L’IO E’ CONTENITORE DI MOLTITUDINE. Il trattamento del Sé fra conservazione e cambiamento

Inviato da Nuccio Salis

molteplicita

1. Un Sé dalla struttura sana ed integrata, per essere considerato tale, si manifesta mediante compresenza fra stabilità e flessibilità. Con la prima qualità si fa riferimento a quell’insieme di elementi consolidati e maturati nel tempo, che il Sé ha guadagnato durante la propria esperienza formativa in itinere. Tali fattori costituiscono una robusta piattaforma di base che, se in parte è preformata da corredi e memorie ancestrali riferibili alla specie di appartenenza, fondata sia da prescrizioni bio-genetiche che da strutture macrosociali e culturali, d’altro lato risulta pregna della continua interconnessione dinamica fra predisposizioni temperamentali innate e variabili ambientali. Questo continuo e progressivo moto magmatico definisce esattamente la natura eterogenea e multidimensionale del Sé, non soltanto in termini di singole particelle, quanto anche in forza del principio cardine generale che delinea l’armonia del Sé: ovvero, come detto all’inizio il rapporto fra ciò che è permanente e ciò che è maggiormente soggetto alla trasformazione.

 

Non è pensabile, dunque,  condurre la rivoluzione del Sé alle sue estreme conseguenze, ovvero a un mutamento talmente radicale da interessare le componenti fondanti dell’intero apparato espressivo-identitario del singolo.  I cambiamenti che apportiamo nel tempo, dipendenti da una molteplicità di eventi e coincidenze di fatti e situazioni, non possono essere repentini e sfuggenti a un preciso e ordinato orizzonte valoriale che funge da guida verso una rotta ricca di senso e significato. Il Sé non è un avventuriero stolto che naviga a vista, esso è invece fornito di mappa, di un concetto di Sé che annovera immancabili indicazioni fenomenologiche che rimandano di volta in volta alla natura più vera, profonda e intima di se stessi. Se così non fosse, fra l’altro, il Sé sarebbe un contenitore facilmente friabile, vulnerabile e incapace di difendersi dentro un principio alquanto utile di regolarità. Modificare il Sé nei suoi aspetti strutturali, dunque, non significa svuotarlo di quegli ingredienti che ne rappresentano la sostanza primigenia, e che fondano l’unicità di base di un Sé; vuol dire invece rispettare le peculiari fondamenta dell’entità Sé, e procedere all’eventuale ristrutturazione del medesimo secondo il paradigma stabilità/flessibilità, ovvero quel luogo in cui si incontrano le istanze che promuovono, rispettivamente, esigenze di linearità e ordine concettuale, coi bisogni esplorativi di commutazione interiore e rigenerazione di se.

Solo questo equilibrio garantirebbe la corretta funzionalità psichica di un Sé, che in effetti necessita di un collante di fondo che eviti la non augurabile frammentazione degli elementi. Un Sé sano, infatti, sa distinguere la parte dal tutto, e sa abilmente manifestare una singola componente in senso adattivo e funzionale, conservando la consapevolezza sulla complessità ontologica della sua intera struttura.

All’altra estremità, è bene citarlo, si colloca il rischio di ispessire eccessivamente le componenti strutturali portanti del Sé, provocando un tale irretimento da impedire il riconoscimento dei bisogni, delle potenzialità e delle necessità progettuali legate a un’eventuale responsabile esperienza di crescita e riprogrammazione autonoma del Sé.

Dunque, la teoria del legame funzionale e interdipendente fra stabilità e flessibilità, è valida nei suoi effetti pragmatici,  solo dal momento che ci si impegna a curarne l’equilibrio, e gestirle in una interfaccia capace di creare nuove alternative concettuali e operative. Il risultato, insomma, deve essere più della somma delle loro parti, in quanto rappresentano istanze diverse che non si possono quantitativamente addizionare, ma esprimere in una qualità esistenziale che dia luogo a nuovi dati, inedite tensioni esperienziali e originali modelli propositivi di problem-solving.

Insomma, “stabilità” non può essere confusa con rigidità, così come “flessibilità” non deve essere concepita alla stregua di confusione, o dispersione esplosiva del Sé e disordine distruttivo; perché sarebbe come confondere libertà con anarchia, concetti comunemente e tristemente sovrapposti e usati arbitrariamente come sinonimi.

Riepilogando, il Sé non può essere visto soltanto come un monoblocco “o bianco o nero”. Quando si riserva di esprimersi come struttura integrata, esso non è né Apollineo né Dionisiaco, e di conseguenza non esonda verso esplicitazioni fatte di eccessi.

È con la consapevolezza della realtà personologica come moltitudine, che il counselor dovrà procedere nella presa in carico di ciascun soggetto che dovrà ricevere aiuto. Il professionista dell’ascolto dovrà ricordare che, in modo particolare, egli svolge un ruolo di sostegno improntato alla necessaria, anche se spesso dolorosa, ristrutturazione di sé, all’interno di un disegno che si confà alla spinta propulsiva che il counseling promuove, con la finalità di una vera evoluzione. Lo sguardo del counselor dovrà essere sulla complessità, e la sua attenzione diretta proprio alla multidimensionalità di ciascun individuo da mobilitare all’interno di un più agibile e rassicurante panorama esistenziale.

