Un po’ di storia…….
L’arte, nel tempo, si è prestata a molteplici interpretazioni, dalla magia alla religione, fino ad essere definita un tutt’uno di elementi emotivi ed intellettuali. Sin dall’antichità essa, comunque, è stata utilizzata per prevenire e curare malattie. Dagli egizi ai greci fino ad arrivare a tempi più moderni, nel XIX secolo, “l’opera d’arte viene vista anche come una sorta di strumento terapeutico, una possibilità, per il suo creatore, di esprimere una realtà fantastica, che altrimenti l’avrebbe potuto portare alla follia” (E. Giusti – I. Piombo, Artiterapie e Counseling espressivo, A.S.P.I.C. Edizioni Scientifiche, Roma, 2003).
L’arteterapia si è sviluppata gradualmente dagli anni quaranta in poi, in seguito ai successi ottenuti da alcuni specialisti in attività creative nell’ambito dell’assistenza sanitaria, della riabilitazione.
Il concetto di arteterapia, quindi, è relativamente nuovo, anche se le sue origini ci riconducono come detto sin nell’antichità.
Da sempre l’arte è considerata una forma di comunicazione importante, che riesce ad arrivare dove le parole alle volte falliscono. Proprio per questa particolarità è stata spesso oggetto di interesse per molti studiosi nel campo della psicologia. Lo stesso Freud si interessò all’arte, affermando che l’artista trasforma le sue fantasie in una creazione artistica invece che in sintomi, divenendo il prodotto artistico uno specchio del mondo interno del soggetto e di conseguenza il prodotto artistico diventa materiale di interpretazione per l’analista.
Anche Jung ha parlato di arte come un mezzo per contattare e esprimere le immagini appartenenti all’inconscio. Per Jung il simbolo assolve la funzione di mediatore fra l'inconscio e la coscienza ed è l’agente trasformatore della natura dell'uomo, aiutandolo ad individuarsi sempre di più. Ogni cosa può avere la funzione di simbolo, ma alcuni simboli sono universali, quelli che Jung chiama archetipi. Egli considerò gli archetipi come modelli di comportamenti istintuali, contenuti nell’ “inconscio collettivo”. L’inconscio collettivo è la parte di inconscio non individuabile, ma universale, con contenuti e modalità di comportamento che sono più o meno gli stessi, ovunque e in ciascuno. Miti e favole sono espressioni di archetipi, così come lo sono molte immagini e tematiche dei sogni. [Riguardo ai sogni possiamo dire che rappresentano una verifica delle sensazioni e dei pensieri della persona. Rivivendo il sogno e agendolo con consapevolezza, la persona è capace di “entrare in contatto con” o esaminare le sensazioni più direttamente: S. Murgatroyd, Il Counseling nella relazione d’aiuto, Sovera, Roma, 1995]. La presenza di modelli archetipici comuni a tutti spiega le analogie fra i miti di molte culture diverse che, in quanto modelli preesistenti, influenzano il modo in cui ci comportiamo e reagiamo agli altri (C.G. Jung, Il concetto di inconscio collettivo, Boringhieri, Torino, 1980). Riconoscere questi archetipi, o ruoli latenti determinati internamente, che possono attivarsi dentro di noi, ci permetterà di vedere il loro impatto su di noi e sugli altri. C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Tea, 2004).
L’obiettivo di Jung è recuperare tutti gli archetipi latenti ed integrarli con quelli manifesti, così che nella psiche possano coesistere i contrari senza produrre conflitti e scissioni: la razionalità e l'irrazionalità, il maschile e il femminile, l'estroversione e l'introversione, il pensiero e la sensazione. L'obiettivo, quindi, non è l'eliminazione di uno di questi contrari, perchè ciò porterebbe a un impoverimento del Sè rendendolo unilaterale: si tratta, invece, di integrare armonicamente ciascun contrario con l'altro, assecondando le tendenze vitali del paziente all'autorealizzazione.
Possiamo dire, quindi, che per Jung il processo creativo è finalizzato all’attivazione di queste immagini archetipiche inconsce, per poi rielaborarle e tramutarle in un prodotto creativo. L’artista è dunque colui che attingendo alle immagini archetipiche dal profondo le trasforma per renderle comprensibili a tutti. Jung in questo modo attribuisce all’arte un valore sociale.
Quelle considerate le vere fondatrici dell’arteterapia sono Margaret Naumburg e Edith Kramer.
Margaret Naumburg ha una visione molto vicina a quella di Freud e considera il prodotto artistico del paziente come uno strumento d’accesso ai suoi contenuti inconsci, da utilizzare nel corso della terapia come materiale da interpretare e favorire così l’insight e la risoluzione dei conflitti interni. Il prodotto artistico è visto ed utilizzato esclusivamente come strumento diagnostico. L’arte, dunque, come strumento messo al servizio della terapia e non arte come terapia.
