La vendita delle indulgenze


Caro Giovanni,

facendo seguito al Tuo invito ti invio alcune mie riflessioni sull'attualità della professione del counselor, sperando che possano essere messe a disposizione di tutti quei counselor liberi ed in perenne formazione, cioè per tutti coloro che vogliono continuare a prendere forma e non intendono adagiarsi sul senso e sul sesso unico.

La legge  4/2013 non regolamenta le cosiddette professioni non regolamentate da Albi o elenchi ai sensi dell'art 2229 C.C., ma afferma un principio importante peraltro gia esistente nel nostro ordinamento: tutto ciò che non è regolamentato è libero. La legge in questione afferma che il professionista (in questo caso il counselor) può definirsi tale a prescindere dall'apparternenza ad associazioni e a prescindere da ogni standard formativo (non esiste un percorso formativo ufficiale secondario o post secondario per counselor).

I titoli rilasciati dalle associazioni (spesso a caro prezzo e da formatori autoproclamatisi trainer, a volte privi di autentici titoli accademici formali) sono titoli che ciascuna associazione attribuisce privatisticamente ai suoi associati. Null'altro. E' certo che una eventuale norma UNI (anch'essa facoltativa) potrà semmai definire gli standard basandosi eventualmente  su titoli formali (diploma di scuola secondaria di secondo grado, percorsi formativi  post secondaria in ambito socio assistenziale o psico sociale rilasciate dalla Regioni o laurea) al fine di farli rientrare nell'equivalente EQF europeo.

In pratica, verosimilmente, sarà il mercato a determinare il succeso o l'insuccesso professionale del counselor in base alle effettive abilità e competenze da lui espresse. Credo che soltanto una formazione ed un aggiornamento continuo multimodale e non ghettizzato possa dare al counselor speranza di sopravvivere nel mercato libero.

Non, quindi, la "vendita delle indulgenze" da parte di chicchessia. Importa, invece, la crescita scientifica e culturale (oltre che deontologia) che ogni professionista saprà assicurarsi per sopravvivere nel mercato libero. Importa il libero scambio di idee, di formazione, di comunicazione tra counselor ed in tal senso la meritevole iniziativa di Counseling Italia potrà fare ancor di più  agendo da coagulo tra tutti i counselors liberi e non etichettati. Si potrebbe, ad esempio, pensare ad un aggiornamento continuo (senza vendita di indulgenze)  e ad un dibattito sui temi della professione anzichè su dispute  burocratiche e a misurarsi a chi la sa più lunga.

Certo chi intende fare business non sarà  d'accordo con quanto  quì affermato è insisterà, riempiendosi la bocca, sul concetto di standard elevati che solo le associazioni possono garantire. Ma questa è solo una opinione e non ha affatto il carisma della certezza. Non si capisce come si possano migliorare gli standard con modelli formativi autarchici e non fondati sulla libertà del singolo di andare ancora oltre e poi oltre ancora. Ci siamo capiti. Spero.

Occorre rimboccarsi le maniche e occuparsi più del fare e di come trovare spazio lavorativo, nel mercato libero, senza imbrigliarsi in inutili orpelli che hanno il solo scopo di togliere il godimento, ossia, il piacere di fare.

GRAZIE GIOVANNI PER LA BELLA INIZIATIVA E SPERIAMO CHE COUNSELING ITALIA  POSSA DIVENTARE IL LUOGO, DEL LIBERO SCAMBIO DI IDEE, FORMAZIONI, COMUNICAZIONE TRA I TANTI PROFESSIONISTI NON VINCOLATI DA ALTRI CHE PENSANO DI SAPERLA PIU' LUNGA.

Un caro saluto. Salvatore Arcidiacono

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