La carriera come adattamento creativo (cap.5)

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 ESERCIZIO N.3 – DISEGNO E RAPPRESENTAZIONE

In seguito alla visualizzazione abbiamo chiesto ai partecipanti di rappresentare con un disegno su foglio A3 i contenuti, le parole, le immagini, le emozioni emerse durante l’esperienza. In aggiunta a ciò abbiamo iniziato ad ascoltare le condivisioni dei disegni nel grande gruppo (ulteriore forma di espressione, condivisione e occasione di legame per i presenti).

Infine abbiamo chiesto chi avesse voglia di fare l’ultimo passaggio esperienziale, l’ultimo giochino caratterizzato dalla consegna:

“ora: prova a ricostruire il tuo disegno fisicamente in questa stanza, utilizzando tutte le persone che vedi, tutti i materiali che vedi, tutti gli oggetti che possono servirti”

 

E cosi abbiamo visto “Maria”(nome inventato) che disponeva fisicamente gli elementi del campo rappresentando i suoi genitori, l’abbeveratoio con l’acqua, il nonno anziano, la misericordia, il perdono, il senso di colpa, il proprio obiettivo, le qualità e le risorse ecc.

Maria ha creato nel qui e ora il campo significativo per la propria esperienza composto da elementi fisici, simbolici, intrapersonali, interpersonali, relazionali, corporei e…. tutto è pronto per “l’esperienza di Maria” ossia per Maria che fa esperienza di Sé nel campo e per Maria che nella fitta trama di relazione con gli elementi presenti, riconfigura il proprio Esser-Ci (per usare un linguaggio heideggeriano).

CONCLUSIONI

E’ stato molto emozionante ed emotivamente intenso vedere Maria all’opera… nell’opera di Maria! La metafora artistica ci aiuta in questo: Maria ha letteralmente dipinto un quadro, ha dipinto se stessa, ha agito la scena e ne è uscita con una nuova Gestalt, una nuova configurazione. Non solo la relazione tra le parti è cambiata ma cambia anche Maria in relazione con le parti e dunque Maria se ne va con una nuova immagine di sé e riappropriandosi dell’Opera.

In particola modo Maria ci aveva dipinto un problema nel suo mondo lavorativo. Lei è un’educatrice e sente molto il carico del lavoro, soprattutto quando deve relazionarsi con i genitori dei bambini. Muovendo le parti della “costellazione professionale rappresentata” abbiamo scoperto come, in realtà, dietro a quello che appariva come un problema professionale si nascondesse un problema personale legato al rapporto tra Maria e sua madre che la portava a sentirsi inadeguata nei confronti dei genitori dei bambini che Maria assiste.

La nostra scommessa, in tal senso, diventa ancora più consapevole ed ancora più convinta: da anni sosteniamo che non è più possibile affrontare il dis-orientamento delle persone erogando percorsi informativi o focalizzandoci solo sulla “dimensione lavoro”. E’ necessario andare oltre e prendere in carico le persone dis-orientate non solo e non tanto in quanto dis-orientate ma soprattutto in quanto persone! Una pratica di orientamento che voglia dirsi efficace oggi è chiamata in primo luogo a “prendersi cura” della persona nella sua interezza (gli aspetti cognitivi, emotivi, corporei, l’idea che la persona ha di sé, il senso di auto-efficacia, le variabili connesse all’autostima, le dinamiche interpersonali ecc.) ed è per questo che, crediamo, non sia più possibile aiutare/orientare le persone senza formarsi adeguatamente nelle pratiche maieutiche, negli strumenti di comunicazione e facilitazione dei processi relazionali, nelle abilità connesse alla relazione d’aiuto ed al counseling professionale.

Prendere in carico la persona intera dunque, per poterla aiutare (come abbiamo detto) a tracciare la traiettoria trasversale dell’occupabilità partendo dalla motivazione profonda all’identità (personale e professionale) e dalla tensione spontanea all’autorealizzazione.

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