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domande che ridefiniscono la realtà

Inviato da Giancarla Mandozzi

domande che ridefiniscono la realtà

Se ci è accaduto di vivere l’attimo risolutore in cui una domanda ha ridefinito la realtà che stavamo indagando, allora ben conosciamo quell’energia  potente che ci ha comunicato e insieme la piacevole sensazione di meraviglia per quel fenomeno così immediato in cui protagonisti, accadimenti e valutazioni si sono ri-composti in altri modi offrendoci un’immagine molto diversa della realtà che credevamo di aver compreso. Che sia una nostra realtà interiore  o esterna, o appartenga ad un altro, permane intatta la percezione che alle domande che ci poniamo  è legato il come vediamo e viviamo il nostro mondo e la nostra condizione, qualunque essa sia, sono le domande che ci poniamo a dare consistenza alle nostre risposte che prendono forma di pensieri, interpretazioni, convinzioni…

 

Se tuttavia, come può accadere, non abbiamo memoria di momenti in cui una domanda posta da noi o da qualcun altro abbia mutato la fisionomia e la prospettiva di una realtà, possiamo comunque fermarci a rifletterci su, ad osservare, persino a provare  di verificare se davvero sia questa una risorsa a cui possiamo attingere ogni volta che vorremmo.

Ciascuno per se stesso potrà, nei modi e nei tempi che avrà scelto, attivarsi in tale direzione o ignorarla.

In ambito professionale, come counselor, è invece essenziale saper coltivare questa opportunità, allenarla con estrema attenzione.

Il ruolo di counselor prevede e implica un lavoro intelligente e indiretto di agevolazione e facilitazione perché la persona in aiuto giunga a porsi domande per cogliere, della realtà problematica che sta vivendo, angolazioni e prospettive altre da quelle che con tenace convinzione sta interpretando e considera verità. E questo lavoro, complesso e sempre necessariamente misurato sulla persona che si ha di fronte, trova il punto topico nella riformulazione che più di una volta, durante ogni colloquio, il counselor elabora.

Ogni riformulazione che il counselor propone è trait d’union, interconnesso e parte integrante irrinunciabile dell’ascolto (attivo), un cardine della relazione di aiuto, insieme all’accettazione incondizionata e alla sospensione del giudizio. La riformulazione è assai più impegnativa di come, non di rado, viene definita, è ben più che riproporre in termini diversi ciò che è stato appena proferito dalla persona in aiuto, è altro dalla sintesi di ciò che la persona esplicitamente o implicitamente (con i suoi linguaggi paraverbali e non verbali) ha mostrato; la riformulazione è il mezzo, lo strumento con cui il counselor, proprio nel rispetto del punto di vista della persona in aiuto, riesce a rendere evidente ciò che era appena accennato, a porre un interrogativo dove era stato posto chiaramente un punto esclamativo, a ri-aprire possibilità di osservazioni, analisi, considerazioni su dettagli o elementi sostanziali che sembravano definitivamente chiaramente compresi e conclusi. Già, conclusi sembravano e invece si ripresentano in altra veste e come incerti, incompleti e, accompagnati da forse, se, ma…, ricompaiono sulla scena. È così che si fa strada nella persona in aiuto la volontà a comprendere meglio, a cambiare angolazione e prospettiva, avvicinandosi finalmente al focus del problema che sta vivendo.

Per questo, definirei la riformulazione, una strategia, pur nella difficoltà –forse proprio a causa della complessità che la caratterizza– emozionante oltre ogni immaginazione; incomparabile è la soddisfazione dell’operatore nel vedere d’improvviso una nuova luce nello sguardo della persona, notare come il suo atteggiamento prima dimesso e curvo quasi ripiegato su se stesso mostra ora una qualche fierezza di sé, voglia di agire e la gioia di aver “fatto una scoperta”. È tutto ciò che rende l’esperienza esaltante per il counselor.

La difficoltà di questo delicatissimo intervento s’incentra sul fatto ineludibile che la o le domande a cui la persona in aiuto giungerà avranno per lei senso e potere se e soltanto se la o le sentirà come proprie, nate da sé, come la svolta, quel giro di boa che, tanto desiderato, ormai sembrava un miraggio; si sentirà allora soddisfatta finalmente di sé e la sua autostima tornerà a darle sostegno vitale.