Quindi, ciò che potrà o dovrà essere cambiato, è ciò che fa parte delle istanze sia esplicite che recondite del soggetto che si prepara ad agire dentro una nuova cornice di esistenza. Non si tratta dunque, di modificare in toto quelle qualità umane o esperienziali che sono tratte dalle peculiari inclinazioni psicogenetiche; si tratta invece di riconsiderare quali dubbie qualità espressive del Sé stanno impantanando il soggetto in un meccanismo ridondante, obsoleto, e non più idoneo ad approntare azioni efficaci e risolutive. Il compito a cui si è tenuti è quello di conservare ciò che ha un valore di permanenza funzionale, ed immettere sollecitazioni utili ad aprire ipotesi di nuovi programmi del Sé, in grado di ridefinire rispettivi identikit personali.  Ciò viene condotto incoraggiando un vicendevole agganciamento dinamico fra concetti e azioni, ovvero all’interno di uno script dove nuovi stili di ragionamento e rappresentazione si alleano agli effetti esecutivi di comportamenti pianificati, in una procedura trasformativa reciproca fra costrutti e modi dell’agire.

 

2. Come si interviene, operativamente, per dedicare un’attenzione focale globalizzata alle principali componenti del Sé?

La direzione destrutturante, condotta dal counselor verso il consultante, deve estendersi alle parti costituenti l’individuo, che richiamano le dimensioni razionale, esecutiva e affettivo-emotiva.

Con la premessa che non si procede dando una precedenza parcellare all’uno piuttosto che all’altro degli elementi.

Nei confronti dell’area cognitiva, il counselor vi si rivolge cercando di sollecitare nuove ipotesi di lettura sulla realtà, provando a rovesciarla, confutarla, ricercandone altre angolazioni prospettiche, con l’aiuto di strumenti quali: domande confutative, provocazioni paradossali, immaginazione di accadimenti possibili, riflessioni deduttive sulle conseguenze in relazione alle cause agite. Quest’ultimo intervento in particolare, denominato follow up, cerca di richiamare il cliente sul legame causale fra azione riportata ed eventi manifesti. La finalità è insita nel riportare la persona aiutata, alla consapevolezza del reciproco allaccio fra sistema delle convinzioni e creazione di realtà. La prospettiva dentro cui ci si muove consiste nel riabilitare il soggetto all’acquisizione di un comportamento costruttivo e responsabile, unito a rigenerati schemi di pensiero. È l’approccio focalizzato sulla tangibilità dei risultati che dovrebbe rinforzare comportamenti funzionali e a positivo rendimento.

Una seconda area a cui ci si rivolge è quella afferente alla dimensione dei contenuti a carattere esecutivo, ovvero a tutti quei programmi sviluppati dal concatenamento fra istruzioni e modelli lineari di Stimolo-Risposta, prescritti da aspettative condivise (es: se il semaforo è rosso devi arrestarti ecc.). in questo caso, l’ingresso di nuove informazioni arricchirà il repertorio delle competenze esecutive e della conoscenza in merito ad aspetti funzionali che ampliano le attività di coping nell’individuo.

Il  terzo aspetto che cattura inevitabilmente la nostra attenzione è quell’immenso calderone degli stimoli affettivi (primari e secondari), che quel nucleo del Sé emotivo esprime attraverso un’interpretazione della realtà fatta di inferenze intrapsichiche, suggestioni sensoriali e coordinate sentimentali. È quella dimensione del Sé che richiede una raffinata cura e capacità di accoglienza, e che per comprendere la quale non possiamo fare a meno di ricorrere alla competenza empatica.

Un cambiamento significativo coinvolge inevitabilmente questo campo del Sé, condizionando non poco la completa evoluzione ristrutturale del singolo. Da essa bisogna cogliere ed accogliere tutte quelle istanze profonde connaturate ai bisogni elementari, in prospettiva che si ramifichino conseguentemente verso spinte più mature e trascendentali. A livello operativo, interventi quali la verbalizzazione e tutti quei segnali di vicinanza e accettazione, possono agevolare il cliente a gestire i suoi processi interni facendone una merce preziosa di crescita, in direzione progressiva sotto il profilo psichico e spirituale.

Riformulato in termini transazionali, tale intervento si rivolge in buona sostanza ai rispettivi stati dell’Io Genitore, Adulto e Bambino, con l’aggiornata consapevolezza, in merito al capitale teorico-pratico dell’approccio analitico-transazionale, che ciascuna dimensione è considerata fortemente connotata dall’azione ricognitiva di ciascun Io, che riformula la realtà secondo un accoppiamento interdinamico fra modello egoico proprio e contingenze socio-ambientali con cui interagisce, in accordo con l’esperienza costruttiva e ri-costruttiva dello scambio.

L’attribuzione di una pluridimensionalità orchestrale, nei confronti dell’entità psicologica Sé, diventa dunque l’impalcatura operativa del counselor che osserva e programma un intervento olistico, dentro il cui percorso si rivolge attenzione sia selettiva che congiunta al modello complessivo del Sé, rivalutandone la potenzialità espressiva in chiave rigenerativa, in grado cioè di caratterizzare l’individuo secondo parametri di vera evoluzione e reale miglioramento significativo.  

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