L’adozione, cioè il farsi genitori di un bambino che ne è privo, è attualmente una realtà piuttosto presente nel nostro paese: nel periodo 2000-2010 hanno ottenuto il decreto di idoneità per l’adozione più di 24.000 coppie; nel secondo semestre del 2010 sono entrati in Italia con adozione internazionale più di 4.000 minori. Questi dati, che indicano una realtà consistente, parlano di bambini soli e con un'origine altra che diventano figli; di adulti che diventano genitori di un bambino nato da altri genitori; di ferite a cui si vuole dare un senso; della creazione di un legame molto forte. Essere genitori di un bambino adottivo è un evento che si snoda nel tempo in momenti ricchi di significato; è un processo in cui la coppia è portata in primo luogo ad incontrare ed accogliere se stessa preparando uno spazio - nella mente e nel cuore - all’ingresso di un bambino già nato.
Nell'adozione la coppia attraversa il passaggio dal desiderio di un figlio all'idea adottiva; da questa alla decisione di adottare ed all'attivazione di un percorso di adozione; poi ai tempi dell'attesa (lunga e complessa, fatta di azioni da compiere e di tempi "morti"); infine giunge all'incontro con il figlio e quindi alla nascita della famiglia, per vivere poi la ricchezza e la complessità delle varie transazioni del ciclo di vita della famiglia (Scabini 1995) cui si aggiungono le caratteristiche peculiari della famiglia adottiva. In tutta queste tappe il counseling può fornire un aiuto utile ed adeguato; il counseling adottivo infatti si connota come una relazione di aiuto con una sua specifica identità operativa che si esplica:
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nell'aiutare la coppia a comprendere il proprio desiderio di genitorialità ed a verificare se la scelta dell'adozione sia la strada adeguata per lei;
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nell'esserle accanto nella comprensione delle varie tappe del percorso e nell'affrontare quanto di doloroso accompagna questi momenti;
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nel favorire la conoscenza, l'esplorazione e la promozione delle risorse individuali;
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nel sostenere ed accompagnare nei momenti più significativi ed in quelli difficili della vita di una famiglia adottiva.
1) Counseling e relazione di aiuto nella preparazione delle coppie adottive
In questo articolo mi occupo della preparazione alla genitorialità adottiva e dell’aiuto che il counseling può offrire nella fase in cui una coppia compie i primi passi verso l'adozione.
Il cammino che porta ad un’adozione è fatto di percorsi giuridici e sociali e di percorsi interiori. Le coppie che desiderano adottare un bambino presentano la propria "Dichiarazione di disponibilità all'adozione" presso un Tribunale per i minori. Questo darà mandato al Servizio Sociale di pertinenza che attiverà l’indagine psicosociale e le procedure necessarie a valutare l'idoneità della coppia. Al termine di questo procedimento e sulla base dell’indagine effettuata dai Servizi il Tribunale rilascerà o meno il "Decreto di idoneità" ad essere genitori adottivi. A questo punto la coppia dichiarata idonea dovrà scegliere se percorre la strada dell’adozione nazionale o quella internazionale, oppure dichiararsi disponibile ad entrambe. Nel caso desideri percorrere la strada dell’adozione internazionale si dovrà rivolgere ad un Ente Autorizzato scegliendolo tra i 50 presenti in Italia; l'Ente condurrà a sua volta la coppia in un percorso procedurale complesso.
Questo è l’aspetto esteriore, visibile, sociale del percorso adottivo.
Ma cosa succede a livello personale, interiore e psicologico in una coppia che desidera adottare un bambino? Quali le motivazioni, i moti dell’animo, i pensieri e i desideri, le paure e le aspettative…
Il periodo che intercorre tra il sorgere dell'idea adottiva e la decisione di adottare (L. Paradiso 1998) è ricco di crescita e cambiamento, ma anche di difficoltà e di ansie; la coppia si trova a vivere contemporaneamente momenti "pubblici" in cui è frequentemente a contatto con operatori sociali che la esaminano e momenti "privati" che vive in solitudine. In alcuni casi (che sono la maggior parte) la decisione di adottare è motivata dall'assenza di figli naturali; il senso di frustrazione per il figlio biologico mancato, il sentimento quindi della perdita ed il dolore che lo accompagna sono presenti in maniera forte e durevole; insieme si osserva nelle coppie la voglia di dare un senso al dolore ed alla ferita, la motivazione ad aprirsi con generosità all'accoglienza di un bambino, il bisogno di dare espressione viva e vitale alle proprie risorse genitoriali (che ci sono ed attendono di essere espresse nella relazione con un figlio), la ricerca di una strada che dia risposta al legittimo desiderio di un figlio.
