Attorno al fuoco
C’era una volta, in un tempo lontano, una tribù seduta attorno al fuoco. Gli anziani parlavano senza fretta delle loro avventure mentre i bambini giocavano allegramente. Gli uomini e le donne erano in ascolto e riflettendo, cercavano di dare senso alle loro attese. Tutti, uno accanto all’altro condividevano, illuminati dalle fiamme, la fatica e i timori della giornata trascorsa e così dal fuoco prendevano la forza per affrontare il domani.
C’era una volta e c’è ancora una tribù distratta di fronte al televisore. Nessuno parla delle sue preoccupazioni mentre i piccoli possono giocare senza far rumore e senza scocciare. Gli adulti non scambiano che poche battute e litigano su chi deve tenere il telecomando. Ognuno di loro è stanco della propria giornata, c’è chi sente freddo dentro e pensa di accendere i termosifoni. Qualcuno manda messaggi, ma solo attraverso il telefonino per augurare la buonanotte!
Come assimilare e rinnovare i segni che fondano
i giorni belli e significativi della mia esistenza?
Serve o no conservare i ricordi per riviverli quando
la memoria ci chiede le sue ragioni?
Tornando alla metafora della tribù, seduta attorno al fuoco, sembra paradossale vedere oggi ragazzi morire di freddo in piena primavera. Perfino in estate, attorno ai falò con le chitarre sulle spiagge, accade di sentire qualcuno accanto come un pupazzo di neve, altri come blocchi di ghiaccio, a cui non arriva nessun contatto, nessuna ventata di calore.
Allora, che cosa fare?
Cosa inventare o scoprire? Come sciogliere le gelide montagne dell’indifferenza?
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