Insegnare è educare


Insegnare è educare

 

            Ricorre nel web l’affermazione di Alberto Hurtado: È più facile insegnare che educare. Perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere.

Da un blog all’altro rimbalza (la troviamo persino in bocca ad una rivisitata Mafalda, a dispetto dell’autenticità della Mafalda di Quino) e ottiene consenso entusiasta prevalentemente di formatori e di operatori nell’ambito della relazione d’aiuto, counselor compresi, che mi auguro non siano o non siano stati insegnanti. Un  esperto, citando Alberto Hurtado ha così commentato nell'approvazione unanime degli uditori: credo possa essere una buona sintesi tra saper fare e saper essere (di proposito non cito nome e cognome, né l’incontro online in cui il commento è stato pronunciato).

Mi preme contribuire a fare un po’ di chiarezza su che cosa implichi insegnare.

Per sgombrare il terreno da elementi inquinanti, è d’obbligo una premessa. Occorre che distinguiamo tra la gravosa responsabilità che l’insegnare comporta sempre, in qualunque ambito e a qualunque età, dal come si insegna nella scuola italiana e/o negli altri Paesi. Non è, la mia, precisazione sull’operato degli insegnanti che insisto ancora a sostenere con Corsi di formazione, con riflessioni, con pubblicazioni [1] perché avvertano che il loro ruolo, benché sottovalutato, è meraviglioso (dal volto mezzo tra bello e terribile direbbe il poeta [2]). La mia lunga ed entusiasmante esperienza di insegnante, docente al triennio della secondaria di II grado, mi ha permesso di comprendere il mondo reale della scuola e gli stati d’animo diffusi tra gli insegnanti e credo di conoscere, anche per esperienza diretta,  le loro tante difficoltà.

A chi sostiene dunque che per  insegnare  basta sapere, rispondo che può non essere affatto così: dipende dal segno che siamo chiamati a lasciare! Il ruolo di istruttore, ad esempio, necessariamente è concentrato sul sapere e un determinato, persino specialistico sapere. Ma  l’insegnante non è un istruttore.

È indubbio che in-segnare indichi lasciare un segno e non può assolutamente essere così riduttivo da limitarsi ai contenuti (il sapere, appunto). Mai si è inteso l’insegnare come sinonimo di semplice trasmissione di saperi (anche se troviamo frequentemente scritto che l’insegnante “trasmette” il suo sapere al discente) e meno che mai può esserlo oggi in un mondo in cui il sapere è raggiungibile con estrema facilità, inimmaginabile solo dieci anni orsono e dunque contenderebbe e vanificherebbe, secondo tale riduttiva interpretazione,  all’insegnante il proprio ruolo.

Oggi, l’insegnare è prioritariamente, attraverso i contenuti di ogni disciplina, sollecitare il gusto del conoscere, il senso della scoperta della ricerca. Ma davvero occorre che rispolveriamo La mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere di Plutarco, ma davvero Maria Montessori, donna educatrice, medico –ben nota e che ha meritato un effigie sulle nostre mille lire– è passata invano e abbiamo perso ogni traccia del suo profondo rispetto per ciascun bambino? E continuiamo a intestarle Istituti Comprensivi come se bastasse una citazione a salvarci dall’impegno intenso, quotidiano e sempre diverso, continuamente da modificare in relazione ai mutamenti delle nuove generazioni che non sono quelle di una volta, del contesto, di noi adulti, del mondo…

Se insegnare significasse semplicemente insegnare il sapere, credo bene che le sconnesse e talvolta imprecise info in rete abbiano già vinto la gara.

Che molti, a diversi livelli lamentino che la DAD, la Didattica a Distanza in questi controversi e difficili anni dal 2019, non abbia funzionato non è forse un segno inequivocabile che, mancando la presenza e il vivere l’esperienza in gruppo abbia alterato ogni altro parametro dell’insegnare? Pur nelle differenti situazioni che ogni regione, ogni città e persino ogni singola scuola ha vissuto, è unanime la richiesta di ripristinare la scuola in presenza. È evidente che se si trattasse solo di sapere, in presenza o a distanza, quel sapere resta comunque raggiungibile oggi nell’era informatica: il sapere è il contenuto, il parametro che è saltato è il come veicolarlo. Va da sé che infatti la DAD ha funzionato nei casi in cui i docenti avevano impostato il loro insegnamento già in presenza, come un progressivo cammino di ciascun alunno verso l’autonomia nell’applicazione e contemporaneamente a lavorare in gruppo in presenza e a distanza (sto pensando alle esperienze di flipped class).

Forse in una visione dell’insegnare, stereotipata quanto erroneamente semplificatrice e diffusa/condivisa nella società, tra osservatori, dirigenti, ispettori, ministri, genitori, insegnanti e qualche studente, si annida il fardello più pesante che impaccia la scuola.

Fondamentale è essere fermamente convinti che l’insegnare per sua natura implica che il soggetto che insegna oltre a sapere, sappia essere e sia formato a sua volta perché insegnare è formare, contribuire a dare forma, è educare alla conoscenza e all’accettazione di sé, un equilibrio difficile e mutevole tra il mettere in introdurre un segno e tirar fuori, ex-duco ad, inclinazioni e punti di forza, attitudini di ciascun alunno.

Impegniamoci concretamente tutti a rendere l’insegnare un’avventura di crescita per le nuove generazioni. Ignoro un esempio migliore di questo per dimostrare verso di loro autentico rispetto.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi



[1] Giancarla Mandozzi, Insegnare per …apprendere, Erickson Live, Trento 2010; Giancarla Mandozzi, Àncore e ponti, la relazione educativa tra memoria e innovazione, Loescher, Torino 2020

[2] Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese, Operette morali, 1824

Potrebbero interessarti ...