Sistema sanitario e counseling

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counseling familiare_bambinoConvivere con una patologia cronica o grave non è semplice, soprattutto se trattasi di una persona giovane od un bambino. In quest’ultimo caso ad esserne coinvolta è l’intera famiglia, particolarmente quando la malattia è clinicamente impegnativa. Si pensi ad esempio ai permessi dal lavoro per portare un bimbo ad una visita o alle lungaggini burocratiche (prenotazioni, attese ecc.) che mettono alla prova persone già psicologicamente provate. O ancora alla necessità di accudire altri figli, temporaneamente parcheggiati da qualche parte durante i ricoveri. Per esperienza personale sò quanto sia importante trovare comprensione, disponibilità e cortesia da parte degli addetti ai lavori.  Lo dico da padre e non da medico. Nel medico può subentrare il distacco emotivo, in un padre accade esattamente il contrario.

 

In determinate situazioni servirebbe una maggiore razionalità nell’assumere decisioni che riguardano un proprio familiare, ma l’emotività che deriva dalla paura, dalle infinite domande sul “perché proprio a noi”, dal conflitto tra speranze e delusioni, tende a parassitare il pensiero. A volte l’ansia e le preoccupazioni per il futuro, innescano circuiti perversi come la colpevolizzazione del paziente. Possono quindi emergere spinte aggressive la cui origine è generalmente inconsapevole. L’aggressività può rivolgersi tanto al paziente quanto a chi lo ha in cura o ancora all’interno della coppia genitoriale.

Migrare da uno specialista all’altro più che un tentativo di acquisire pareri concordanti, onde operare le migliori scelte diagnostiche o terapeutiche, può esprimere la necessità di trovare pareri che diano sostanza alla speranza. E’ umano ma a volte rischioso, altrimenti non si spiegherebbe il frequente ricorso a personaggi ambigui che speculano sulla speranza altrui proponendo terapie strambe senza nemmeno essere medici. E’ una prova per tutti. Una prova nella quale vengono messi in campo valori e credenze. Quando venne ricoverata la mia piccola bimba di 5 mesi, una suora venne al lettino e regalò un santino da mettere sotto il cuscino. Un gesto semplice ma colto da due genitori stanchi e spaventati come un atto di partecipazione e solidarietà al di là di un credo personale.

Il santino ha accompagnato la bimba anche a casa, sistemato sotto il cuscino. Non servono supporti psicologici ad hoc, spesso determinati da necessità di categoria, ma occorre un sistema che dia parola alla solidarietà, alla vicinanza, all’ascolto. Un operatore sanitario, medico o infermiere che sia, che si approccia in modo freddo e distaccato se non addirittura cinico, può far precipitare ulteriormente nell’isolamento emotivo. Negli ultimi anni si è operata la cosiddetta  managerializzazione degli operatori sanitari, confondendo la qualità sanitaria con l’economia. La qualità la fanno le persone non i titoli. Un percorso di counseling per gli operatori sanitari potrebbe sicuramente giovare al sistema qualità ed ancor più ai pazienti, ai familiari.

Non sempre si trovano risposte o soluzioni ai problemi clinici ma certamente accoglienza e disponibilità umana contribuiscono a rendere meno traumatizzante un’esperienza di dolore. 

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