CIBO & SALUTE: un connubio sempre aperto

Inviato da Nuccio Salis

cibo e salute

Il rapporto col cibo definisce diversi aspetti circa la struttura personologica di un individuo. Vi sono approcci che dedicano una specifica prerogativa all'indagine fra tale relazione, soprattutto laddove sono necessari accertamenti clinici ed interventi di natura terapeutica. Anche all'interno del counseling, ad esempio, esiste da tempo l'interesse ad approfondire gli aspetti legati alla nutrizione, ovvero modelli e stili di vita adottati da un soggetto in riferimento al suo rapporto col cibo.

Benché non sempre utile e servibile, questo tipo di investigazione potrebbe mettere in risalto, almeno sotto l'aspetto della conoscenza interpersonale, dinamiche di non poco rilievo, circa i fattori personali del soggetto preso in carico. Senza addentrarsi nei cunicoli di una sottoramificazione altamente specialistica, sarebbe utile nel contempo affrontare l'eventuale opportunità rappresentata dal cibo come elemento di presentazione e comunicazione del Sé.

Il cibo è anzitutto, certamente il carburante principale della vita fisiologica di un individuo. Tuttavia, la sua funzione primaria viene ben trascesa dall'esperienza mentale di ciascuno. Ovvero, questo non è soltanto vissuto e circoscritto alla sua mera funzione di sopravvivenza.

Il cibo è veicolo di significati psicologici, culturali, etici e religiosi. Nell'esperienza di ciascuno assume una valenza simbolica, sia prettamente individuale che estensivamente collettiva. Insomma si potrebbe affermare che la vera prima digestione avviene nel cervello, prima ancora che dalla bocca.

Lo stimolo cibo sollecita prima di tutto l'area sensoriale, la quale può produrre facilmente associazioni mnemoniche e suggestive, attivando ricordi ed esperienze sinestesiche. Lo sanno bene coloro che vendono prodotti alimentari confezionati, che cercano di imprimere e rievocare soprattutto suggestioni a carattere emotivo che si rifanno a un'infanzia perduta, vissuta nella genuinità dei sapori e nella semplicità della vita. Ed ecco i "biscotti della nonna", "la zuppa del nonno", "la bresaola della trisavola" e via elencando.

È mediante il cibo, infatti, che durante l'infanzia, nel bene e nel male, abbiamo imparato a mediare i nostri rapporti, ricevendo spesso premi o intimidazioni legate al cibo come strumento di rinforzo. "Se mangi tutto mamma è contenta", "Se rigurgiti sei un bambino cattivo", o il classico ed obsoleto "a letto senza cena!"; tutte modalità di gestione e di richiamo dirette a costruire una qualche forma di relazione interpersonale con le figure adulte e genitoriali.

Molto spesso, le modalità di rapporto con l'ambiente sono nettamente influenzate ed ispirate a tali esperienze primarie, dalle quali si sono ricavati ed interiorizzati modelli rappresentazionali in merito allo stile di fronteggiamento e significazione della propria esistenza.

Per questa ragione, il cibo continua ad assumere continuamente una valenza intrisa di elevato significato simbolico, anche nella vita adulta. Il pranzo di Natale, il cenone di fine anno, l'invito a cena come preludio al rapporto sessuale, o sedersi a tavola per discutere di affari e rafforzare legami amicali o parentali, sono tutti momenti che denotano gli aspetti ritualistici o conviviali che sanciscono l'attività del nutrirsi come ampio spazio psicologico connaturato dagli elementi archetipici, ritualistici e culturali che si accompagnano all'attività del consumo di cibo.

Tale aspetto va dunque considerato, soprattutto se rappresenta una priorità nel complessivo identikit della persona verso cui ci proponiamo abilmente a prenderci cura. Vi sono infatti casi in cui l'aspetto del rapporto col cibo è talmente prioritario da concatenarsi col resto degli eventi e della personale lettura che ciascuno può fare di se e dell'ambiente che lo circonda, proprio in merito a questa precisa tematica. Ciò obbliga a tenere conto di un possibile impatto collusivo su questo tema, qualora affrontato più o meno casualmente, e con imprudente leggerezza. Ci è quindi d'obbligo riconoscere o far emergere tali caratterizzazioni, per verificarne le esatte declinazioni e valutare se si posseggono le competenze idonee a continuare un percorso formativo con gli strumenti del counseling o se, come in certi casi si mostra necessario, demandare il soggetto aiutato ad un collega più esperto o specializzato.

Tali riflessioni sono dipese specialmente dal fatto di dover constatare che, nel corso delle mie attività, vi è stato qualcuno che ha mostrato una insolita resistenza al trattamento, e che questa fosse presumibilmente da imputare in buona parte alla personale gestione del ciclo sonno-veglia, che rendeva il soggetto lento nel processo dell'apprendimento e dell'assunzione di iniziativa propria, in forza del progetto condiviso.

Anche a livello scolastico, per esempio, si rende sempre più necessaria l'ipotesi di un'educazione alimentare in grado di arrestare e prevenire la deriva di abitudini insane che dal piano della nutrizione si allacciano poi al discorso sull'obesità, sulla sedentarietà, sull'astenia e sul comportamento alimentare che favorisce lo sviluppo di disturbi psicogeni, deficit dell'attenzione e condotte generali associate. Tale argomento ha una portata ormai emergenziale, e andrebbe condotto ed applicato dentro un'ottica seriamente impegnata sul fronte preventivo di tutte le turbe legate al malsano rapporto col cibo, coinvolgendo tematiche di natura relazionale, emotiva, culturale e politica e, perché no, non dimenticando che "Non di solo pane vive l'uomo", al fine di offrire a ciascuna parte di noi il cibo giusto che le è stato assegnato, poiché la fame di amore, ad esempio, non si compensi illusoriamente con grandi abbuffate destinate soltanto ad essere espunte da un corpo maltrattato da se stessi.

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