Ascoltare nella complessità: il modello 3V+B come competenza comunicazionale

Inviato da Nuccio Salis

3vbAscoltare una persona col preciso intento di comprenderla, approssimandosi al suo punto di vista cognitivo ed emozionale del mondo, esplorarne cioè i vissuti, i bisogni, i significati attribuiti all’esperienza individuale e collettiva, implica un impegno totalizzante; nel senso che tale partecipazione assume connotati di profondità affettiva e livelli di reciproca intimità che in qualche modo scrollano e modificano le strutture personali delle rispettive parti che si incontrano. L’ascolto comprensivo richiede un approccio globale, integrato, in grado di rivolgere un’accurata forma di attenzione verso tutte le modalità espressive della persona a cui si presta la propria cura in termini di sostegno attentivo.

La naturalezza con la quale ci confrontiamo col prossimo è ciò che può mettere maggiormente ad agio colui che si rivolge a noi. Raggiungere tale condizione interpella tutta la nostra volontà di addentrarci in un percorso formativo che include la consapevolezza di ricorrere ad un uso appropriato delle tecniche di ascolto, dopodiché interiorizzarle a tal punto da eseguirle con spontaneità e genuinità, in accordo col proprio stile personale di contatto. È questo un punto rilevante della questione, dal momento che la descrizione delle singole aree costituenti un modulo complesso di atteggiamento comunicativo efficace, potrebbero far sembrare come eccessivamente disgregante e dispersiva l’attenzione da dedicare alle componenti espressive dell’intero processo comunicativo. La valutazione delle rispettive regioni di modalità espressive, procede comunque secondo una chiave di lettura che valorizza l’integrazione fra le parti, che seppur studiate in modo sezionate per rigore di ordine, sono considerate nel loro vicendevole intrecciarsi ed accavallarsi. Lo studio apparentemente parcellare delle relative zone di manifestazione in merito alle modalità comunicative, occorre al fine di rilevare, e di conseguenza monitorare e prendersi cura, il fenomeno delle discrepanze fra i diversi canali in attivazione.

L’operatore dell’aiuto, infatti, nell’esercizio della sua attività, si attribuisce l’impegno di promuovere un atteggiamento funzionale, la cui caratteristica principale è data dalla congruenza. È tale principio, infatti, che ci permette in generale di inviare segnali non equivoci, ma chiari, trasparenti, assertivi o descrittivi in senso puro. E d’altra parte, è proprio quando riceviamo informazioni da una persona che ne validiamo la giusta misura se non vi sono fratture ed incongruenze fra le componenti comunicative. Banale ma chiara esemplificazione può essere la seguente: “Se un amico mi dice che è contento di vedermi ma con sguardo evitante, tono di voce insolitamente grave e braccia conserte, io potrei non credergli, o meglio inferirei l’informazione complessiva che mi sta mentendo”.

Questa preliminare precisazione è molto importante per poter chiarire ogni eventuale e legittima perplessità circa il rapporto fra le varie componenti all’interno del modello che mi presto a descrivere. Appurato questo aspetto, dunque, è possibile illustrare uno dei modelli massimamente pertinenti in merito alla proposta tecnica di un’attivazione dell’ascolto secondo una declinazione profonda, compartecipe, che avviluppa ed accentra l’interlocutore all’apice del nostro interessamento. Il modello di cui parlo è quello cosiddetto 3V+B, e che prende il nome dalle iniziali di ciascun elemento che lo compone. Li presento singolarmente:

a). Visual contact: La forma di contatto più primitiva che si conosca è proprio l’incontro di sguardi. Gli occhi sono dotati di una carica espressiva e comunicazionale molto forte. Sono in grado di inviare una mole assortita di numerose informazioni. Spesso rivelano ciò che è profondo, latente, celato e adombrato finanche alla stessa persona. Ciascuno di noi ha il proprio livello ottimale di contatto oculare con gli altri. Intensità, durata, distanza, profondità o evitamento, misurano la soggettività con cui ciascuno di noi “regge” il contatto oculare con gli altri. Come consulenti nella relazione di aiuto teniamo conto di questa soggettività, ed offriamo un modello il più possibile universale che consiste nel non avere sguardi interrogatori, intrusivi o eccessivamente prolungati. Ci regoleremo tenendo presente anche il livello di diversità culturale o generazionale; qualità, questa, che farà parte delle nostre abilità di approccio transculturale. (Es: se siamo uomini, e riceviamo una donna di origine islamica, tenderà molto probabilmente ad avere un contatto oculare fugace e approssimativo, e potrà tendere a percepire disagio ed imbarazzo da un contatto visivo costante e diretto).

