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L’EREDITÀ DI BASAGLIA E L’ONTOGENESI DEL COUNSELING E DELLA CONSULENZA FILOSOFICA

Inviato da Divina Lappano

 

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere.

Franco Basaglia

 

L’ansia della psichiatria di accreditarsi come scienza, sul modello delle scienze della natura, ha portato alla oggettivazione del folle nella più completa rimozione della sua soggettività. Quello che per un greco antico era un “invasato dal dio”, per un medievale “posseduto dal demonio”, per la scienza psichiatrica diventa un “malato”. L’uso dei termini come mente e corpo, apparato psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-biologico dicono che la psichiatria non ha mai riconosciuto l’unità dell’esistenza, ma solo la composizione delle parti.

Umberto Galimberti

 

È vano il discorso di quel filosofo che non curi

qualche male dell'animo umano.

Epicuro

 

Le parole sono farmaci. Alcune infondono coraggio e forza, altre avvelenano l'anima e la stregano.

Gorgia

 

La filosofia è la medicina dell’anima.

Seneca

 

Il medico che si fa filosofo diviene pari a un Dio.

Ippocrate

 

 

Nel mese di Maggio in diverse città italiane sono stati celebrati i quarant’anni dalla riforma Basaglia, che nel 1978, con la promulgazione della Legge 180, pose le premesse per l’abbattimento delle strutture manicomiali, avviando quel processo di “deistituzionalizzazione” che,demolendo mura e cancelli, si propose di riportare la follia nel suo luogo d’elezione, laddove si riteneva fosse nata e a cui, dunque, dovesse appartenere: la società.

Il giovane movimento antipsichiatrico guidato da Franco Basaglia prendeva le mosse dai contenuti ideologici della filosofia fenomenologica di Husserl e dalla relativa corrente della psicopatologia fenomenologica di Karl Jaspers, Eugène Minkowski e Ludwig Binswanger, avendo attraversato la Daisenalyse di Heidegger e il pensiero dei maggiori filosofi dell’esistenzialismo, Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty, fino alla critica dell’istituzione psichiatrica operata da Michel Foucault. Si fondava, infatti, sull’argomentazione che l’oggetto della psichiatria non dovesse essere la malattia mentale quanto la sofferenza esistenziale dei singoli individui generata all’interno del contesto sociale, spostando il baricentro della cura verso la soggettività del disagio, prendendo le distanze dal concetto di patologia e di malattia che avevano contraddistinto, invece, l’istituzionalizzazione della malattia, la quale aveva prodotto come esito finale l’avvio ad una penosa e definitiva carriera psichiatrica dei degenti e a una totale oggettivazione dell’individuo fino al suo definitivo annientamento.

A Basaglia e ai suoi collaboratori si deve l’atto eroico che ha portato alla nascita della “psichiatria territoriale”, l’adempimento concreto delle premesse filosofiche fenomenologiche ed esistenziali della “psichiatria democratica” di cui fu capostipite. L’idea lungimirante mirava, in primo luogo, a scongiurare la cosiddetta “malattia istituzionale”, la malattia generata dal protrarsi dei ricoveri, il cui esito era la nascita stessa del comportamento patologico. Il lungodegente istituzionalizzato era divenuto il prodotto finito della macchina manicomiale e il luogo di cura si era trasformato nel luogo generatore di malattia, in cui gli stessi operatori finivano con l’attribuire le espressioni della patologia non alla degenza quanto al disturbo psichiatrico per il quale la persona era stata rinchiusa. Avviato alla carriera psichiatrica il lungodegente non aveva possibilità di uscirne guarito. I metodi perpetuati avevano, infatti, dato origine alla “regressione istituzionale” quale prodotto finale del trattamento, esitato nell’insorgenza di veri e propri comportamenti patologici. Il luogo della cura era divenuto, paradossalmente, il luogo della malattia, frutto scriteriato di trattamenti terapeutici che ponevano al centro il disturbo psichiatrico e non la persona.

I cingoli del carro armato manicomiale continuarono lentamente ad arrancare fino al 1999. Con la nascita dei Dipartimenti di Salute Mentale, l’apertura dei Centri di Salute Mentale, la nascita dei Centri Diurni Psichiatrici, l’inserimento delle Unità Operative di Psichiatria tra i reparti ospedalieri si cercò di rimediare ad una forma di crudeltà simile solo a quella perpetuata nei campi di concentramento e nelle istituzioni totali. Ispirandosi ai concetti husserliani di “epoché” e di “corpo vissuto” Basaglia superò la distinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa - oggi purtroppo riattualizzata dagli “approcci aziendali” alla salute - e, riprendendo il concetto di slancio vitale e di mancanza di contatto con la realtà di Minkowski, nella sospensione del fluire del tempo delle esistenze mancate di Binswanger, mise in atto una rivoluzione ideologica che si concluse nel processo di umanizzazione delle cure che cambiò il volto e le metodiche dei trattamenti psichiatrici, pervenendo al concetto di ciò che oggi viene definito non più “malattia mentale” ma “salute mentale”.