Le competenze che la riformulazione richiede al counselor non sono infatti semplicemente tecnica, né ricalcate esercizi da applicare secondo modelli standard in quanto le modalità di intervento per rendere il percorso efficace non sono neppure prevedibili prima di conoscere almeno alcuni elementi che caratterizzano il mondo della persona in aiuto, il suo copione di vita, il grado di alleanza operativa della relazione counselor-persona in aiuto nel qui e ora.

Vogliamo essere ancora più espliciti?

La riformulazione è la guida, discreta e suggerita, mai imposta, che permette alla persona in aiuto di giungere al momento, assolutamente personale, in cui riuscirà a cogliere nella crisi un’opportunità.

Insistentemente formatori, operatori, trainer, coach tra i più affermati e seguiti da fan, specialisti della relazione d’aiuto assicurano che dalla crisi possono emergere opportunità; da tempo e oggi con maggiore intensità in presenza di un evento che sta destabilizzando ogni ambito di vita in tutto il globo, è questa la formula ritornello/rituale che però puntualmente trascura di fare chiarezza su un elemento: come può riuscire ciascuno di noi a cogliere un’opportunità nella situazione di cui sta soffrendo e che lo sovrasta con ansie e disperazione?

Eppure, è proprio questo, l’elemento sottaciuto, il nodo più difficile da sciogliere,  il focus del problema.

Possono essere sufficienti tecniche e step progressivi (da tre a dodici…), possono lasciare segni tangibili in noi gli esempi di chi ha vinto sulla crisi, di chi ha ottenuto di andare persino oltre i suoi sogni?

Se, ancora una volta, è il come a vincere sul cosa e soprattutto sui perché, è evidente che quel come sta a ciascuno di noi individuarlo, monitorandolo in una sorta di equilibrio, pur instabile, tra realtà contingente e desiderata, bisogni personali.

Ecco una domanda importante: sono in grado di individuare opportunità nella crisi?  Se non ho provato in passato, se non ne ho esperienza, chi può aiutarmi e soprattutto di quale aiuto ho bisogno?

Quando siamo a colloquio con il counselor, dalla sua professionalità, dalla sua empatia, dalle sue riformulazioni possiamo cogliere quel come, quella domanda che ci apre un nuovo mondo. Auguriamoci che una volta compreso che occorre confrontarci con noi stessi  senza mentir-ci, questa abilità diventi competenza, competenza trasversale e immanente, a cui ricorrere con agilità.

Qui di seguito propongo in parte l’analisi che Donatella Menza ha compiuto di una scena del film Tra le nuvole (di Jason Reitman, Titolo originale “Up in the Air”, USA, 2009). È la scena del colloquio in azienda, tra un responsabile dell’azienda “tagliatore di teste” e un dipendente che è stato licenziato. Nella descrizione campeggia la forza risolutiva per la persona in aiuto di quella particolare domanda che nella situazione tragica presente, è rivelatrice di un’opportunità ambìta, grazie a chi lo ha guidato ascoltando e comprendendo senza giudizio il suo problema. Nessun riferimento è fatto al counseling e se pure il personaggio nel film non ha il ruolo di facilitatore nella relazione d’aiuto (perché altro è il suo compito), è fin troppo evidente che è la sua competenza risolutiva che desideriamo acquisire  come counselor.

Chi è Ryan Bingham? Sono sicura che la maggior parte di noi rievoca, in prima battuta, l’immagine di George Clooney [l’attore che interpreta il personaggio] e lo associa, altrettanto in automatico, al cinico “tagliatore di teste” che inesorabilmente distrugge le esistenze di tutti quei clienti a cui comunica la perdita del lavoro. Ci ricordiamo di lui come un frenetico viaggiatore, più a suo agio in una cabina aerea rispetto che nelle mura domestiche, il cui obiettivo è collezionare punti mille miglia della American Airlines.