Edith Kramer, invece, concentra l’attenzione sul processo creativo, ritenuto uno strumento terapeutico. “Essa considera l’impegno nel processo di produzione artistica un’opportunità per esternalizzare, risperimentare e risolvere sentimenti conflittuali … preferisce concentrarsi sull’oggetto d’arte come contenitore di emozioni e si relaziona ai propri pazienti tramite i loro prodotti artistici” (ibidem).
È dunque dalla Kramer in poi che si può parlare di arteterapia vera è propria, cioè, con lo spostamento dell’attenzione dal prodotto artistico come materiale da interpretare, al processo creativo vero e proprio, che, avvalendosi di simboli e metafore, coinvolgendo il cliente in attività che comportano un impegno sensoriale, diventa un mezzo per riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, e per comprendere e risolvere difficoltà e conflitti.
Venendo a noi, l’arte nel Counseling espressivo è lo strumento principale, è l’espressione artistica finalizzata a migliorare la qualità della vita dei clienti che verranno a chiederci aiuto. È quello strumento che fa da tramite tra noi ed il cliente stesso, è l’oggetto transizionale su cui proiettiamo le nostre emozioni che finalmente riconosciamo come nostre, ma ad una distanza che non ci fa paura, per poi masticarle, elaborarle, digerirle e infine integrarle dentro di noi.
Le risorse che si utilizzano sono le potenzialità che ognuno di noi possiede, chi più chi meno, per elaborare il proprio vissuto e manifestarlo creativamente, portandolo fuori, verso una maggiore conoscenza e consapevolezza.
L’arte nel Counseling pone la sua attenzione sul processo creativo, non sul prodotto artistico. Importante è soprattutto esprimersi e creare.
L’atto di produrre creativamente, permette all’individuo di entrare in contatto con le parti più intime e nascoste di sé, di contattare ed esprimere le emozioni più nascoste, talora inaspettate, e di sperimentare e rinforzare abilità spesso ignorate o inutilizzate. Il processo creativo, al di là del risultato finale, è già curativo in sé. L’arte ci rende sensibili e ci pone in ascolto di noi stessi.
I prodotti artistici svolgono altre importanti funzioni, sono per colui che ha creato una traccia di sé, la testimonianza della propria auto-affermazione e il ricordo delle esperienze vissute durante la sua produzione. L’opera d’arte realizzata è una rappresentazione simbolica del mondo interno del cliente al quale ci consente di accedervi per una maggior comprensione.
In che modo l’arte nel Counseling, e cioè il fare arte può diventare momento di cura e terapia? Citerò un passaggio per me molto significativo: “come la grande arte è portatrice di messaggi e di contenuti che spesso percorrono i tempi, riuscendo ad esprimere e mostrare sia emozioni fertili sia angosce latenti ad un pubblico sensibile e ricettivo, così un fenomeno simile si può riprodurre per ogni persona, nel momento in cui mette in comunicazione il proprio mondo interiore con il mondo esterno, tramite i mezzi artistici. Anche se spesso è difficile rendersene conto, il momento della creazione rappresenta un istante prezioso, in cui prende vita qualcosa di unico, fino a quel momento rimasto nascosto. Qualcosa che si espone per essere condiviso, per comunicare un’intuizione, una maniera speciale di fare, di esprimersi, o di percepire la realtà” (ibidem).
Quando una persona è immersa in un’attività creativa riceve una serie di input sia a livello fisico che intellettuale ed emozionale che portano a cambiamenti organici e psicologici che aiutano i processi di guarigione. All’attività artistica, poi, si unisce la guida dell’arteterapeuta o, nel nostro caso, dell’artcounselor, che deve saper utilizzare al meglio questi strumenti, adattandoli alle persone e alle situazioni.
Inoltre “il processo creativo può rappresentare un’occasione di seria riflessione o di contemplazione, ma anche una possibilità di frustrazione, nel caso in cui il cliente non riesca ad esprimere visivamente ciò che ha in mente.” È quindi importante “che il terapeuta abbia una particolare sensibilità nell’accogliere eventuali momenti di frustrazione e che la usi … per la comprensione di ciò che esso presenta e comunica di significativo riguardo al cliente”. Inoltre, “è fondamentale mettere in comunicazione parole ed immagini, cosicché il cliente veda ciò che produce come qualcosa di profondamente suo, d’interiore, che lo aiuta ad entrare in relazione con l’esterno, come una finestra sul mondo” (ibidem).
Fare arte ci riporta al gioco, al nostro essere bambini. Come nel gioco infantile vi è un forte coinvolgimento verso ciò che si sta vivendo; si vuole sperimentare ed entrare in confidenza con tutte le ipotesi che il processo creativo ci fa emergere, divertendoci, dimenticandoci della fatica, e dell’ansia, che invece ha l’adulto nel momento in cui deve ricercare soluzioni o prendere decisioni.
