Giovani adulti


giovani_adultiQuando nella vita dei ragazzi nascono delle difficoltà siamo abituati a fare un sacco di ipotesi; si pensa subito a carenze affettive ed economiche o alla mancata realizzazione dei loro obiettivi professionali. Si addossa la colpa alla società e alle sue incongruenze, alla violenza, alla politica. Ogni epoca chiama in causa i "mostri" che essa stessa ha creato per spiegare il disagio ed il malessere dei suoi figli. La televisione, la pubblicità, la mancanza dei valori, la crisi della religione. Ognuno spiega a suo modo i problemi che li accompagnano. L'incapacità di fare un percorso di vita normale sembra essere un male tipico di questo secolo, ereditato dal precedente. Dopo millenni in cui lo svolgimento dell'esistenza era regolato dalle consuetudini, dalla religione e dalla società ci accorgiamo che la della conquistata indipendenza non sappiamo cosa farne. O, almeno, la troviamo difficile da gestire.


Il problema riguarda soprattutto i giovani che sembrano non riuscire a staccarsi dal nucleo familiare; i "giovani adulti", come li chiama ironicamente qualcuno, continuano a rimanere nella casa paterna fino a 40 e più anni. Certo, comprare o affittare una casa non è così semplice: i costi sono proibitivi. Poi c'è il problema del lavoro, che non tutti riescono a trovare. E così il ragazzo o l'ex ragazzo si trova a dover dipendere dai genitori anche se la sua età va verso gli "anta". Ma come la mettiamo per quelli che non hanno problemi economici? Che hanno un buon lavoro ed un appartamento di proprietà o messo a disposizione dalla famiglia? Incredibilmente anche loro non se ne vogliono andare. Sembra che sia un fenomeno tipicamente italiano, che nel resto dell'Europa è  meno diffuso.

Tempo fa un amico inglese trentenne mi raccontava una storia che da noi non si potrebbe verificare. Per motivi di studio era tornato a stare con la madre per qualche mese. Dopo una ventina giorni lei gli aveva chiesto timidamente se  poteva trovarsi una diversa sistemazione perché era stufa di dover rispondere alle domande ansiose dei vicini. Era malato? Era divorziato? Aveva perso il lavoro? Per loro era incomprensibile che un ragazzo di 30 anni volesse stare per un lungo periodo a casa di sua madre. All'estero, si sente raccontare, i ragazzi preferiscono abitare in una casa popolare o con un gruppo di amici piuttosto che con i loro parenti. Perché da noi non è così? Molti cercano di rispondere ai motivi di questo comportamento sociale, ma in questa occasione vorrei concentrami su un aspetto meno dibattuto, ovvero sulle conseguenze a carico dei genitori che possono derivare da un precoce allontanamento del figlio. E' facile dire che un ragazzo che lavora deve andarsene da casa, ma spesso è proprio la sua famiglia a non volerlo. Certo, apparentemente gli dice il contrario e si lamenta della sua presenza sventolando le bollette, ma indirettamente gli trasmette tutt'altri messaggi.

Per esempio questi:

* non andartene, ho solo te al mondo, tuo padre (tua madre) per me è quasi un estraneo
* ho già una certa età e un sacco di problemi, non lasciarmi anche tu
* come farò a sopportare tua madre (o tuo padre) senza il tuo aiuto?
* da quando sei nato ho avuto uno scopo, ora come riempirò questo vuoto?
* con chi parlerò, chi mi farà compagnia quando te ne sarai andato?
* sei un ingrato: te ne vai dopo tutto quello che ho fatto per te

Sentiamo il racconto di un ragazzo italiano:

Ho quasi 28 anni e lavoro a part- time; vivo ancora in famiglia. I miei genitori mi fanno pesare il fatto che devono ancora mantenermi. Recentemente ho provato ad allontanarmi da casa per andare a vivere con degli amici che avevano trovato un appartamento, ma è successo un putiferio.
Mi hanno detto che sono un traditore e un ingrato; non riesco a capire questo loro atteggiamento, lo trovo assurdo e contraddittorio.

