Come posso aiutarti?
Non saprei scegliere quale sia la condizione emozionalmente più imbarazzante, quella in cui qualcuno ci propone di aiutarci o quando siamo noi a proporci all’altro. Un particolare fortemente chiarificatore è che la domanda assai raramente è così formulata: “come posso aiutarti? Quasi sempre è “posso aiutarti?”. In entrambi i casi è sincera l’intenzione di essere di aiuto (escludiamo ogni possibile deriva di personale interesse, di sottesa pretesa di un “beneficio di ritorno” dalle eventuale aiuto), ma diverso in chi si propone nell’una o nell’altra modalità è l’intendere che cosa sia “aiutare” e questa sostanziale implicita diversità rende evidentemente diverse le due comunicazioni.
Osserviamo dunque, in una dinamica comportamentale di sincerità e disponibilità verso l’altro, libera da elementi inquinanti, che cosa ci rivela la mancanza di un come.
Sappiamo, per esperienza, che sono gli elementi presenti in un evento, in un fenomeno, in una situazione fondamentali per chiarire e definire la realtà e dunque vanno analizzati ma a ltrettanto qualificanti sono quelli mancanti: il non detto, le omissioni, consapevoli e inconsapevoli, che addirittura possono disvelare ciò che il detto ha nascosto o deviato.
Nel proporre aiuto o nel sentircelo proporre, l’assenza di quel come rivela il pregresso –non detto– criterio di aiuto: una collaborazione che rivendica per chi si propone potere decisionale sulle modalità da seguire e libertà decisionale.
“Posso aiutarti?” Ben più che una domanda è anche l’affermazione del proprio coinvolgimento nell’azione con pari diritti di movimento e scelte della persona a cui proponiamo l’aiuto. Non appena a questa proposta seguirà un “Sì, grazie!”, la natura dell’aiuto proposto si evidenzierà: la persona che ha accettato l’aiuto sarà bersagliata da una serie di consigli (per altro mai richiesti) sulle strategie di azione, sui tempi -brevissimi- persino sulla visione complessiva del problema. Il mondo di certezze dell’aiutante sfilaccerà i timidi dubbiosi e già abbozzati propositi pregressi di soluzione del problema dell’aiutato, fino a renderlo ancora più insicuro sul da farsi.
È per questo che rifiutiamo quasi per automatismo simili proposte di aiuto. È per questo che ci morderemmo la lingua se per caso è accaduto a noi di tralasciare quel come e di proporci come …il risolutore esterno del problema (dell’altro). Nel ruolo di counselor esercitiamo in ogni istante questa alta attenzione dal momento che non ci compete soluzionare, bensì agevolare la persona in aiuto perché sia in grado di trovare possibili soluzioni e scegliere tra queste la più idonea per sé.
Desiderabilissimo è sentirsi chiedere “come posso aiutarti?”. In quel come si addensa il significato pieno di una autentica disponibilità a sostenere l’altro e non a competere con lui per dimostrare la nostra efficacia; in quel come è insito il riconoscimento che il protagonista delle strategie, dei tempi, delle scelte sarà la persona a cui porgiamo aiuto e da lei attendiamo suggerimenti senza nascondere, se le abbiamo, le nostre perplessità. In questa dinamica relazionale la disponibilità a dare e ricevere aiuto è indispensabile per ognuno.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
< Prec. | Succ. > |
---|