L’arte nel Counseling, oltre a costituire un mezzo per lavorare con i bambini, amplia gli schemi abituali con i quali l’adulto si relaziona alla realtà, sia interna che esterna, stimolandolo a prendere contatto e sperimentare tulle le sue potenzialità inespresse.
Fare arte coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. L’attività creativa infatti richiede un impegno intellettivo e cognitivo legato all’immaginazione e all’ideazione del prodotto artistico, ma anche un impegno sensoriale. L’arte nel Counseling ha lo scopo di mettere in comunicazione soma e psiche, mente e corpo, in modo più fluido ed equilibrato, e quindi più sano.
Impegnarsi in un’attività creativa promuove l’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che presiede appunto alla fantasia, all’intuizione, alla comunicazione non verbale, pensiero analogico (o fase divergente), spesso ritenuto meno importante di quello logico-razionale, spettante all’attività dell’emisfero sinistro del cervello. Ma come abbiamo bisogno di due gambe per poter camminare correttamente, nello stesso senso abbiamo bisogno di tutte e due le attività degli emisferi del cervello per essere integrati. Come sostiene Witmer “la creatività è un’esperienza non sequenziale, che coinvolge sei passaggi…la preparazione, fase in cui si cerca di ottenere dati ed informazioni per formulare nuove proposte… l’incubazione , durante la quale la mente vaga libera… elaborando ed organizzando le informazioni accumulate. Nell’ideazione le idee vengono generate, ma non giudicate. Conseguenza di questo pensiero divergente è l’illuminazione, momento in cui si realizza un passo avanti nel pensiero. La valutazione implica l’entrata in azione del pensiero critico e convergente, la messa a punto e la rifinitura dei pensieri o comportamenti che non sono stati accuratamente analizzati. Infine si realizzano le procedure di verifica e produzione che consentono ad un’idea originale di diventare un prodotto o un’azione nuova e pianificata. In quest’ultimo passaggio si realizza il cambiamento” (ibidem). L’arteterapia e l’arte nel Counseling sono quindi un’importante opportunità per promuovere e potenziare, queste capacità.
L’attività creativa si avvale del linguaggio dei simboli. Dipingere, disegnare, plasmare, danzare, sono tutte attività nelle quali i nostri sensi vengono stimolati. L’espressione artistica, come si è già detto in precedenza, ma che non si smette di ribadire, è una rappresentazione simbolica del nostro mondo interiore e delle modalità che usiamo nel rapportarci nella realtà.
È questa caratteristica di utilizzare il linguaggio dei simboli che rende l’arteterapia e l’arte nel Counseling un canale privilegiato rispetto alle altre forme di aiuto.
È infatti più facile parlare di un disegno, di una poesia, o di qualsiasi altro prodotto artistico, che parlare di sé direttamente.
Una peculiarità dell’arte nella relazione d’aiuto è che può essere svolta anche in gruppo. Il gruppo svolge infatti molteplici funzioni, crea un’atmosfera di spontaneità e contenimento. Inoltre, fa sentire il soggetto che non è da solo in una situazione difficile. All’interno del gruppo si può discutere e confrontarsi sui propri vissuti.
Per tutte queste caratteristiche intrinseche, l’arte nel Counseling permette a tutti di esprimere emozioni e sentimenti di cui è difficile parlare; riconoscere ed affrontare conflitti e blocchi emozionali; migliorare il rapporto con il proprio corpo; aumentare l’autoconsapevolezza; migliorare l’autostima e la percezione delle proprie competenze; l’autoaffermazione ed individualità; adottare nuove strategie comportamentali; migliorare le capacità comunicative e relazionali.
Tra le forme d’arte più usate nel Counseling si possono utilizzare tutte le arti grafiche, dal disegno, alla pittura, alla scultura, alla scrittura; la danza; la musica; il teatro e tante altre, va considerato, comunque che ,con un po’ di creatività, tutto può diventare appropriato per esplorare e parlare un po’ di noi.
Le arti possono essere utilizzate anche in sinergia tra loro. Ad esempio, si può fare un disegno accompagnati dalla musica o rappresentare le immagini che la musica ci ha evocato, o anche rappresentare teatralmente una poesia aiutandosi con la danza. Metterete in comunicazione più sensi o passare dall’uno all’altro può essere efficace per divenire più flessibili e affrontare gli stessi temi da una diversa prospettiva.
Tutte le modalità sopra evidenziate, e tante altre ancora, possono essere utilizzate come sostegno al cambiamento. Esprimere i propri conflitti tirandoli fuori per meglio comprenderli e riconoscerli senza paura per poi modificarli e farli propri.
Simona Di Stefano
Le cose che il bambino ama
rimangono nel regno del cuore fino alla vecchiaia.
La cosa più bella della vita
è che la nostra anima
rimanga ad aleggiare
nei luoghi dove una volta giocavamo.
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