Eppure Ryan non è solo questo: chiamato a fare il training della giovane collega Natalie, inesperta, forse un po’ troppo saccente e ancorata alle procedure, ci mostra un esempio di cosa vuol dire agire in modo consapevole ed efficace il proprio ruolo anche quando siamo chiamati a restituire contenuti dolorosi e difficili.

Ryan e Natalie sono di fronte a Bob. Bob ha due figli, guadagna 90 mila dollari l’anno, ha un mutuo sulle spalle e deve pagare i farmaci a sua figlia affetta da asma. Bob ha perso il lavoro, probabilmente avrà un sussidio di soli 250 dollari a settimana e non potrà permettersi di sostenere i costi che il suo stile di vita attuale gli impone.

Questo è lo scenario iniziale o meglio l’unico modo in cui Bob riesce a rappresentarselo.

Apparentemente disarmante così come disarmante ci sembra il ricorso rigido e neutrale di Natalie a schemi, statistiche e procedure: “Forse sottovaluta l’effetto positivo che un cambio di carriera potrebbe avere sui suoi figli? … i test hanno rilevato che i figli sottoposti a traumi moderati tendono ad applicarsi accademicamente per tenere testa alle difficoltà”

Natalie riporta informazioni veritiere e corrette, riporta dati eppure il suo approccio non funziona, anzi ottiene l’effetto di alimentare la rabbia e il risentimento di Bob. Interviene Ryan che lo incalza con una serie di domande apparentemente decontestualizzate: “L’ammirazione dei suoi figli è importante per lei? … Perché i ragazzi amano gli atleti? …

Quanto l’hanno pagata per rinunciare ai suoi sogni e quando avrebbe smesso per tornare a fare quello che la rende felice?”

Bob si congederà da loro con la convinzione che il suo licenziamento possa rappresentare per lui anche una opportunità.

Che cosa ha permesso a Ryan di fare goal e di ottenere questo risultato?

La sequenza e la tipologia di domande utilizzate gli ha permesso di dirigere il focus mentale di Bob e di gestire, di conseguenza, i suoi stati d’animo. Utilizzando una leva fornita dallo stesso interlocutore, i figli, ha spostato la sua attenzione da aspetti totalmente negativi (“tutto quello che perderò”) per farla converge su altri aspetti (“che cosa mi permette di guadagnare questo licenziamento”).  Il focus lo possiamo controllare infatti attraverso le domande che rivolgiamo agli altri e a noi stessi: il nostro cervello in automatico, a fronte di una domanda-stimolo, si attiva per fornire delle risposte congruenti rispetto alla richiesta. Di conseguenza la modalità con cui strutturo la domanda mi permette la focalizzazione sulla soluzione piuttosto che sul problema ampliando la mia prospettiva di partenza e permettendomi il recupero di informazioni dimenticate.

Bob vuole la stima dei suoi figli e i ragazzi, in genere, amano gli atleti proprio perché hanno seguito i loro sogni. Quale aspetto di sé caratterizzante aveva ignorato mentre lavorava tutti i giorni e a quale sogno era stato costretto a rinunciare?  Bob non sa fare canestro ma di certo sa cucinare e ha una laurea in arte culinaria francese.

L’attenzione dedicata da Ryan alla lettura del curriculum vitae del suo interlocutore gli permette di guidare Bob, attraverso domande potenzianti, alla riappropriazione di una dimensione di sé non più coltivata, la passione per la cucina e, di rileggere la realtà – sono stato licenziato – come una possibile rinascita. Visualizzare le proprie risorse e concentrarsi su gli aspetti positivi che ogni evento, anche il più drammatico, ha in sé permette inoltre a Bob di rievocare le emozioni gradevoli connesse alla nuova immagine di sé che ha ricostruito insieme a Ryan.

“La felicità autentica consiste nel provare emozioni positive riguardo al passato e al futuro, nell’assaporare sensazioni positive derivanti dai tanti piaceri dell’esistenza, nel trarre abbondante gratificazione dalle proprie potenzialità personali e nell’usare tale potenzialità al servizio di qualcosa di più grande per ottenere senso.” (Seligman)

“Quanto ci hanno pagato per rinunciare ai nostri sogni?”: il potere delle domande nella ridefinizione della realtà.

(in https://www.ilcinemainsegna.it)

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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