Le coppie che si orientano all’adozione si rivolgono dunque ai Servizi Sociali, al Tribunale minorile, all’Ente autorizzato per soddisfare il desiderio di un figlio e con la richiesta più o meno esplicita di un bambino. Il Counselor che opera con coppie che pensano di intraprendere o hanno intrapreso un percorso adottivo si colloca in una posizione diversa rispetto a questa richiesta. Il counseling adottivo ha infatti uno scopo ben preciso: aiutare la coppia ad uscire dalla strumentalità accompagnandola a collocarsi non nella ricerca di servizi che siano strumentali ad ottenere il figlio cui si pensa di avere diritto, piuttosto nel situarsi in una dimensione dinamica di comprensione di sé e ricerca di significato. In questo “viaggio” la coppia – rivisitando la propria storia - si muoverà a comprendere in primo luogo se stessa, le proprie caratteristiche, i propri bisogni, i desideri; incontrerà i limiti (che sono stati l’occasione di questo percorso) e farà i conti con questi, forse li accetterà e li amerà (li com-prenderà); conoscerà una gamma di sentimenti e di vissuti: dolore, rabbia, frustrazione, accettazione di limiti, riconciliazione con ferite, espressione di risorse, fiducia, speranza. Per questo è importante che il counselor adottivo chiarisca che suo compito è di lavorare non sul soddisfacimento di un bisogno, ma sullo scopo: perché siamo qui? Lo scopo non è il bambino ma l’essere, l’identità di coppia, capire: compito del counselor è quindi aiutare la coppia a distinguere tra motivazione (spinta iniziale) e scopo. Il fatto che questo percorso avvenga in una alleanza (la relazione di aiuto) fornisce il contenimento, il calore ed i confini di uno spazio sicuro.
Un counseling adottivo efficace si esplica su due livelli ed in due fasi:
1° fase: il lavoro individuale con la coppia. In questa fase la coppia ha l’occasione - raccontandosi - di scoprire e conoscere se stessa, di dirsi “che tipo di coppia siamo”, di esplorare le proprie caratteristiche e prendere consapevolezza del suo personale modo di affrontare la vita: quale tollerabilità o meno alla frustrazione possiede, il proprio grado di flessibilità e/o rigidità, il suo muoversi tra bisogno di risarcimento e capacità ripartiva... Così la coppia viene a conoscenza di qualità e risorse personali che, mentre la preparano a fare spazio ad un figlio, saranno in seguito importanti nell’incontro con lui.
2° fase: il lavoro all’interno di un gruppo di coppie che si preparano all’adozione. Il gruppo è uno strumento di lavoro importante e promuovente. Lewin (1951) sostiene: “…il gruppo è qualcosa di più e di diverso che la somma dei suoi membri: … la sua essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i membri, bensì la loro interdipendenza”. Poiché la famiglia è - anche - gruppo, formare un gruppo di coppie che si preparano all’adozione ha funzione “modellante”, offrendo l’opportunità di sperimentare in esso dinamiche che si andranno poi a vivere nella famiglia che si formerà. Infatti, la dinamica gruppale dell’interdipendenza permette di scoprire l’esistenza non tanto – come spesso si ritiene - della consequenzialità dei comportamenti (causa-effetto, punto di vista lineare), quanto della relazione tra i membri (punto di vista sistemico, circolare). Inoltre un gruppo – come la famiglia – ha una storia ed è un sistema che vive processi di cambiamento e crescita (Scabini 1995) così da essere rappresentativo della famiglia adottiva: si appartiene al gruppo non per parentela ma per un altro legame che non è di sangue ed in esso si crea una relazione di appartenenza; ogni membro ha diritto di ingresso ed è accettato così come è; nello stesso tempo nel gruppo ci si corregge, sostiene e guida a vicenda; non vi è omogeneità temporale, ma vi sono diverse età (anni di matrimonio, durata del proprio percorso adottivo…); è un luogo dove si può esprimere la paura e dare spazio ai sentimenti; vi si vive la possibilità di coesistenza di storie diverse (nella famiglia sarà integrazione di storie); nel gruppo si cresce in competenze per esperienza e, attraverso le dinamiche attivate, sono favoriti movimenti e cambiamenti sul piano psicoaffettivo e relazionale.
