagliato pensare, cosa è bianco e cosa è nero, cosa è vero e cosa è falso, senza sfumature e senza possibilità di replica. Chi non si allinea ai loro precetti viene emarginato ed irriso alla stregua di un somaro, con tanto di cappello in testa dietro la lavagna.

Oramai la loro funzione è praticamente inserita a pieno titolo fra gli strumenti di controllo e condizionamento sociale, fra una pubblicità dove le galline sono felici e un siparietto di canzonette gracchiate da vecchie cariatidi da palcoscenico. Uno spettacolo mortificante per la scienza, costretta ad una imbarazzante banalizzazione che ferisce a morte i suoi intenti divulgativi legati alla serietà ed al rigore che dovrebbe caratterizzarla.

Ma lo scientismo contemporaneo si nutre ormai delle attuali regole di visibilità da palcoscenico, mettendo sullo stesso piano la credibilità di uno scienziato con la sua popolarità dovuta alla percentuale di comparsate sotto i riflettori dei media. Esattamente come succede coi cantanti: nella percezione comune, infatti, chi è famoso  deve essere certamente anche bravo, mentre chi si è sottratto ai fasti del successo sarà certamente scarso di talento.

Non sono inoltre ammesse eresie, e i guru che rappresentano l’illuminismo 2.0 chiedono che gli adepti abbiano un deferente e sottomesso fideismo, soprattutto se desiderano ricevere il battesimo dei loro maestri, costruire carriere, guadagnare cattedre e riscuotere prestigio presso gli ambienti e le accademie presiedute dai loro stessi pigmalioni.

Lo scientismo contemporaneo ha praticamente tradito lo spirito della scienza, ed ha preferito bivaccare e prostituirsi con i sommi faccendieri dell’èlite e dell’alta finanza. Ed il fatto che ciò avvenga non è opinabile, è invisibile soltanto agli occhi di chi preferisce non vedere e non sentire, a chi per interesse o per paura nasconde la testa sotto la sabbia, con l’unica conseguenza di assumere una posizione decisamente favorevole al nemico.

Sono esistiti e per fortuna esistono ancora gli eretici, i portatori e dispensatori di saggezza e di eticità che non accettando di prostituirsi, e che con i loro percorsi a ostacoli cercano a fatica di divulgare quell’atteggiamento di ricerca, dubbio, criticità costruttiva, aggiornamento e progresso, che costituiscono le vere basi fondanti di un atteggiamento realmente scientifico, in piena proprietà del termine.

 

L’ANTIDEMOCRATICITÀ DEL CULTO DELLA LOGICA

Aver messo al centro la facoltà logico-razionale come strumento di comprensione dei fatti e dei fenomeni osservabili, si è rivelata per il genere umano una delle più grande illusioni ed inganni della storia, sia sotto il profilo del pensiero filosofico che della stessa ricerca scientifica.

È la stessa scienza che confuta questo suo paradigma, dal momento che con l’ausilio di ulteriori strumenti ed espedienti di ricerca, è dovuta pervenire alla constatazione che i sensi percepiscono un infinitesimale frammento di ciò che chiamiamo realtà.

La logica è stata eretta a culto totemico, e ne è stata innalzata una vera e propria idolatria con tanto di deriva radicale ed oltranzista. Tale atteggiamento ha di proposito contaminato il modello della rappresentazione comune sui concetti stessi dell’esistenza e del rapporto con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda, facendo degenerare l’umanità in un allarmante vuoto spirituale, di cui paradossalmente ne va addirittura fiera, descritto com’è dal linguaggio e dai lemmi del più becero materialismo scientista. Finchè resisterà questa impostazione dualista, che non è in grado di portare alcun contributo alla crescita umana sul piano anche valoriale, etico e trascendente, l’umanità sarà ingabbiata dentro la spelonca platonica delle illusioni, scambiando l’apparenza con il vero. Tale cecità è peraltro strumentale alla conservazione del dominio perpetuato sulla massa, forgiata a piacimento di chi detiene una conoscenza che non solo non intende condividere ma da cui dissuade dall’esserne incuriositi ed interessati.

