Counseling, progressivo avvicinamento al sé
1/2
Aleggia nell’aria, invocato come semplificazione di problemi psicologici, proposto come soluzione rapida dei nostri momenti di difficoltà interiore: è il counseling.
Ci dicono che altrove, specialmente e non solo nei Paesi anglosassoni, è diffuso dagli anni settanta del secolo scorso come attività di routine negli ambiti più diversi (scuole, aziende, sanità…) e con esiti senza dubbio efficaci, eppure alle nostre latitudini più che curiosità, desta sospetti, indubbiamente connessi anche alla nostra Storia culturale.
Ci resta molto difficile accettare che in situazioni emotive di criticità si possa rinunciare alla figura di specialisti riconosciuti quali lo psicologo o lo psichiatra (anche se poi “andare in terapia” non ci aggrada neppure un po’ e faremmo di tutto pur di evitarlo) e la diffidenza nei confronti di questo supporto che non è terapia, comincia addirittura dalla sua definizione, counseling o counselling (accezione americana o inglese), perché, avvertita estranea, ci comunica immediatamente l’idea di non poterne comprendere a pieno significato, pregi e difetti. Se ci immaginiamo poi, per assonanza, che sia un modo per dispensare consigli, gli esperti sono pronti a ripeterci che così non è affatto e per molti di loro è termine addirittura intraducibile nell’idioma nostrano. Il termine sembrerebbe non poter avere un corrispettivo termine di significato affine nella nostra lingua e così le definizioni di che cosa sia il counseling si fanno corpose, complesse e aumentano la confusione di chi, già in difficoltà, poco
conosce e vorrebbe meglio capire.
Propongo di accettare una definizione, tra le tante, non certo brevissima ma che ha il pregio di rispecchiare a pieno l’impianto concettuale e le finalità del counseling: un'attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione. Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento.
E' un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici. Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni.
Il counseling può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale. [1]
La persona che chiede aiuto (definita anche “in aiuto”) è cliente, una definizione che può sorprenderci perché forse ci aspetteremmo “paziente” ma è termine rivelatore di una precisa caratteristica del counseling. Il counseling, qualunque sia l’approccio teorico, non è una terapia, si rivolge a persone sane che vivono un momento di difficoltà e prevede infatti tra cliente e operatore un dialogo paritetico, empatico e di reciproca collaborazione. Tra operatore e cliente è importante che si crei alleanza operativa nel perseguire di comune accordo comportamenti, tecniche e modalità efficaci alla risoluzione del problema vissuto dalla persona in aiuto. Il counseling, operando nella salutogenesi, non può che costituire un intervento di breve durata (un percorso di counseling generalmente si esplicita e conclude in un massimo di dieci colloqui, ad intervalli di una-due settimane) con l’obiettivo di facilitare il processo che conduce ciascuna persona a risolvere la propria difficoltà, utilizzando proprie risorse interiori talvolta dimenticate, più frequentemente scoperte grazie all’aiuto dell’operatore.
È entusiasmante la profonda fid cia nelle potenzialità interiori di ogni persona, nella tendenza attualizzante che conduce ognuno verso il proprio Bene-Essere, secondo una radice teorica chiaramente umanistica che gli ha conferito Carl Rogers. Dunque, una qualità caratterizzante il counseling è quella per cui la soluzione del problema portato dalla persona in aiuto, non può prescindere dalla sua personale volontà ad impegnarsi attivamente per accettare e gestire il cambiamento necessario a risolverlo ed è appunto questo cardine irrinunciabile che fa del counseling un intervento assolutamente estraneo al dare consigli, a trovare soluzioni che la persona in aiuto semplicemente si limiterebbe ad applicare, mentre è in primis orientato a facilitare il processo di crescita della persona (si vedano nella definizione sopra riportata: punti di forza e capacità di autodeterminazione).
Queste precisazioni potrebbero essere sufficienti per sgombrare il terreno da conflitti di interessi tra il counseling e le terapie psicologica e psichiatrica, ma così non è. Tuttavia, pur se tensioni si sono registrate e si registrano ancora tra i diversi ordini di specialisti, siamo convinti della necessità e dell’efficacia del counseling in una società qual è la nostra in cui le difficoltà del vivere, in ogni ambito, da quello familiare a quello di lavoro e delle relazioni intra e interpersonali e a livello globale, prima ancora che patologiche sono segno di alterata o inefficace comunicazione.