Sembra strano, ma uno dei più grossi ostacoli alla emancipazione del figlio è rappresentato dai genitori. I quali, in buona fede e senza accorgersene, sono assai preoccupati di dover sopportare una separazione dal rapporto più intenso e viscerale che abbiano mai avuto. Devono superare quella che in psicologia si chiama "sindrome del nido vuoto". E' l'occasione per un bilancio, spesso amaro, sulla propria esistenza. I figli hanno dato luce e gioia a chi si sentiva inutile, incompreso, inadeguato. Hanno dato un senso alla vita, voglia di lottare e, davanti agli altri, il giusto orgoglio di essere genitori, "brava gente" che ha una famiglia a cui pensare. E adesso? 

Anche il ragazzo sente il dolore dell'allontanamento, ma è una posizione privilegiata, perché è giovane e pieno di speranze e comunque mamma e papà saranno sempre li se qualcosa va storto. Lui ha tutta la vita davanti: amore, carriera, speranze; non ha ancora avuto batoste, delusioni, fallimenti. Mentre loro due si ritrovano ad una età critica, schiacciati tra le esigenze dei nonni, anziani e bisognosi di cure e gli anni che passano inesorabilmente.

Cosa riempirà questo vuoto? Forse il partner non è un granché e il rapporto si è affievolito; la mancanza del figlio lo renderà ancora più grigio. Di cosa parleremo la sera quando il ragazzo non sarà con noi ? Forse, tra qualche anno, ci saranno dei nipotini a cui pensare, ma cosa faremo nel frattempo? E quanto tempo libero avremo ora che le incombenze familiari diminuiscono? Questi sono alcuni dei problemi che si presentano ai genitori. Il più grosso è quello di trovare nuovi motivi di vita, nuove occasioni di sentirsi utili e vivi. L'altro è quello di rinegoziare il rapporto con il partner. Ci si ritrova nella stessa situazione di quando bambini non ce n'erano, ma con qualche anno in più e meno voglia di fare. Se un tempo siamo passati da essere una coppia ad essere una famiglia ora dobbiamo fare il percorso inverso. Ora non potremo più nasconderci dietro gli impegni di casa se non abbiamo voglia di uscire. Abbiamo più tempo per dedicarci alla cura di noi stessi, ma ci va? E su chi potremo riversare affetto e cure? Il nostro partner si merita di riceverle, abbiamo voglia di dedicarle proprio a lui? Distaccarsi dai figli ci fa sentire invecchiati. Finché avevano bisogno di noi era facile sentirsi grandi, adulti, responsabili. Loro erano i bambini, i piccoli, quelli che avevano bisogno di noi. Adesso ci guardano quasi alla pari e cercano altrove la tenerezza di cui hanno bisogno.

La nostra società ci ha educati al culto del futuro, del "domani accadrà", dimenticando l'oggi. Fin dall'infanzia abbiamo fatto una lunga corsa in avanti verso un carico di aspettative, di gioie e felicità che ci venivano promesse. Felicità che appartenevano sempre al domani, mai all'oggi. Il presente era solo un momento di attesa, una pausa prima di un gran giorno che sarebbe arrivato. Ma vivere nel futuro è assai rischioso, perché l'unica felicità che si può avere è proprio qui, nel momento della vita presente. Rimandare non serve. E se si vuole cambiare qualcosa è da oggi che dobbiamo partire, non da domani. E se una bella fetta della vita è già passata aspettare ancora il futuro non servirà. La gioia di avere un figlio, pur con tutti i problemi che portava, ci ha fatto vivere nel futuro e dimenticare una parte di noi stessi, il nostro presente. I doveri familiari hanno assorbito tante energie e messo in disparte i nostri bisogni e desideri. La casa diventa improvvisamente vuota e i rumori che fino ad ieri ci infastidivano sono diventati uno struggente ricordo. Stiamo vivendo un vero e proprio lutto, anche se non è morto nessuno; essere lasciati dai figli ci fa ricordare altre esperienze tristi in cui siamo stati lasciati da altre persone importanti.
E così il "bambino" è diventato grande e si allontana: ci aspetta il faticoso lavoro di riprenderci i nostri sogni, e chiederci quali si possono ancora realizzare. Nel film "qualcosa è cambiato" con Jack Nicholson, si assiste ad una scena rivelatrice: la protagonista, dopo aver affidato suo figlio malato alle cure di un buon medico si accorge con preoccupazione che ora potrà (dovrà?) pensare un po' a sé stessa. La malattia del figlio le aveva fatto dimenticare di essere una donna, piena di desideri e aspettative di felicità. 

