narrare, narrar-si
Caravaggio: narrare con la luce
Michelangelo Merisi detto Caravaggio,Vocazione di san Matteo, 1599 -1600
un raggio di luce attraversa tutto il dipinto, una luce netta, pura, determinata, come una spada taglia la materia in due [...] per la prima volta, vedevo raffigurati in pittura dei concetti così forti, il Bene e il Male, l’umano e il divino, il cosciente e l’inconscio.[...] il raggio di luce che taglia la composizione è come sovrapposto, non è reale, ma ha la forza di un simbolo. È così che, infatti, Caravaggio decide di visualizzare il rapporto col divino, tramite la luce. E attraverso la luce attua una separazione netta: divide il mondo umano dal divino, il Bene dal Male, il passato dal futuro, il cosciente dall’inconscio.[...]
[Vittorio Storaro, Luce e ombra nell’opera di Caravaggio, lezione all’Accademia di Belle Arti di Palermo, http://www.edizionikalos.com/]
Potenza delle immagini! La lettura di questa opera ci svela cosa sia il narrare, l'offrire un intero mondo di percezioni, valori, complicità affidandoci ad un impareggiabile contrasto luce/ombra.
E per tutti noi, comuni mortali, provvede la parola con il martellante e diffuso elogio della narrazione e della narrazione di sé. Ne sentiamo parlare da esperti e maestri della relazione intra e interpersonale come di una necessità, di una strategia quasi terapeutica; anche nel counseling, qualunque sia l'approccio, il narrar-si è considerato elemento imprescindibile o addirittura obiettivo fondamentale da perseguire perché la persona in aiuto riconquisti il Ben-Essere. Ciò che sappiamo tutti, ciarlieri o introversi, è che saper narrare non è affatto facile e non basta desiderare di farlo per ottenerne, noi e chi ci ascolta, quei tanti benefici che restano in potenza, possibili, potenziali ma inespressi.
Narrare non è, come potrebbe apparire, raccontare. Ma perché proprio solo il narrare riveste questa valenza? In effetti, anche l'autore di racconti e romanzi è definito narratore e la critica letteraria pone una sostanziale diversità tra tra narrare e raccontare (si veda Gerard Genette e il narratore intra o extra diegetico); quello del narratore è un ruolo ricchissimo di sfumature, tanto che al narratore non viene concesso di raccontare qualunque cosa perché dovrà mantenere un racconto coerente, una trama ed una storia, una successione di fatti e personaggi, spazio, memoria, tempo, contesto, valori... Narrare, dunque, non significa mai solo raccontare una storia. “Narrare significa raccontare un mondo, attraverso una storia” (in http://www.chimica-industriale.unibo.it) e attraverso una storia raccontare un luogo, una società o una singola persona; in altre parole, un mondo fisico, sociale, economico, politico, artistico, psicologico, ecc. Da questa complessità origina il bisogno di narrare, caratteristica profondamente umana, che riscopriamo ogni volta in maniera diversa. Dunque il racconto è l'oggetto, è ciò che il narrare crea. Narrare non significa solo mettere in fila fatti e informazioni. Significa prima di tutto trasmettere uno sguardo sul mondo e una esperienza.(in http://www.ioscrittore.it/)
Narrare di argomenti reali o di invenzione è comunque operazione qualitativamente diversa dal raccontare e richiede allenate abilità e competenze espressive, espositive, lessicali e linguistiche, ma soprattutto una visione d'insieme che dia un senso al racconto. L’emisfero sinistro del nostro cervello è dotato di una funzione narrativa e razionalizzante, una sorta di interprete, "capace in ogni circostanza di dare un senso unitario alle percezioni e inserirle in un racconto, elaborando e narratizzando, il linguaggio interiore”(Boncinelli, 1999 in http://alehyppo.altervista.org/).
Per questo, quando il narrare è narrar-si cioè narrare di sé a se stessi o all'altro, stiamo costruendo la nostra identità personale: attraverso la narrazione agli altri e prima di tutti a noi stessi, della nostra autobiografia, del nostro curriculum vitae, come dell'accadimento più recente o più lontano nel tempo, definiamo e ri-definiamo chi siamo e mentre narriamo le nostre esperienze, stiamo già cambiando. Mentre raccontiamo le nostre esperienze, intreccio di punti di vista diversi e di diversi personaggi, diversi princìpi, altalenante giostra di incontri/scontri, impariamo a renderci conto della molteplicità dei punti di vista, a nutrire convinta consapevolezza della legittima validità del nostro modo di osservare quanto di quello altrui; impariamo a metterci nei panni dell'altro, a comprendere le sue emozioni oltre che le nostre. Narrare e narrar-si è tutto questo e molto di più: è capacitarsi finalmente di quanto sia grande la complessità del nostro mondo e di come sia riduttivo, impietosamente riduttivo continuare a credere che il nostro contributo alla società sia più determinante di altri, che le nostre mete, i nostri obiettivi siano, in quanto nostri, più meritevoli di altri e da questa condizione interiore rinasciamo a nuova vita, con rinnovate fresche energie positive. E come andrà con l'autostima?
A ...tra poco con qualche riflessione sulla fiducia in noi stessi.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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