Eppure, non sono mancati nel corso della storia importanti ed illustri pensatori e filosofi che hanno messo in guardia dalla degenerazione di una dittatura del primato della ragione, e della infondatezza della sua supremazia, considerati i suoi limiti e le mistificazioni che la stessa può produrre ed a cui è suscettibile.

Un esempio fra tutti il filosofo Friedrich Nietzsche (1844 – 1900), che solleva sottili e incisive critiche all’indirizzo di Socrate, accusando lo stesso di aver promosso l’illusione di rendere spiegabile l’imperscrutabile attraverso il ragionamento e la virtù del sapere. L’effetto sortito dal condizionamento della matrice socratica, secondo questo avviso, si paleserebbe nell’aver sottratto allo spirito di ricerca la sua tensione profonda al contatto con le cose, e nell’aver privato l’umano di quella dimensione dionisiaca che completa il valore dell’esperienza umana, e che anzi le conferisce piena essenza.

D’altra parte, che la mente riveli il mondo fenomenico affidandosi a risorse limitate, è cosa ben risaputa e ampiamente spiegata anche in un edificante passo evangelico, in cui Giuda, dopo aver accompagnato Gesù dagli scribi del tempio, si risente di come Gesù avesse trattato la casta degli intellettuali con un atteggiamento di sfida e di sufficienza. Una lettura profana e superficiale farebbe apparire Gesù alla stregua di uno strafottente che avesse voglia soltanto di fare un pò lo spaccone. Il fatto è che volesse dare un insegnamento a Giuda (e più indirettamente ai posteri dell’intero genere umano), quando il discepolo che poi lo tradì (non a caso) non si capacitava su come Gesù non avesse approfittato di discorrere finalmente con persone di elevata capacità intellettuale, in grado di comprendere le sue spiegazioni e la ragione della sua presenza e venuta nel mondo.

“Bisogna aprire la mente!” incalza Giuda, che rappresenta il mondo dell’intelligibile e della dialettica fondata su fatti e circostanze esperibili e misurabili.

“Non devi aprire la tua mente, Giuda”, gli replica Gesù, “Devi aprire il tuo cuore”, dichiarando in pratica che anche se un individuo raggiunge livelli di ampia capacità e attitudine intellettiva nel senso logico-razionale, non per questo ha la garanzia di comprendere ciò che magari non vorrebbe proprio sentirsi dire, dal momento che le sue convinzioni sono considerate dallo stesso i pilastri incrollabili del suo castello di conoscenze e significazione della realtà.

Gesù, infatti, non si rivolgeva mai agli intellettuali ed ai pensatori, perché parlava all’anima dei semplici, già proclamandoli per questo beati e nelle grazie di Dio. Con quel passo, Gesù ha dato a intendere che per capire realmente le cose nella loro essenza è necessario predisporsi a contemplare anche ciò che fino a quel momento può essere stato considerato impossibile o irrealizzabile. Chi è chiuso dentro i rigidi schemi e paradigmi della propria dottrina, però, non arriva a contemplare la possibilità che vi possano essere altre spiegazioni per i fenomeni che è abituato a definire. Considera esaustivi e più che sufficienti i percorsi epistemologici più consueti, ripetuti e collaudati. Questo è un diffuso e ricorrente esempio di egemonia e di ingerenza di stampo “mentalista”, sulla base di cui è impostata di fatto tutta la programmazione didattica della scuola tradizionale, che premia il conformismo, la superficialità, la monodimensionalità del pensiero e la convergenza cognitiva, uccidendo la creatività e umiliando lo spirito di ricerca.

Finchè avrà luogo questa impostazione, si parlerà soltanto a sproposito di democraticità, perché una comunità realmente democratica sollecita il pensiero critico e dialettico, convive in un dinamico palpitare di alchimie fra diverse idee, offre ipotesi e possibilità di ricerca aperti all’esplorazione, si apre nel riconoscere appieno il diritto di sentire e proporre anche ciò che nella propria cornice storica e culturale può apparire come assurdo, grottesco ed inconcepibile.

Trovo che sia un atteggiamento limitato, stupido e vigliacco scappare dall’avventura del conoscere e da tutto quello che riserva questo infinito viaggio pieno di lidi da esplorare.