Nel counseling adottivo il gruppo ha le seguenti caratteristiche: è formativo (non è un gruppo di terapia); è supportivo: uno spazio per la condivisione delle esperienze ed il contenimento dei sentimenti; è didattico: vi si impara qualcosa sia dal punto di vista esperienziale che teorico. Il counselor esplica la sua funzione su più livelli: propone momenti di esperienza strutturati (laboratori); facilita, favorisce, riconosce e valorizza i momenti di esperienza genuini e naturali (vissuti ed agiti); offre aprofondimenti teorici: insegnamento, trasmissione di conoscenze e consegna di strumenti, feedback, riflessione e consapevolezzazione… cosicché ogni coppia ed ogni singolo possa appropriarsi di quanto vissuto facendone una riserva di risorse; il counselor funge da accompagnatore nella crescita personale e del gruppo e da facilitatore della relazione; suo compito è accogliere, creare e favorire una buona alleanza con lui e tra i membri; riconoscendo, accogliendo, accompagnando nella crescita e valorizzando persone e risorse … assomiglia un po’ ad un genitore adottivo.
Il counseling nel lavoro di un gruppo preadottivo ruota attorno ad alcuni temi fondamentali: riconoscere ed accettare la diversità; creare appartenenza; lavorare sull’origine del figlio adottivo e sul rapporto con l’ignoto rappresentato dal figlio “altro da me”. Infatti, la relazione con la diversità portata dai componenti del gruppo prepara all’incontro con la diversità del figlio (il bambino di cui non so niente); la relazione tra i membri consente di sperimentare integrazione ed appartenenza andando oltre i rischi dell’assimilazione (annullamento della diversità) e dell’estraneamento (rifuto della diversità). Un lavoro di counseling che prevede le due fasi (individuale e di gruppo) offre l’opportunità di vivere un percorso di riconciliazione: con la propria origine e storia di coppia, con i propri limiti (personali, di coppia, del partner), con la vita; favorisce quindi la capacità riparativa, l’esplorazione dei sentimenti e delle risorse, la tolleranza alla frustrazione in modo che non si cerchi un bambino come risarcimento (così da investirlo del compito gravoso di far felici i genitori per chiudere una ferita), ma - favorendo il dinamismo della coppia – si faccia spazio ad un figlio. Risalendo all’origine del proprio percorso personale (la spinta iniziale da cui si è partiti per giungere alla decisione di adottare) la coppia si prepara ad incontrare l’origine del bambino che diventerà il proprio figlio; origine che non è quella adottiva ma quella di nascita; si prepara a comprendere che l’adozione si inserisce come un evento nel continuum della storia del suo bambino, bambino che - come la coppia – ha una storia precedente; si prepara ad incontrare mentalmente la coppia che ha dato origine al proprio figlio, i genitori naturali del bambino, preparandosi a familiarizzare con questa presenza in quell’alleanza fondamentale che costituisce la “triade adottiva”. Infatti, tra le paure ed i “fantasmi” che spesso abitano i pensieri dei futuri genitori adottivi vi è quello dei genitori naturali del bambino: a volte li si vorrebbero morti per proteggere il bambino dal dolore conseguente alla consapevolezza dell’essere stati da loro lasciati (meglio orfani che abbandonati); a volte li si immaginano così buoni da avere offerto in dono il proprio figlio per garantirgli un futuro e così generosi da aver reso possibile la propria genitorialità. Queste immagini estreme denotano la difficoltà dei genitori adottivi a considerare e pensare queste figure reali e presenti nel proprio figlio, la difficoltà a fare i conti con il fatto che per poter essere genitori si è avuto bisogno di altri genitori.
E’ evidente da queste ultime considerazioni come l’adozione spalanchi l’accesso a vissuti ed emozioni molto forti e profonde e vada a toccare lacerazioni e sentimenti di altissima intensità. Il gruppo condotto con rispetto e competenza offre lo spazio ed il contenimento necessario a fare di queste vie di accesso non uno “sfogo” ma delle occasioni di autentico contatto e di crescita. Per questo è eticamente e professionalmente necessario che il counselor adottivo abbia condotto e conduca un buon lavoro su se stesso.
Il counseling può quindi aiutare i futuri genitori adottivi a scoprire che il figlio desiderato e già amato nel pensiero non è un oggetto di possesso (“i figli non sono nostri”): il figlio è generato, è espressione dell’identità di una coppia che – essendo tale – è già feconda; la coppia infatti non è “sterile” quando si apre alla conoscenza di sé ed alla ricerca della propria progettualità; perché da ogni ferita può nascere un legame molto forte.
Nota del responsabile della comunità di Counseling Italia
Per approfondire l'argomento consultate il libro dell'autrice "Il dono di due diversi amori".
Per informazioni su come reperire il libro, contattate direttamente la Dott.ssa Rossana Ragonese
Consulente Familiare
Iscrizione Albo Aiccef n. 286
(Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari)
Consulenza genitoriale e adottiva
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