Il counseling si sostanzia di pochi fondamentali elementi per costruire condivisione di intenti con la persona in aiuto, offre uno spazio protetto (l’operatore è vincolato al segreto professionale e ad un codice deontologico), accettazione incondizionata (da non confondere con approvazione incondizionata), ascolto per sostenere la persona in aiuto ad assumersi la responsabilità di scelte e/o accettare e gestire il cambiamento per ottenere di superare il problema (nella definizione sopra riportata: spazio di ascolto e di riflessione, rinforzare capacità di scelta o di
cambiamento).
E il counselor? Chi è? quali competenze è previsto che abbia? La definizione che trovo esaustiva nella sua brevità è questa: il counselor è un generatore affettivo. (Luciano Berti, 2011).
È definizione di uno spessore che si dilata e ingigantisce a poco a poco mentre riflettiamo sui due termini che alludono chiaramente alla capacità del counselor di creare, agevolare, sostenere, nella persona in aiuto che ha di fronte,la motivazione interiore ad agire per risolvere la sua situazione problematica, nel totale rispetto delle sue concrete esigenze.
L’appellativo generatore rende esplicite capacità e competenze nel counselor tali da realizzare e sciogliere progressivamente relazioni comunicative difficili e consentire alla persona in aiuto di centrarsi su di sé e a poco a poco ritrovarsi. Si pensi alla persona in aiuto che, specialmente al primo incontro, non riesce ad aprirsi al colloquio e in atteggiamento inconsapevolmente evitante, proprio per sfuggire ad una penosa narrazione, vagando da un argomento all’altro senza quasi capacità di fermarsi, parla e racconta senza sosta di sé preferibilmente divagando su chi, ai suoi occhi, può essere considerato/a causa del suo malessere.
Ciò che può addirittura sorprendere in questa definizione, per la complessità di significati che contiene, è l’aggettivo affettivo inteso nel suo più autentico significato etimologico che, come aggettivazione dal verbo latino afficio dal lat. tardo affectivus, der. di afficĕre «impressionare»,In psicologia, fenomeni a., tutti gli aspetti della vita psichica di un individuo che istintivamente reagiscono alle sollecitazioni del mondo esterno in relazione ai due poli del piacere e del dolore; facoltà a., quelle della sfera del sentimento, in opposizione alle facoltà intellettive; vita a., l’insieme dei sentimenti e delle emozioni di un individuo; carenza a., mancanza di forti legami d’affetto, soprattutto tra la madre e il bambino. [2] L’aggettivo dunque allude agli ambiti ai quali è diretta l’attività del counselor, agli aspetti della vita interiore di un individuo che reagiscono alle sollecitazioni del mondo esterno in relazione ai due poli del piacere e del dolore, inducono al fare, al commuovere, emozionare. La finalità è agevolare l’agire, stimolare la persona in aiuto perché individui e accetti una forte motivazione interiore tesa a risolvere la situazione problematica.
L’aggettivo affettivo rappresenta in sintesi l’obiettivo poliedrico, multiforme, di grande rilievo verso cui convergono le abilità e modalità di porsi da parte del counselor nei confronti della persona in difficoltà.
In definitiva, compito alto del counselor è quello di aiutare la persona ad aiutarsi, a comprendere quali strategie e modalità possiede per tornare ad una condizione di Bene-Essere.
Non sono previsti consigli, dicevamo, né scelte imposte dall’esterno (né dal counselor, né da altri): la persona in aiuto è sostenuta perché giunga a comprendersi meglio e se, per questo, è necessario che accetti un cambiamento, compito del counselor sarà quello di essere il punto di riferimento, su cui poter contare, rispecchiamento di fiducia, di sintonia emotiva ed empatica, fino al momento in cui la persona si sentirà e sarà libera di scegliere in autonomia.
Per l’intero percorso di counseling, sarà massima l’attenzione del counselor perché la persona in aiuto non viva una condizione di dipendenza nei confronti di chi la sta aiutando a crescere e ad ogni incontro, non solo la persona in aiuto avvertirà il proprio cambiamento, bensì anche il counselor che uscirà modificato da ogni esperienza professionale che realizza e per la quale si avvarrà di un supervisore.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
[1] Definizione dell'attività di counseling approvata dall'Assemblea dei soci di Assocounseling, 2 aprile 2011
[2] http://www.treccani.it/vocabolario/affettivo/
< Prec. | Succ. > |
---|