Il meccanismo dello svincolo, ovvero il processo che ci porta ad allontanarci dalla famiglia d'origine ed a crearci una vita propria, ha le sue regole. Anticamente il problema si poneva in misura inferiore perché nella maggior parte dei casi le famiglie continuavano ad abitare nella stessa casa. Nelle società primitive invece esistevano complessi rituali che sancivano ufficialmente l'avvenuta trasformazione del ragazzo e della ragazza in uomo e donna adulti. Da noi questo momento passa quasi inosservato, se non quando causa problemi e  sofferenze.
E' interessante sapere che una grossa fetta di problemi psicologici, anche drammatici, vengono alla luce proprio in questa fase dell'esistenza, sia per i giovani che per gli adulti. Per poter vivere bene abbiamo bisogno di una serie di punti di appoggio, uno dei quali è la famiglia; quando questa si modifica viviamo un profondo stress. Il modo per uscirne è di creare una continuità tra chi se va e chi resta, senza pensare che l'allontanamento fisico segnerà la fine della relazione. Per esempio il ragazzo può trovare una casa vicino ai genitori e fermarsi spesso a pranzo da loro, almeno nei primi tempi. O può invitarli a cena da lui, creare abitudini che facciano sentire ancora unita la famiglia.
Ma quando la separazione è difficile si instaura un meccanismo perverso, pieno di sofferenza, nel quale si alternano tentativi di "fuga" a ricatti, minacce e attacchi di ansia da tutte e due le parti. In questi casi è bene farsi aiutare da uno psicologo che, possibilmente, veda la famiglia tutta insieme (in questo caso sono adatte la Terapia Familiare e la Terapia Sistemica). Chi ha visto il film Tanguy si ricorderà gli attacchi di panico che capitano al ragazzo che i genitori hanno spinto ad andare a vivere da solo.

Un altro modo in cui si manifesta il problema dello svincolo è quando, dopo il matrimonio o la scelta di convivere, entrano "in guerra" le famiglia di origine dei partner.

Ecco una testimonianza
Dopo due anni di felice fidanzamento io e la mia ragazza abbiamo deciso di andare a vivere insieme in un appartamento che mio nonno mi aveva lasciato in eredità. Per alcuni mesi, mentre lo stavamo sistemando, tutto è andato bene; i nostri genitori sembravano aver accettato la nostra decisione di fare una prova in vista di un eventuale matrimonio. Io e lei siamo sempre andati d'accordo, ma da quando siamo entrati in quella casa le discussioni non finiscono mai e sono tutte scatenate dai suoi genitori (in particolare la madre) che si impicciano nei nostri affari e vengono a casa nostra senza avvertire. Spesso trovo la mia roba spostata dalla suocera che è entrata con la scusa di aiutarci nelle pulizie (lavoriamo tutti e due fino a tardi). Quando ho cercato di farle capire che certe cose mi danno fastidio la mia fidanzata si è schierata con i suoi e li difende a spada tratta facendomi sentire estraneo; sembra che per lei la vera famiglia siano loro, non quella che stiamo creando noi due.

Alcuni genitori che non riescono ad affrontare la separazione si avvicinano troppo alla nuova coppia, scatenando situazioni ad alta tensione che in più di un caso portano alla separazione e al trionfante ritorno del figliol prodigo nell'abitazione dei suoi. Per evitare che  questo accada bisognerà rassicurare le proprie famiglia che non ci hanno persi ma nel contempo stabilire dei chiari limiti alle visite e alle intrusioni.

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