Per millenni tutti quanti hanno considerato e trattato donne e uomini con modalità piuttosto diverse: alle persone venivano affidati determinati ruoli sulle loro capacità, talenti, percezioni e comportamenti dando per scontato che tutto ciò dipendesse dal fatto che fossero femmine o maschi. Negli anni sessanta con la rivoluzione sessuale, però, queste definizione dei ruoli furono messe al bando in quanto facenti parte di un’ideologia maschilista atta a mantenere il predominio economico e sociale nei riguardi della donna. Vennero riformulate le politiche educative con il proposito di eliminare i pregiudizi di genere. I kibbutz israeliani, nei quali si rifiutava la tradizionale distinzione tra mansioni “maschili” e “femminili”, furono indicati come ideali modelli di società esemplare. Una donna in mondo così esemplare non avrebbe mai più ricoperto un ruolo limitante offertole ( per non dire imposto ), se non per scelta personale.
In questo nuovo mondo dettato dall’uguaglianza, la scienza era in totale disaccordo. Se da un versante ci veniva insegnato che non esistevano differenze rilevanti tra donne e uomini, dall’altro, nel campo delle neuroscienze i notevoli passi avanti e gli studi empirici sul comportamento sembravano dimostrare l’esatto contrario. La diversità per quanto riguarda i due sessi non era soltanto a livello fisico, ma si evinceva chiaramente che per quanto concerne le modalità comunicative, le esigenze sessuali e le priorità esistenziali, tra donne e uomini esiste una differenza notevolissima.
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