 

L’ILLUSIONE DELL’OGGETTIVITA’

Uno dei più comuni indottrinamenti massificati consiste nella convinzione della neutralità della scienza. Niente di più falso, e si potrebbero riempire pagine e pagine di passaggi storici sia risalenti ai tempi più remoti che a quelli attuali, nei quali è dimostrato come la presunta oggettività della scienza sia l’ennesima pretestuosa mistificazione. La scienza rimane un punto di vista sul mondo, fatta di teorie, ipotesi da vagliare, da scartare o da validare a seconda dei canoni di lettura culturale più affermati nel contesto storico e politico di riferimento. La scienza si avvale di paradigmi interpretativi, e pertanto ciò che riesce a cogliere e ad osservare dipende dalla personale mappa mentale di chi studia e cerca di comprendere un fenomeno. Insomma, anche lo scienziato abita dentro la caverna platonica degli inganni e delle scorciatoie percettive. Non è di certo avulso da preconcetti e impostazioni teoriche per partito preso. Anzi, spesso, proprio perché viziato dall’abitudine di indossare sempre gli stessi occhiali, sembra essersi assuefatto all’atteggiamento relativo al selezionare concetti e modelli di realtà soltanto se aderiscono al linguaggio ed agli orientamenti epistemologici della sua disciplina.

Si sviluppa proprio all’interno di questa ottica il curioso paradosso dello studioso chiuso di mente. E trattasi di paradosso perlomeno secondo gli assiomi generali condivisi dalla maggioranza, ancora una volta buggerata da un ennesima falsità: ovvero credere che lo studio apra la mente. Lo studio di per sé, invece, è un mero accumulo di nozioni che se non viene investito nella sua utilità pratica, rimane un archivio blindato ed inservibile, soprattutto se vissuto con questo tipo di approccio esclusivamente quantitativo. La mente, però, può non essere affatto aperta dallo studio, specie se risulta impoverita della tensione verso la scoperta, se non manifesta la naturale attitudine ad esplorare e sperimentare in modo curioso,se rinuncia a ricercare nuove vie ed ipotesi inedite di spiegazione dei fatti e dei fenomeni, se si affranca dal rimettere in discussione ed aggiornare il suo sistema di pratiche e di sapere, se rifiuta di abbandonarsi all’entusiasmo del conoscere.

Abbiamo numerosi esempi di intellettuali incartapecoriti, magari accomodati su una sedia di prestigio, e che ormai preferiscono l’agevole e pacato servilismo all’originaria funzione pensante che supporta la pratica della libertà. Sono tutti coloro che il filosofo libanese Gibran chiamerebbe “asini carichi di libri” (cit.), ovvero i dotti impastati dei teoremi più accreditati ed accettati dal sapere accademico, ma che non esprimono il più flebile anelito di vita, spesso prostituiti alle forme del potere che congela strategicamente il pericolo del risveglio critico del pensiero.

E così, questi sapienti vengono celebrati dalla storiografia ufficiale come illustri personalità di edificante saggezza, creando naturalmente intorno a loro un’aura di sacralità e intoccabilità che impedisce di sollevare critiche legittime o ragionevoli e fondate perplessità. Sono i tranelli di un sistema sociale e politico che uniforma il pensiero a un modello unico, e con lo stesso metodo accetta soltanto quelle conclusioni scientifiche che sono funzionali al mantenimento dello status quo e dell’ordine costituito. Infatti chi soggioga i popoli ai suoi privati interessi finanziari, non teme guerre e rivolte, dai quali invece oltre che arricchirsi ulteriormente suggella i punti già precedentemente previsti e pianificati a tavolino, quanto piuttosto ha il terrore del risveglio della coscienza del singolo e della collettività fatta di singoli.

