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una vita buona al servizio di se' e degli altri

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L'uomo più di ogni altra specie vivente, è un animale che cerca il senso delle cose e attribuisce significato a ciò che fa: nella misura in cui perde lo scopo, smarrisce anche se stesso.

 

Se c'è una cosa su cui i sapienti di ogni epoca e cultura si trovavano d'accordo e che l'assenza di scopo porta alla mancanza di una rotta, alla deriva e al restare in balia dei capricci del mare, fino ad affondare.

 

Gli antichi filosofi greci, pur con accezioni diverse, sembrano tutti convergere nella necessitàper l'uomo di fare cose positive, di tendere al giusto e all'eudaimonia, termine con il quale veniva chiamata la felicità, il sommo bene.

 

Socrate fu forse uno dei primi a chiedersi cosa fosse una vita buona, giungendo alla conclusione che era quella tesa a raggiungere la serenità della mente come conseguenza dell'aver fatto qualcosa di giusto secondo la propria coscienza, prima ancora che in base ai codici morali della società punto secondo Platone il significato della vita sta nel raggiungere la più alta forma di conoscenza che è l'idea del bene, dalla quale tutte le cose buone giuste derivano utilità e valore, mentre per Antistene, allievo di Socrate, lo scopo della vita e vivere la secondo virtù in accordo con la Natura.

 

Sulla stessa lunghezza d'onda si pongono il fondatore della stoicismo, Zenone di Cizio e Seneca, secondo i quali lo scopo della vita e la felicitàe per raggiungerla occorre essere in armonia con la natura. Aristotele aggiunge che l'uomo deve aspirare al bene supremo attraverso il raggiungimento della già citata eudaimonìa, termine già utilizzato da Socrate e sul quale vale la pena soffermarsi.

 

Di origine greca, composto da "eu" = bene e "daimon" = spirito guida, Indica letteralmente la condizione di colui che èposseduto da uno spirito buono che gli procura buona sorte egli permette di prosperare. L'eudemonia considera dunque naturale la felicità e assegna alla vita umana il compito di raggiungerla, un obiettivo condiviso anche da Epicuro secondo cui l'uomo deve anzitutto liberarsi dalla paura (atarassia) e dal dolore fisico (aponia) attraverso la conoscenza del funzionamento del mondo e l'autolimitazione dei propri desideri.

 

 Ci sarebbero da ricordare un gran numero di letterati di ogni epoca ed estrazione, in larga misura tutti d'accordo sull'importanza della crescita personale: tra i tanti, Oscar Wilde, dice che "lo scopo della vita è l'autosviluppo. Sviluppare pienamente la nostra individualità, eccola missione che ciascuno di noi deve compiere". Cosi Lev Tolstoy scrive " Invariabilmente arrivo alla conclusione che il fine della nostra esistenza umana e di offrire aiuto, hai massimi livelli, allo sviluppo universale di qualcosa che esiste."

 

Cosa suggerisce tutto ciò? forse che diversi pensatori del passato convergono sulla visione di un’esistenza finalizzata o comunque giustificata da determinati scopi quali la realizzazione del proprio potenziale, all'acquisizione di saggezza e conoscenza, il fare del bene agli altri al mondo, l'amare e l’essere felice, il tendere alla perfezione divina, il servire dio lavorando al suo disegno.

 

É diffusa la convinzione che la vita abbia uno scopo, e quello del pieno sviluppo di sé al fine di offrire il proprio positivo contributo al mondo va per la maggiore.

 

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