L’intuizione di Basaglia e dei suoi collaboratori fu di intravvedere nell’organizzazione di una progettazione decentrata e flessibile la possibilità di creare strutture di sostegno immerse nel bacino territoriale per far sorgere una rete capillare di organismi extraospedalieri (i Dipartimenti di Salute Mentale - DSM) che potessero andare incontro ai bisogni di cura e salvaguardia della persona sofferente attraverso trattamenti terapeutici tesi a potenziarne la soggettività, cercando di restituirgli un certo potere d’azione, la contrattualità sociale che era stata negata dall’istituzione totale, riuscendo, nel contempo, anche a soddisfare la richiesta di tutela dell’intera comunità, senza più ricorrere a trattamenti terapeutici spersonalizzanti, costrittivi e violenti, al limite della dignità umana, segnando il passaggio da una psichiatria di contenimento e custodia a una psichiatria di prevenzione, cura e riabilitazione.

La morte prematura dello psichiatra lasciò un vuoto istituzionale che ancora oggi non si è riusciti a colmare. Come accade in famiglia con la perdita del capostipite, la psichiatria rimase orfana di padre. Il varco era stato aperto ma il cammino non poteva che essere incerto e segnato da inevitabili fallimenti e tentativi più o meno riusciti. Lo stesso Basaglia in un’intervista rilasciata nel 1978 aveva dichiarato:[la legge 180, ndr] è una legge transitoria, fatta per evitare il referendum, e perciò non immune da compromessi politici. Attenzione quindi alle facili euforie. Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi del malato di mente con il suo inserimento negli ospedali tradizionali. La nuova legge cerca di omologare la psichiatria alla medicina, cioè il comportamento umano al corpo. Ma è come se volessimo omologare i cani alle banane” (da “La Stampa” del 12 Maggio1978).

Nonostante le criticità e il difficile percorso che ha portato alla chiusura dei manicomi e, successivamente, alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) fino all’istituzione delle comunità terapeutiche, alle diverse strutture riabilitative e alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), nessuno potrebbe negare il salto evolutivo indotto da quel fermento culturale, le cui premesse affondano nella filosofia fenomenologica ed esistenziale da cui Basaglia fu profondamente influenzato.

A partire da queste premesse, la mia tesi conclusiva - filiazione del progetto che da anni porto avanti “Canone Inverso: una nuova etica della sofferenza e del disagio esistenziale” - intende addentrarsi nella disamina per sottolineare le affinità filosofiche, ideologiche e procedurali, dell’approccio alla sofferenza umana come atto di riconoscimento e presa di coscienza individuale per restituire il territorio agli eredi naturali del pensiero basagliano: filosofi maieutici, counselors e consulenti filosofici. Essi possono, infatti, definirsi eredi oltre che sostenitori di quel pensiero che affonda le radici nella millenaria tradizione filosofica, da Socrate ai grandi fenomenologi ed esistenzialisti, cui appartiene la mera valutazione del dato fenomenico, scevra da giudizi e pre-giudizi che prendono le distanze dal concetto di malattia mentale, ancora presenti in certi orientamenti, per entrare nella “comprensione” della soggettività e del pathos. Questi filosofi maieutici, counselors e consulenti filosofici sono eredi di quel pensiero che niente ha a che fare con gli stigmi della malattia mentale, che appartengono alle forme terapeutiche dello psicologismo e alle classificazioni tipiche della psicodiagnostica, di cui si occupano coloro che sono ancorati al concetto di malattia (nonostante i tentativi strumentali di ridefinirla in termini “disfunzionali”) piuttosto che al concetto antropologico di cura della persona e dell’individuo nella sua totalità.

Purtroppo, nel corso degli anni, sono state dimenticate le premesse teoriche che hanno generato la filosofia e il suo compito ultimo, così come sono state dimenticate le premesse che hanno portato alla nascita della Legge 180 fino a permettere, in entrambi i casi, che incongruenze tra finalità e scopi confondessero gli stessi fondamentali presupposti fino a sovrapporre metodi e strumenti, modelli e orientamenti di origine e posizione diverse per confluire nell’assunzione di una paternità legittimata per convenzione e che, alla luce di questa lettura, per ciò che concerne la filosofia e l’ambito non strettamente medico, risulta essere piuttosto il frutto di un abuso della professione di filosofo pratico maieutico, di counselors e consulente filosofico.

