TUTTI CONTRO TUTTI … QUANDO IL CONFLITTO È DI GRUPPO


tutti contro tuttiIl conflitto tra due persone è complesso da risolvere, soprattutto quando dura da tempo, magari da anni.

Ma è altrettanto o più complesso il conflitto che avviene tra tante persone, che coinvolge l’intero gruppo di lavoro, è complesso perché ognuno contribuisce senza accorgersene ad alimentare la tensione e a mantenere lo status quo. In azienda, non è raro che il gruppo dei pari si scontri con il gruppo dei responsabili, e vice versa, in una sorta di visione distorta di solidarietà di grado.

In un conflitto ognuno è convinto che i propri comportamenti siano normali, corretti, e comunque giustificati dai comportamenti degli altri, ognuno è convinto che i propri comportamenti siano effetti, causati dai comportamenti scorretti degli altri. Non si vede che in realtà si tratta di un circolo vizioso (di punteggiatura, direbbe Paul Watzlawick con uno dei suoi fondamentali assiomi della comunicazione).

I pensieri vengono occupati dalle fantasie negative, dalle interpretazioni contorte di parole e gesti della controparte. Si trascorre tanto tempo a immaginare perché l'avversario ha detto, ha fatto ..., e a parlarne con i propri alleati.

Le emozioni sono amplificate, qualsiasi evento o commento, anche minimo, può amplificarsi.

Il linguaggio degenera, entra il sarcasmo, a volte la volgarità esplicita.

 

L’intervento di counseling di gruppo richiede una buona alleanzadel professionista con tutte le parti in gioco, che potranno accettare di lavorare sul conflitto solo se percepiscono il counselor come una persona competente ed equidistante, che non sta dalla parte di nessuno, ovvero che ha come obiettivo la soluzione del conflitto e non la prevalenza di una parte sull’altra.

Se l’alleanza è sufficiente, è possibile cominciare un dialogo con le diverse parti.

Attraverso l’ascolto emergono storie, emozioni, disagio.

Attraverso il confronto è possibile riportare ad una dimensione più obiettiva ciò che sta accadendo, far vedere come non ci sono colpevoli o cattivi, tutti stanno partecipando al conflitto in modi diversi.

Utilizzando la propria presenza equilibrata, il professionista progressivamente conduce le parti dal passato al futuro.

Nel conflitto stiamo ad accusare l’altra parte, cerchiamo negli episodi passati e presenti le provedella sua colpevolezza. Progressivamente, possiamo vedere come l’altra parte sta facendo lo stesso, non c’è una verità, la nostra, ma solo opposte percezioni, ciascuno ha il suo punto di vista, parziale. Ma finchè cerchiamo le prove che noi siamo nel giusto e gli altri nel torto stiamo solo mantenendo lo status quo.

Quando riusciamo a vedere che per venirne fuori occorre lasciare il passato e rivolgersi al futuro, cominciare a pensare a cosa si può fare invece che recriminare, bene, abbiamo fatto un progresso.

Certo non è subito facile, non è subito stabile, un po’ le controparti ce la fanno, un po’ ricascano nel solito girone.

La teoria dei giochi psicologici ed il triangolo drammatico di Stephen Karpmann sono molto potenti per questo percorso, verso una visione adulta delle dinamiche del gruppo. Fa emergere che il conflitto non è solo colpa del Persecutore, ma che anche le parti “buone” giocano, da Vittima e da Salvatore. Non ci sono buoni e cattivi, ma solo persone ingaggiate in dinamiche improduttive. Spesso le persone si rendono conto delle emozioni ricatto, e della loro potenza, e capiscono che vale per tutti i giocatori. 

Riassumendo, questi mi paiono gli elementi importanti per chi, professionista o no, vuole aiutare nella soluzione di un conflitto:

- chi interviene in aiuto ha da essere percepito come competente ed imparziale, alleato non con una parte o con l’altra ma sinceramente impegnato nel miglioramento delle relazioni e nella diminuzione delle dinamiche conflittuali;

- è importante che progressivamente le parti vedano che non ci sono buoni e cattivi, colpevoli e innocenti, ma che tutti stanno contribuendo a mantenere la tensione comunicando in modi improduttivi;

- è utile che escano le emozioni e le fantasie negative, per riportarle ad una dimensione meno amplificata;

- è fondamentale che le parti accettino di pensare al futuro, di chiudere con il passato evitando di rivangare episodi e di portare esempi negativi sugli altri, ma che comincino a indirizzare energie verso il "cosa posso fare io per uscirne", ed in modo adulto.

Come ho già detto, a mio parere il discrimine è legato alla stima tra le persone: quando viene distrutta completamente, e a lungo andare accade, viene a mancare la base minima per tentare un recupero. Quando resta una sufficiente stima personale o professionale forse un riavvicinamento è ancora possibile. 

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