Leadership, come agirla?
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Potremmo rispondere semplicemente ricalcando il parere di altri, potremmo documentarci su testi e pubblicazioni, ad esempio di Simon Sinek, motivatore e consulente di marketing (Il gioco infinito, 2019, Trova il tuo perché. Solo chi conosce le proprie motivazioni più profonde può realizzarsi, ispirare gli altri e diventare un grande leader, 2018Partire dal perché. Come tutti i grandi leader sanno ispirare collaboratori e clienti, 2016), potremmo farci scudo con esempi/modelli di leader che stimiamo, e tuttavia in primis è essenziale liberarci –anche se è tutt’altro che facile– da stereotipi e luoghi comuni perché solo distanziandocene possiamo comprendere meglio la realtà che viviamo e riconoscere la complessità insita nella leadership.
Dunque, la leadership è condizione che coinvolge ciascuno di noi, non è affatto problema settoriale, di manager responsabili di gigantesche aziende, non è problema ascrivibile solo alle categorie di economia e finanze, è certamente invece problema di comunicazione e relazione efficace. Per questo, occorre separare il concetto di leadership da ogni riferimento ad autoritarismo e derivati (comando, decisionismo, protagonismo…), per riuscire a coglierne ciò che la rende necessaria e perché sia efficace.
In effetti molto frequenti sono i casi in cui la modalità di gestione del proprio ruolo da parte di un leader, o di chi esercita un ruolo che implica responsabilità decisionale (mi riferisco ad esempio alla responsabilità di ogni adulto nella relazione educativa) risulta inefficace e assolutamente inadeguata ad offrire o a riattivare la motivazione nell’interlocutore come nei collaboratori.
Una leggenda narra che, durante la costruzione della fabbrica di San Pietro, fu rivolta a turno a tre scalpellini la stessa domanda: “Che cosa stai facendo?”
“Come vedi, taglio e spacco le pietre”, rispose il primo con noia e demotivazione;
“Guadagno da vivere per me e per la mia famiglia” rispose il secondo palesando il risultato del suo operato.
“Sto costruendo una cattedrale!” esclamò con fierezza il terzo.
Ciò che fa la differenza è il senso che attribuiamo alla nostra attività, è la consapevolezza di contribuire, svolgendola al meglio, ad una causa superiore nella quale crediamo e ci riconosciamo, una percezione che se pur connessa alla nostra personale indole, al nostro carattere, ha grande necessità di riscontri e verifiche del gruppo dirigente, dei responsabili con cui collaboriamo, del leader.
E’ il modo in cui si esercita la leadership che può fare la differenza* e sostenere le persone nel raggiungere la meta nonostante le difficoltà e mi piace qui di seguito riportare alcune riflessioni da Donatella Menza (da Il cinema insegna), a proposito di alcune scene della serie televisiva italiana “Doc – Nelle tue mani”, 2020, diretta da Jan Maria Michelini e Ciro Visco.
La situazione mette a confronto l’atteggiamento autoritario di un Primario con quello di un medico declassato ad aiuto degli specializzandi:
Cosa rende inefficace la modalità di gestione del team agita dal Primario Marco Sardoni? E come fa invece, Andrea Fanti [il medico declassato], a ispirare la squadra all’azione?
Partiamo da Marco e dai comportamenti che agisce: minaccia “dammi una spiegazione per quello che è successo o ti sbatto fuori” utilizzando il potere gerarchico; di fronte ad un errore cerca uno o più colpevoli “perché nessuno lo ha aiutato? Dov’ è Lazzarini? Lorenzo? Giulia tu dov’eri?”. Perde il controllo e alza la voce quando non ha contenuti per sostenere le sue obiezioni “lo devi dire a Teresa, non è un problema nostro!”. Cerca di creare alleanza contro un “nemico esterno” quando si accorge di non avere nessuna influenza sulle persone: “lo so che siamo tutti sotto pressione ma non possiamo cedere proprio adesso, il nostro reparto è sotto osservazione, noi oggi dobbiamo tentare di ottenere il massimo dei risultati”.
Non accade nulla. Anzi il clima precipita ulteriormente.
Dal fondo della stanza Andrea[il medico declassato ad aiuto degli specializzandi], che ascoltava in silenzio, esordisce con una domanda che spiazza Sardoni e forse anche noi:
“Perché hai deciso di fare il medico Marco? …per compiacere i parenti? per ottenere il massimo dei risultati?”
