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PROFESSIONE COUNSELOR: come farla fiorire

Inviato da Milena Screm

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Da trentaquattro anni mi occupo di crescita personale e di formazione; ho accompagnato molte persone nel percorso del Counseling a mediazione corporea, alcune con bisogni esistenziali, altre mosse dalla vocazione, alcune alla ricerca di una soluzione alla mancanza di espressione di sé.

Tutte con un bagaglio di aspettative, bisogni, desideri, obiettivi, aspirazioni, quelle spinte che portano noi esseri umani ad andare verso una ricerca e dei risultati. Bagaglio, quello di queste forze che premono da dentro, naturale e necessario, spesso anche inconsapevole o confuso tra le voci interiori che parlano anche dei dubbi e delle riserve su se stessi e sulle proprie capacità.

 Nello svilupparsi del percorso formativo, spinte motivazionali, voci interiori, apprendimento, elaborazione s’intrecciano, disegnano passo dopo passo l’esperienza soggettiva, i significati e gli obiettivi raggiunti. Ed é bellissimo assistere e partecipare ai passaggi e alle fasi che via via si sviluppano, incanalando il flusso della comunicazione e gli scambi delle relazioni. E’ un processo di definizione, è il “principio attualizzante” Rogersiano che prende vita e si realizza, in modo diverso per ognuno.

Non tutte le persone che s’iscrivono a un triennio di formazione in Counseling lo portano a termine, mantenere viva la motivazione nell’impegno richiesto e nelle sfide interiori non è semplice. A questo si aggiunge che non si tratta di scuola dell’obbligo; è un percorso per persone adulte che hanno una vita, un lavoro e degli altri impegni da seguire, è fisiologico che qualcuno rinunci. Chi procede ha imparato a riconoscere le proprie risorse e và lì ad attingere, fa il possibile per impegnarsi, chiede aiuto o fa verifiche con buon senso e umiltà, è autenticamente interessato a ciò che fa e investe per arrivare all’obiettivo che ha stabilito, ha fiducia e la usa per sostenersi e motivarsi, riconosce i risultati realizzati durante questo cammino e ne vede gli effetti nei vari aspetti della propria quotidianità, con se stesso e con gli altri.

Poi, finalmente, il percorso triennale di formazione, la tesi finale, l’esperienza del tirocinio, tutto arriva al termine, passo dopo passo: i sentimenti più frequenti sono il comprensibile sollievo e la meritata soddisfazione. E’ tempo ora di generare una nuova professione, di agire quello che si è imparato e che nei valori appartiene al proprio cuore, di organizzare e strutturare l’attività professionale di Counseling. Anche in questa fase, purtroppo, qualcuno perde di vista il proprio progetto, la selezione naturale agisce ancora. Come durante la formazione, chi procede è perché attinge alle proprie risorse, s’impegna, chiede aiuto, riconosce il valore del proprio contributo, ha fiducia e non si tira indietro quando ci sono contrattempi, per proporsi usa la creatività oltre alla logica, crea connessione e scambi, si confronta.

Fortuna? Sfortuna? L’una o l’altra le creiamo noi, con i nostri atteggiamenti, pensieri e scelte; non a caso un percorso di formazione in Counseling prevede anche, oltre al “sapere” e al “saper fare”, la cura della qualità dell’”essere.” A volte prendersi cura della qualità del proprio “essere” è confuso con “capire” e con “analizzare”; si tratta invece di avere attitudine alla consapevolezza, di creare un metaforico ponte tra ciò che si apprende e il proprio comportamento, con congruenza sentita, e di fare uso in primo luogo per se stessi degli strumenti che il Counseling offre: un processo di “empowerment”.

Nulla resta uguale nel tempo, tutto cambia: la natura durante i suoi cicli ci mostra in modo concreto, percepibile ai sensi, questo disegno della vita, l’inpermanenza. Anche la formazione di un professionista, in qualsiasi ambito e in special modo in un contesto delicato come l’interiorità dell’essere umano, è soggetto a questo. E’ necessario nutrire, rinnovare e arricchire la propria professione di Counselor, perché mantenga la vitalità e l’entusiasmo che ha dato la spinta a percorrerla come via professionale. Una professione, quella della “relazione d’aiuto”, che oltre a essere un’attitudine è anche un’”arte”: un insieme di abilità cognitive e attitudinali che devono essere praticate a lungo per dare fiori e frutti, inizialmente magari piccoli, modesti e apprezzabili fiori di campo, fino a diventare poi stupende produzioni di serra.

Dieci indicazioni, semplici e pratiche, tra le quali scegliere per generare passione.

1. Studiare studiare studiare: aggiornarsi e mettersi sempre in discussione, non si è mai arrivati; armarsi di curiosità è utile.

2. Essere Counselor nella propria vita oltre che nella professione, non a caso C.R.Rogers indicava la congruenza come una delle qualità fondamentali per un Counselor.

3. Cercare le situazioni che mettono proprio agio, per proporre la propria professione; rivolgersi a contesti verso i quali si prova interesse e/o dove si hanno competenze professionali specifiche.

4. Essere curiosi di capire in modo umano, non freddamente intellettuale. Capire senza umanità non serve, non nutre e non trasmette nulla.

5. Riflettere: Che idea desidero che gli altri si facciano di me come professionista? Quale aspetto mi contraddistingue? Per quale ragione qualcuno mi dovrebbe scegliere come Counselor? Qual è stata la spinta interiore che mi ha portato decidere di fare questa professione? Qual'è il vantaggio della mia presenza professionale per le persone che entrano in contatto con me e il Counseling?

6. Considerare la delusione. Non tutto riesce, non sempre veniamo scelti o i nostri progetti sono i migliori. Una possibilità é rinunciare, un’altra rimboccarsi le maniche e ricominciare imparando dall’esperienza fatta. Anche fare un progetto è un risultato, non solo che sia accettato o meno.

7. Imparare dagli altri: avere dei modelli, degli esempi che danno ispirazione e tendere a quelle eccellenze, senza per questo copiarli, mettendoci anche noi stessi.

8. Identificare almeno un proprio talento e farne una leva.

9. Leggerezza q.b.: utilizzare l’umiltà intesa come accoglienza di punti di forza e aree di debolezza, lasciando andare le identificazioni.

10. Chiedere feedback a persone di fiducia e usarli per fare verifiche e prendere spunti.

io amo il mio lavoro

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