Come sostiene lucidamente lo studioso e ricercatore Marco Pizzuti:

 

IL materialismo moderno è la prima conseguenza nefasta della concezione meccanicistica dell’evoluzionismo darwiniano; un cancro mortale per la società civile e per il progresso spirituale dell’umanità. Le masse sono state così indotte a credere di essere venute al mondo per un puro caso dall’idea bugiarda che la vita non ha alcun senso ‘sacro’ e nessun mistero da svelare (…) IL vero motivo per cui venne scelta la teoria darwiniana fu quello di annientare l’idea dell’esistenza di un Ente creatore divino, per offrire alle masse un modello alternativo che potesse legittimare l’ateismo e i disvalori del Nuovo Ordine Mondiale” (…) Del resto, tutto il ragionamento conclusivo di Darwin è volto a capovolgere ogni fondamento logico della realtà, nel goffo tentativo di nascondere l’evidenza di un disegno intelligente” (cit. “Rivelazioni non autorizzate”,Vicenza, Il Punto d’Incontro, pp. 394 – 403)

 

Altro errore piuttosto pacchiano consiste nell’aver posto in termini di uguaglianza la logica con il pensiero, a riprova di come il dominio politico della prima equivalga all’unico modo di intendere e concepire la facoltà del pensare. I termini della questione però sono esattamente opposti, nel senso che la logica costituisce un elemento del pensiero, una possibilità molto utile per attivare procedimenti di analisi induttiva e deduttiva, cogliere i nessi interdipendenti fra le variabili di una medesima costellazione, vedere i legami causali fra i diversi fenomeni , comprendere la legge di Causa/Effetto, postulare conclusioni empiriche e dimostrabili. Pertanto, il pensiero è la macrocategoria che include anche i processi di natura logica, e che per completarsi ed espandersi con tutte le sue potenzialità, elabora la complessità dei dati anche in modalità divergente e creativa o, come direbbe De Bono, secondo i requisiti e le caratteristiche del pensiero laterale. In termini invece di neuro-funzioni, semplificando, la totalità del pensiero si manifesta mediante la cooperazione congiunta fra emisfero destro ed emisfero sinistro, quindi fra procedure di visione globale, sintetica, creativa ed a contenuti emotivi, insieme alle competenze sequenziali e maggiormente schematiche.

 

Per ritornare invece al paradosso dello studioso incapace di usare la moltitudine dei dati acquisiti, perché ha smesso di apprendere ed imparare, ha ragione a mio avviso lo psicologo maltese Edward De Bono quando sostiene che un’idea originale ha maggiore possibilità di svilupparsi proprio da una mente vergine, perché ignorando i paradigmi già noti e definiti in merito all’inquadramento di un fenomeno o di un problema, si è anche più liberi e meno vincolati dall’aderire ai pilastri di una disciplina che rivendica il suo consolidato statuto di conoscenza scientifica. È l’esatta copia dell’atteggiamento di resistenza e ostilità al cambiamento necessario, respinto nel nome della tradizione, del “si è sempre fatto così”: ecco, chi non ha ancora fatto così si sente più predisposto ad accettare idee anche apparentemente inaudite e grottesche. Chi invece ha interesse a difendere la sua personale posizione, obietterà facilmente qualunque proposta innovativa, rovesciando però lo stesso spirito della scienza, che consiste invece nell’offrire un servizio alla continuità della ricerca e all’innovazione.

Chi si è fatto incasellare da un’idea dominante ha scelto di fatto di collocarsi in una posizione che non può favorire la reale crescita e il vero progresso, elementi che invece costituiscono l’epicentro della missione da parte della scienza.

 

DARE CITTADINANZA AL PARADOSSO E ALL’INUSITATO

Per tutto questo ordine di ragioni fino ad’ora discusso, ritengo sia necessario sostenere le riflessioni e le esperienze offerteci da quei ricercatori impegnati nell’apologia del pensiero creativo e laterale. È un atto di umiltà anche da parte del luminare o di chi si autoincorona come tale, agghindandosi di allori e di onori solo perché ricalca l’informazione ufficiale e argina eventuali e lecite preoccupazioni e domande scomode.

Sarebbe costruttivo accettare anche il punto di vista del “somaro”, perché anche l’idea più assurda, improponibile e demenziale, potrebbe stimolare quell’apporto allo sviluppo di idee nuove, dal momento che le stesse nascono prima nella dimensione immaginativa di chi le concepisce, e quindi non possono essere soggette a nessun tipo di censura iniziale. Naturalmente su questo piano si gioca anche l’attitudine all’onestà intellettuale dell’esperto, dal momento che lo stesso si assume il compito di abbracciare una nuova ipotesi e cercare di darle senso all’interno di un percorso di ricerca più complesso, fatto anche di prove ed errori.