b). Voice quality: Un tono di voce calmo, “caldo”, che induce rilassatezza, serenità, che placida un certo carico di ansia, di inquietudine o imbarazzo, promuove per un’abbondante percentuale un clima favorevole nell’incontro. Il volume, il ritmo con cui si sostiene il discorso, sono segnali potenti della posizione che assumiamo durante il colloquio. Se è bene non addestrarsi ad avere un tono piatto e lineare, per suggerire neutralità e non interferenza, d’altra parte è altrettanto preferibile essere semplicemente naturali, gestendo il potere vocale, sapendo che improvvisi cambi nella qualità vocale (come anche sbadigli, colpi di tosse ecc.) possono indurre l’altro ad attivare difese. Allo stesso modo, mentre controlliamo l’efficacia delle nostre caratteristiche vocali, prestiamo attenzione alle trasmutazioni vocali del cliente; è molto probabile che proprio su quei punti prendano consistenza i punti nodali della sua visione di mondo.

c). Verbal tracking: Letteralmente tracciatura verbale, si tratta di accogliere ciò che l’altro ci racconta, aderendone con la massima fedeltà ai contenuti, ed osservandone e restituendone le modalità di espressione. Questo elemento ci aiuta a rivalutare costantemente il pregio di un ascolto attivo, complessivo, che proceda non secondo la nostra soggettiva attenzione selettiva che vaglia e che filtra ciò che può esserci sgradito o non comprensibile, quanto secondo la capacità di “stare con” il cliente che esprime narrazioni, valori, modalità esperienziali secondo il proprio canale preferenziale di percezione e rappresentazione della realtà.

d). Body language: La dimensione della corporeità come fattore influente nei processi della comunicazione meriterebbe un argomento dalla portata immensa, e ciò mi impone in questo contesto di riassumere brutalmente la rilevante estensione di tale tematica. Il nostro corpo è una indiscutibile fonte di messaggi comunicativi, dalla valenza decisamente marcata e suprema. La forma dello stesso, la postura che si assume, la distanza che si mantiene dall’interlocutore, la collocazione spaziale in cui è situato, sono elementi di evidente impatto comunicazionale, che facilmente suscitano inferenze, suggestioni, attribuzioni di intenzionalità, stati affettivi, processi del pensiero. Non sempre, certo, ciò che si vede nel “di fuori” corrisponde fedelmente a ciò che risiede nel “di dentro”, ed è quindi conseguente pensare come una comunicazione non formulata in modo genuino risulti confusiva e discrepante. È nostra cura, come acuti osservatori, accorgerci di tali incongruenze presenti nell’altro e, allo stesso tempo, modulare un’attenzione costante a come noi utilizziamo il linguaggio corporeo. Mostriamoci aperti, disponibili, sicuri, affidabili, attraverso una postura sciolta, naturale, con gambe e braccia non raccolte. Influenzeremo l’altro ad esserlo, poiché il segno di un buon affiatamento e una sana intesa nel rapporto interpersonale, si può evidenziare proprio quando si può osservare il fenomeno noto come “movimenti complementari” nell’ambito della reciprocità comunicativa. Ovvero quando, seppur con modalità diverse, gli interlocutori si rimandano in modo sintonico il modo con cui si rivelano all’altro in quel momento (es: uno parla sorridendo e l’altro annuisce, ricambiando a suo modo il sorriso).

Lo spessore argomentativo di tale questione ben rivela, a conferma di quanto risaputo, la complessità dell’attività dell’ascolto, e su quante e quali attenzioni sono necessarie per gestirne le dinamiche in modo ottimale. Avere coscienza di questo non può che aumentare il nostro desiderio di metterci in una prospettiva di conoscenza e formazione continua, per avvalorare il profilo della nostra figura professionale ed accrescerne il senso della sua direzione.

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