La voce si fa calda e profonda: “le cose sono le stesse dai tempi di Ippocrate, ci siamo noi e c’è quella grandissima stronza della morte. Ci sono giornate come questa dove sembra inarrestabile lo so. Ma non è così perché ci siamo noi. Tutti i libri che abbiamo letto, tutto lo studio, la pratica, la teoria è servito tutto a guardarla in faccia e dirle: NON OGGI! Non importa quanto siano disperate le condizioni di un paziente, NON OGGI! Non importa se neanche i pazienti ci credono più, NON OGGI! Qualcuno di noi cederà, altri reggeranno bene la pressione ma non importa noi oggi dobbiamo aiutarci … voi dovete ricordarvi sempre perché siamo qui, per metterci in mezzo tra i pazienti e la stronza, questo è essere medici.”
Arriva un’altra ambulanza e la squadra ora è davvero pronta per ripartire.
La leadership esercitata da Andrea è una leadership capace di ispirare, è una leadership che sa dare alla squadra un senso di appartenenza e uno scopo che trascende gli incentivi esterni o i vantaggi da conquistare, Andrea sa dare un perchè. Non è infatti sufficiente a generare identificazione e a muovere le persone asserire che il reparto è sotto osservazione. Preservare il reparto è un risultato non un perché. Andrea ricorda invece ai suoi colleghi perchè fanno i medici, qual è la causa o il credo che guida la loro carriera: preservare e salvare vite umane. Permette a chi ha valori simili di potersi immediatamente riconoscere.
I leader capaci di farci sentire ispirati sono proprio quei leader che ci fanno sentire parte di un progetto più grande e proprio quel sentimento ci sostiene e ci mantiene in rotta nei momenti di pressione e di difficoltà.
Marco Sardoni in primis non sembra evidenziare una chiara consapevolezza del perché la sua organizzazione esiste e del perché lui ha scelto di fare il medico: chissà aveva passione per il camice bianco; e tale mancanza si declina nelle parole e nei comportamenti che agisce rispetto alla sua squadra.
Andrea invece ha chiara la ragione che lo spinge a fare le cose e questo gli permette di muovere all’azione le persone che condividono le sue stesse aspirazioni. Esprime consapevolezza, coerenza e la trasmette con chiarezza.
Utilizzando le parole di Sinek (in Partire dal perché) viene naturale una riflessione ancora più ampia sul tema motivazione:
“Le grandi aziende non assumono persone qualificate per poi motivarle; assumono persone motivate e le ispirano. Le persone sono motivate o no lo sono. Se non date alle persone qualcosa in cui credere, qualcosa per cui lavorare che sia più grande delle loro mansioni, si motiveranno a cercare un nuovo lavoro e voi vi ritroverete solo con quelli che resteranno”
Da Il gioco infinito, integro ancora con alcune indicazioni di Simon Sinek:
Nei giochi finiti i giocatori sono noti, le regole fisse e l’obiettivo chiaro: secondo la teoria di James P. Carse, si tratta di partite – come nel calcio o negli scacchi – dove chi vince e chi perde è facilmente individuabile.
Nei giochi infiniti, invece, come il business, la politica o la vita, i giocatori vanno e vengono, le regole sono mutevoli e non c’è un obiettivo definito. Non ci sono vincitori e vinti, non esistono concetti come «vincere il business» o «vincere la vita», ma c’è solo chi è avanti e chi rimane indietro. Da quando ho capito la differenza tra giochi finiti e infiniti, ho iniziato a riconoscere sempre più realtà infinite intorno a me. E a capire che per molte organizzazioni le difficoltà nascono dal fatto che chi le guida affronta un gioco infinito con una mentalità finita: sono le società che perdono il passo sul terreno dell’innovazione, della motivazione e della performance. I leader che abbracciano una visione infinita, invece, costruiscono imprese forti, innovative, ispirate. Chi ci lavora nutre fiducia nei confronti di colleghi e capi. Sono organizzazioni dotate di resilienza, della capacità di prosperare in un universo in continua evoluzione, mentre i concorrenti devono farsi da parte. Sono le imprese che ci guideranno verso il futuro. Nei miei libri precedenti ho mostrato il ruolo cruciale dei leader nel creare un circolo virtuoso di sicurezza e fiducia. Con questo libro voglio condividere una nuova prospettiva che ci consenta di giocare al meglio la grande partita che ci vede tutti in campo: il gioco infinito.
Non sono forse queste sollecitazioni identiche a quelle che dal counseling nei diversi approcci vengono insistite perché ciascuno di noi si educhi a nutrire fiducia in sé e negli altri, custodisca motivazioni interiori, accetti il cambiamento di sé e del contesto?
Un’altra tessera del comodo puzzle costruito per continuare a convincerci che le responsabilità della gestione della comunicazione e dell’efficacia di ogni progetto sia da demandare ad altri, è stata divelta … forse.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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