Eppure, indistintamente e indiscriminatamente, saliti celermente sul carro del vincitore a celebrare un’ideologia che si distanzia da schemi che continuano ad essersi perpetrati con sfrontatezza inaudita nel nome di Basaglia, molti operatori continuano a professare vittorie e meriti che non solo non gli appartengono ma che sono molto lontani dai precetti della loro formazione. E tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore - direbbe Tomasi di Lampedusa - continueremo a crederci il sale della terra e a celebrare la Legge 180, compreso coloro che contribuiscono e continuano a promuovere lo stigma della malattia mentale “medicalizzando” e “patologizzando” il dato fenomenico umano nella più assoluta noncuranza, secondo una prassi divenuta consuetudine.

A tale proposito, non posso non convenire con uno dei più grandi psichiatri viventi, Eugenio Borgna, amico di Basaglia e Primario Emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, Docente in “Clinica delle Malattie Nervose e Mentali” presso l’Università di Milano, la cui impronta indelebile appartiene alla più pura tradizione della fenomenologia psicopatologica e segna il cammino della “psichiatria gentile”,  nobile espressione di una poetica dell’anima che rinfranca e conforta lo spirito di chi ha il privilegio di beneficiare della sua umanità preziosa, il quale con il taglio affilato del suologos afferma:

La conseguenza radicale e sconvolgente della legge 180 è stata la chiusura degli ospedali psichiatrici, e questo, a quarant'anni dalla sua approvazione, non può non essere continuamente ricordato nella sua rivoluzionaria significazione storica; ma non sono ugualmente ricordate le premesse teoriche che sono state a fondamento del pensiero e dell'azione di Franco Basaglia, e delle quali vorrei ora dire qualcosa. Il cuore teorico della rivoluzione, che ha cambiato il modo di fare psichiatria, si rispecchia in alcune considerazioni che nascono dalle sue conferenze brasiliane, e ribadiscono che noi psichiatri non possiamo non andare alla ricerca di un ruolo che non abbiamo mai avuto, e che ci metta, per quanto è possibile, alla pari con chi sta male in una dimensione in cui la malattia, come categoria, sia messa fra parentesi.

Questa tesi si è rispecchiata in modalità radicalmente diverse di articolare gli incontri terapeutici con i pazienti; e questo perché, mettendo fra parentesi la malattia, lo psichiatra può finalmente avvicinarsi alla sofferenza psichica guardando alla sua fragilità e alla sua umanità. La psichiatria manicomiale, che non è nemmeno oggi scomparsa nel concreto agire di non pochi psichiatri, si radicava nella esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità, alla storia della vita, alla persona, di chi è curato. Questo cambiamento di paradigma si è accompagnato alla rinascita delle emozioni dello psichiatra nella conoscenza e nella cura della sofferenza psichica: non più considerata come qualcosa da analizzare con la freddezza di un chirurgo che taglia, e ricompone, un organo malato, ma come una ferita viva e sanguinante da arginare con la pazienza, e con la immedesimazione nella storia della vita dei pazienti. Senza questo cambiamento di paradigma la follia non si sarebbe fatta conoscere a Basaglia, e agli psichiatri che ne seguano il cammino ermeneutico e conoscitivo, nella sua fragilità e nella sua umanità, nella sua nostalgia di gentilezza e di solidarietà.

A queste considerazioni teoriche sulla conoscenza emozionale degli stati d'animo delle persone, e delle persone che soffrono in particolare, era giunta nei primi anni del secolo scorso la fenomenologia: questo indirizzo filosofico dalle molte possibili varianti: riunificate da un comune denominatore: quello enunciato da Basaglia: solo nel mettere fra parentesi ogni conoscenza e ogni esperienza si coglie il senso radicale della vita. Sono considerazioni complesse, e nondimeno necessarie, se vogliamo conoscere il pensiero teorico di Basaglia nelle sue ascendenze culturali, così trascurate, e così dimenticate, senza le quali la sua psichiatria non si sarebbe realizzata nella sua straordinaria ricchezza umana e terapeutica. Solo mettendo fra parentesi la malattia, alla psichiatria è possibile entrare in relazione, in una immediata relazione di cura, con chi sta male, con chi si misura con l'angoscia e la tristezza, le inquietudini dell'anima, i deliri e le allucinazioni, e che solo così si sente aiutato, e compreso nel suo dolore.

