Comunicare in situazioni di crisi - conclusione


clinica-sistemicaDa quanto abbiamo espresso fin qui risulta che, dal nostro punto di vista, quando sperimentiamo un’emozione forte, sia essa rabbia o paura oppure tristezza, possiamo porci due quesiti derivanti da punti di vista diversi rispetto al medesimo evento:

  1. a)Qual è la storia dell’evento emotivo? ( ad esempio, come mai una persona ha paura di parlare in pubblico ? … vale a dire, come si colloca questa emozione nella storia psicologica e sociale della persona ? );
  2. b)Dato il fatto emotivo, quell’individuo come può, a partire da esso, agire conformemente ai suoi obiettivi personali, professionali, sociali? ( per stare nell’esempio: quali strategie cognitive e comportamentali ha modo di adottare quella persona per parlare comunque in pubblico realizzando, in modo mediamente soddisfacente, le sue mete ? ).

 

Come abbiamo già sottolineato, rispondere al primo interrogativo è un compito che, in quanto Counselor, non ci appartiene.

Il secondo, al contrario, può rappresentare contenuto e meta di un percorso di Counseling.

Il che vuol dire proporre alla persona un lavoro di ri-orientamento in merito agli obiettivi a cui tende quando mette in atto quel comportamento il cui esito è poi l’emozione forte e bloccante. Nell’esempio citato, significa sollecitare la persona a chiedersi quali sono gli obiettivi manifesti e non manifesti che si pone quando parla in pubblico.

E’ bene precisare che per obiettivi non manifesti non si intende nulla che abbia a che fare con l’inconsapevolezza e l’inconscio. Si intendono, invece, quelle mete che non fanno parte dell’accordo sociale : la persona, ad esempio, parla in pubblico per trasmettere alla platea informazioni su un dato argomento. Questo è l’accordo sociale ossia la ragione per cui le persone sono lì ad ascoltare.

Le mete non manifeste, in simile circostanza, ad esempio possono essere :

volere lasciare all’uditorio un buon ricordo di sé in quanto professionista e/o persona;

suscitare interesse nell’uditorio su quanto si dice;

convincere l’uditorio che quanto si dice corrisponda a vero, che sia per loro essenziale, ecc;

stupire.

 

Ci accorgiamo facilmente che, in tal caso, siamo di fronte ad una sorta di escalation che va da un obiettivo legittimo ( volere fare bella figura con l’uditorio ) ad altri che possono risultare fonte di delusione, demotivazione, stati d’animo e pensieri negativi ( convincere, stupire ). Risultano tali in quanto, nella realtà, la platea non si stupirà né si convincerà. Nella migliore delle ipotesi si mostrerà interessata o incuriosita da quanto dice il relatore e, sempre nel migliore dei casi, conserverà di lui/lei un buon ricordo in termini professionali e personali.

Questi sono obiettivi non manifesti e legittimi rispetto ai quali il relatore ha capacità di azione. Vale a dire che se l’uditorio non si mostrerà interessato certamente tale esito indesiderato ( ma non imprevisto ) produrrà in lui/lei rabbia o paura oppure tristezza ( più probabilmente un mix di tutte e tre le emozioni ). Saranno però stati d’animo che, pur se non negati, avranno facoltà di essere tradotti in eventi positivi: la rabbia potrà diventare assertività, la paura attenzione e la tristezza un punto di partenza per riprogrammare il futuro. Non più stati d’animo bloccanti, insomma, ma stimoli ad agire.

La persona, dunque, non sarà proiettata verso il passato ( la ricerca dell’origine ) bensì guarderà al futuro ( che posso fare da adesso in poi? ).

Superato il momento iniziale, infatti, momento non in quanto breve ma perché avente inizio e fine, il relatore potrà domandarsi cosa fare affinché la prossima volta riesca ad interessare l’uditorio: lavorare sul proprio non verbale, ad esempio, oppure rivedere la struttura dell’intervento o ancora approfondire la conoscenza che ha degli argomenti trattati. Meglio ancora, potrà agire su tutti questi aspetti. Avrà facoltà, insomma, di prendersi cura di sé e dell’uditorio ( anche se ancora “ futuro “ ) che è altro rispetto a “ curare “ e tantomeno a “ guarire “.

Lo stesso relatore, al contrario, quali possibilità ha rispetto alla mancanza di stupore da parte di coloro a cui si rivolge? Cosa potrà mai fare se al termine della sua presentazione non riceverà applausi? Non gli resterà che rinunciare o insistere ossia non fare più quello che ha fatto fino a quel momento o farlo di più, con più energia, per più tempo.

Con quali esiti? Probabilmente i medesimi, sia in termini sociali che emotivi e cognitivi.

 

La riformulazione degli obiettivi è riconducibile anche all’esperienza degli Insegnanti utilizzata poc’anzi come riferimento così come, generalmente, ad ogni evento critico almeno nell’accezione che abbiamo dato in questa sede al termine “ crisi “.

 

Il circuito vizioso del “ Di chi è la colpa? “, il Triangolo Drammatico e l’astensione, risposte paradossali alle situazioni di crisi, possono essere superate mediante una revisione degli obiettivi non manifesti e, spesso, anche manifesti del comportamento adottato.

Riformulazione delle mete e riformulazione emotiva sono da intendersi, perciò, come due percorsi mai separati anzi impossibili uno senza l’altro che costituiscono, insieme, la modalità d’azione adeguata in situazioni di crisi.

Ricordiamo, però, che a volte la ricerca dell’origine permette di non agire.

Optare per le riformulazioni da noi proposte implica invece azione ed assunzione di responsabilità per quel che si è fatto e per quel che si farà.

Solo se siamo disposti a farci carico effettivamente dei nostri comportamenti, senza cioè fuorvianti sensi di colpa né proiezioni all’esterno, potremo dare risposte adeguate alla crisi

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