La liceità del “somaro” potrebbe rivelarsi molto più produttiva e feconda di quanto una mente già oscurata dalla conoscenza preconcetta non riesce a cogliere.

D’altra parte, la storia insegna come diverse intuizioni scientifiche siano arrivate attraverso i sogni e da una serie puntuale di sincronicità che ancora una volta costringono la ragione illuminata a scendere dal proprio scranno regale, per partecipare alla vivificazione del pensiero ed alle sue aperte possibilità di espressione in termini strategico-cognitivi.

Basti anche pensare a come il mondo scientifico accademico irrise i fratelli Wright quando presentarono il prototipo dell'aereo. Ai loro tempi, vigeva il dogma dell’impossibilità del volo, e la loro proposta ingegneristica servì soltanto a generare la grassa ilarità dei dotti di allora, che con la loro arroganza e supponenza non riuscirono a vedere che si stava programmando il futuro.

Stessa sorte toccò a chi ipotizzò che il sangue circolasse invece di stare fermo, nell’epoca in cui la scienza medica asseriva l’esatto contrario, oppure a chi ipotizzò l’esistenza di microforme di vita responsabili di contagiare malattie da una persona all’altra. Difatti un classico ragionamento scientista consiste nel concludere che se qualcosa non la si vede vuol dire che non esiste: dunque, siccome i batteri non potevano essere visti, la questione veniva derubricata ad una fantasia pretestuosa da parte di chi ne teorizzava l’esistenza, magari con accuse di protagonismo, ciarlataneria e mitomania.

È sconcertante prendere atto di come chi sia deputato a una funzione di ricerca abbia in realtà paura della conoscenza.

Sempre dalle straordinarie pagine prodotte da De Bono, vi è riportato un aneddoto che narra come i medico-chirurghi che estraevano e manipolavano reni, si fossero accorti della forma tubolare del rivestimento interno, ma non sapendola spiegare ne trascurarono l’utilità, definendola come un retaggio fisiologico dell’evoluzione anatomica e organica. Fu invece un idraulico a spiegare quale fosse l’esatta funzione di quella forma, perché egli riuscì a concepire il passaggio del fluido secondo la meccanica dei liquidi.

Insomma, conviene davvero fare posto anche ciò che all’inizio può sembrare illogico, anche perché la scienza stessa vive di una continua dialettica fra tesi ed antitesi, fra validazione e confutazione, fra dubbi legittimi e certezze acquisite, ed è in questa dinamica che si gioca la qualità del procedimento di una ricerca scientifica affidabile, nonché della sua reputazione e della sua attendibilità.

Credo che ogni scoperta o invenzione tecnologica o scientifica provenga da un luogo che costituisce una pluridimensione di elementi combinati quali il caso, il fortuito, l’onirico, l’immaginazione, l’intuito, e quella voglia di ricercare propria di ciascun spirito rimasto ancora un pò bambino, contenitore personologico molto spesso perduto e deteriorato da un approccio scientista sterile e rigidamente computazionale.

A volte, invece, sospendere lo sguardo e far finta di non sapere niente, smettere di categorizzare e dare un nome alle cose, superare la smania di misurare e catalogare, svuotarsi e abbandonarsi al disincanto, accettare il paradosso e l’inconcepibile, rimane forse l’unico modo per poter cogliere ciò che altrimenti sfuggirebbe ad una mente troppo occupata a soddisfare le proprie certezze, a nutrirsi cioè di quelle paure da cui può dipendere, più spesso di quanto non si creda, anche la credibilità di una conclusione teoretica e scientifica da confrontare col sistema di sapere e di conoscenze odierno.

Solo lo scienziato che adotta ciò che Eric Berne chiama “pensiero marziano”, potrebbe rivivere questo privilegio di essere egli stesso il primo strumento di validazione e misurazione dell’esperienza, perché ha deciso di sorprendersi, e quindi in ultimo ha deciso di capire. Fino in fondo.

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socio-educativo, Educatore professionale, Formatore analitico-transazionale)

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