Questo mio discorso intende indicare quanta importanza Franco Basaglia abbia dato alle emozioni, alla sensibilità, alle capacità di attenzione e di ascolto, di immedesimazione e di introspezione, di speranza, nel fondare una psichiatria clinica che sconfinasse continuamente nella psichiatria sociale. La psichiatria o èpsichiatria sociale o non è psichiatria, e Basaglia lo ha dimostrato, ma il suo magistero non si comprende fino in fondo se non viene immerso, lo vorrei ancora ripetere, nelle sue sorgenti teoriche. Cambiare radicalmente le strutture costitutive del fare psichiatria non basta se esse non sono nutrite di passione e di sensibilità, di apertura al dolore degli altri, e di decifrazione del senso che si nasconde anche nei deliri e nelle allucinazioni. Sono cose che, ripensando ai quarant'anni che ci separano dalla approvazione della legge (Norberto Bobbio l'ha definita una fra le più importanti nella storia della Repubblica), dovrebbero essere tenute sempre presenti: premesse necessarie alla realizzazione di una psichiatria che conosca e rispetti fino in fondo la dignità della sofferenza psichica. Sono cose che mi è sembrato necessario rimettere in evidenza in queste mie ulteriori riflessioni su di una legge che nessun altro paese ha avuto la forza e il coraggio di realizzare (da “La Repubblica.it”, 11 Maggio 2018).

Quanto di quello che il sommo Borgna esprime, con il coraggio e la chiarezza che trasuda nel potere evocativo delle sue parole in merito alla realizzazione di una “psichiatria sociale” – l’unica vera psichiatria possibile - non è forse individuabile nei principi che animano e fondano le metodologie maieutiche delle relazioni di aiuto delCounseling e della Consulenza Filosofica? Nel suo eloquio incisivo emerge svelato il timore di una psichiatria che, priva di memoria e immobilizzata nelle logiche di potere, persegua obiettivi poco inclini ad un reale reinserimento sociale delle persone sofferenti, piuttosto prossima ad una stagnazione nei servizi psichiatrici, i quali, rispondendo alle esigenze economiche delle politiche aziendali (che come un’azienda ottimizza i profitti a scapito dei benefici) e della psicofarmacologia, informata dalle logiche delle multinazionali, tendono ad una più rapida e comoda medicalizzazione della sofferenza nell’accondiscendenza di quegli stessi operatori che celebrano i quarant’anni della Legge 180.

Per queste ed altre ragioni stanno partendo nelle regioni della Toscana e dell’Emilia Romagna (che non a caso si distinguono su tutto il territorio nazionale per l’elevata qualità dei servizi sanitari) collaborazioni e “contaminazioni” tra le scuole di Counseling e Consulenza Filosofica, le cattedre di Psichiatria, le unità operative delle aziende sanitarie locali e i Dipartimenti di Salute Mentale.

Una rinascita del pensiero di Basaglia ad opera dei suoi eredi naturali, filosofi maieutici, counselors e consulenti filosofici, depositari di un pensiero che dopo millenni riporta la filosofia al suo compito naturale, alla sua missione originaria, secondo le parole di Epicuro, a tutela e beneficio della cura delle sofferenze umane, oltre le logiche di potere di coloro che gestiscono impunemente le finanze della salute, promuovendo la “patologizzazione” dell’umano.

Il futuro riserverà ai burocrati delle salute sgradite sorprese, correnti provenienti dal Nord Europa hanno già ufficializzato l’approccio istituzionale alla salute mentale secondo il modello finlandese dell’Open Dialogue, del “Dialogo Aperto” - la cui matrice si palesa in modo inequivocabile nella sua stessa denominazione - che dopo aver rallentato l’insorgenza delle recidive, degli esordi psicotici, il ricorso a psicofarmaci e ai ricoveri ospedalieri, ha ottenuto un notevole successo anche nei casi di totale guarigione (84%), riducendo in Finlandia quasi completamente l’insorgenza della schizofrenia. In Italia sono numerosi i centri in cui è partita la sperimentazione su invito del Ministero della Salute che, perevitare il rischio di orientare precocemente alla carriera psichiatrica e al trattamento farmacologico, ad una lettura esclusivamente “sintomatologica” dei fenomeni iniziali di sofferenza del singolo e del gruppo, ha redatto il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2014-2018 “Il dialogo aperto un approccio innovativo nel trattamento delle crisi psichiatriche d'esordio: definizione e valutazione degli strumenti operativi ed organizzativi per la trasferibilità del “dialogo aperto” nei DSM italiani.

Il futuro, dunque, è già qui: filosofi maieutici, counselors e consulenti filosofici hanno raccolto l’eredità di Franco Basaglia e sono pronti a proseguire il suo cammino nel clamore che da sempre accompagna le rivoluzioni ideologiche, cavalcando a briglia sciolta i prodromi epocali delle grandi trasformazioni sociali e culturali.

Divina Lappano
Antropologo Clinico
Counselor e Consulente Filosofico

*in "CONFLUENZE" Anno VI - n. 2 Maggio/Agosto 2018 - COMET EDITOR PRESS

 

http://www.youblisher.com/p/1975004-L-EREDITA-DI-BASAGLIA-E-L-ONTOGENESI-DEL-COUNSELING-E-DELLA-CONSULENZA-FILOSOFICA-A-QUARANT-ANNI-DALLA-LEGGE-180/

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