TRAPPOLE E RICATTI PSICOLOGICI. L'ingiunzione *non sbagliare" come comando copionale

Inviato da Nuccio Salis

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Durante la relazione educativa primaria, i genitori consegnano ai loro figli modelli, visione di vita, norme e precetti che assumono la forma di comandi interiori nella mente del bambino. Gli aspetti più pregnanti, ricorrenti e dominanti che verranno trasmessi durante il passaggio generazionale, contribuiranno a forgiare i principali costrutti attraverso cui un bambino si approccia e si relaziona con l'ambiente sociale via via sempre più allargato, orientandosi all'interno dello stesso mediante le convinzioni e il sistema di credenze interno derivato dalla programmazione genitoriale.

Questo processo, di natura socio-affettiva, avviene quasi sempre in mancanza di consapevolezza da parte del nucleo genitoriale, il quale si limita a trasferire in modo unilaterale e pedissequo, il capitale storico e biografico congiunto della famiglia e dei singoli membri che vi appartengono. Il bambino, esposto senza filtri a tale travaso di insegnamenti (intesi come input che lasciano il segno), assorbirà, pur a proprio modo, secondo il suo originario modello temperamentale e costituzionale, tali stimoli sottoforma di divieti e permessi, proibizioni e concessioni, configurando una rappresentazione di mondo e di realtà marcatamente condizionato da questa esperienza. Le modalità parentali attraverso cui si trasmette questa impronta primaria al bambino, possono connotarsi sia nella forma verbale che non verbale. Nel primo caso si tratta di messaggi esplicitati, nel secondo invece di stili e regole di vita trasmessi mediante comportamenti ed esempi. Entrambe le modalità possono intrecciarsi e rafforzare l'incisività di un messaggio, oppure possono anche mostrarsi in discrepanza fra loro, esponendo il bambino al rischio del doppio legame e quindi di una incongruenza comunicativa che lo confonde e lo destabilizza. I messaggi passati attraverso le espressioni comunicative legate al complesso ed esteso repertorio non verbale, vengono chiamate in analisi transazionale "ingiunzioni". Si tratta di elementi psichici contenuti dentro la rete delle convinzioni e delle credenze immesse dalle fonti esterne. Ciascun bambino delinea il suo inner beliefs system, ovvero quel contenitore da cui ricava ogni volta la corrispondente azione percepita come più aderente al reticolo di precetti stabiliti per lui dall'esterno, e dal cui rispetto ne consegue il mantenimento dell'idea di sé e la gestione di un mondo tutto sommato prevedibile e controllabile. Fino a che tale processo conserva il proprio equilibrio, il soggetto si sente al sicuro dentro la sua cornice di significazione della realtà. Questa è la ragione principale per cui uno stato di disagio e di malessere che rende il soggetto instabile o inconcludente e fallace nei suoi propositi, non viene messo in discussione perché rappresenta oramai la sola e unica forma del suo esistere. Una volta consolidate e rafforzate le prospettive tramite cui si percepisce il mondo, queste tendono ad essere congelate e forzatamente riconfermate dalla propria esperienza. La violazione di un'ingiunzione guida viene vissuta come un oltraggio all'amore genitoriale, e il soggetto sente di non potersi permettere di sfidare l'autorità famigliare e di trasgredire al personaggio che gli è stato prescritto. Immaginiamo un attore che si appresta a salire sul palco per recitare il personaggio che gli è stato ascritto, ma che ad un certo punto gli venga detto che quello non è più il suo personaggio, o che gli sono state cambiate le battute. Cosa farà se entrerà in scena? Quale indescrivibile disagio andrà a sperimentare per via di questo improvviso cambio di prospettiva? Non potrà sostenere la fine del suo personaggio. Questo punto rimane la chiave di lettura indispensabile per comprendere il motivo secondo cui le persone tendono a ripetere ed a difendere ad oltranza i loro drammi. La sceneggiatura, per quanto connotata da risvolti negativi, consente di muoversi dentro un qualche scenario che allestisce la vita e ne conferisce un senso. Si preferisce cioè perseverare dentro una narrazione profondamente infelice, piuttosto che immaginare l'orrore dell'assenza del personaggio e del suo prevedibile e noto copione. Ripetere ciò che si conosce offre sicurezza e stabilità, e così la mente finisce per auto-imprigionarsi dentro un loop di dipendenza dalla finzione. Quando l'illusione è tutto ciò che si ha, come risorsa per attribuire significato alla propria esistenza, ci si aggrappa con tutte le proprie forze pur di non ritrovarsi a dover fare i conti con se stessi, con i propri drammi e con le proprie bugie. Farsi da specchio da soli potrebbe rivelarsi una faccenda ingestibile per la maggior parte di coloro che procedono in simbiosi con il loro personaggio. È per questo che deve essere avviato un processo di lavoro interiore per poter anzitutto comprendere la dinamica ingannevole di questo meccanismo malato. Senza arrivare a prenderne atto, infatti, la stragrande maggioranza delle persone si comporterà di conseguenza come un semi-automa convinto di scegliere secondo la sua presunta libertà, mentre non farà altro che aderire a imperativi indotti dai condizionamenti e dagli upload parentali assimilati durante la prima infanzia. Una delle ingiunzioni che a mio avviso potrebbe essere inclusa nel novero di quelle conosciute è il comando "non sbagliare". Sostenuta e rafforzata, nella maggior parte dei casi, dalla complementare spinta "sii perfetto". La personale e ricorrente esperienza dovuta agli incontri soprattutto durante la relazione di aiuto e di servizio alla persona, mi ha condotto a riscontrare la diffusa presenza di tale ingiunzione. D'altra parte mi sembra inevitabile che una persona impegnata nell'incessante compito di aderire in modo fusivo al proprio personaggio, non possa permettersi di pensare che il suo personaggio non riesca nei suoi intenti. Tale sabotaggio metterebbe la parola fine alla spacconata. Eccetto per quella circostanza in cui il personaggio coincide con la figura del fallito. In questo caso, la persona potrà sentirsi realizzata ed appagata proprio perché riesce... a fallire. L'immagine del goffo pasticcione è quella che descrive lo psicologo Eric Berne nei suoi scritti. Paradossale, già. Dopotutto non ci si deve meravigliare. La mente produce illusioni. La mente.... mente. Nel caso della ingiunzione "non sbagliare" (attualmente non contemplata nell'elenco ufficiale), il soggetto si trova a dover sostenere ed attenersi a una ferale condanna, in quanto nel sottoscrivere questo comando, una volta trovatosi irrimediabilmente di fronte all'esperienza inevitabile dell'errore, avrà non poche difficoltà a reggere l'impatto della delusione. La ferita più profonda e dolorosa verrà comunque inferta dal fatto che ha omesso l'impostazione installata secondo il programma genitoriale. Si tratta dopotutto di una condizione distinta da quella del goffo pasticcione, che colleziona disgrazie (anche di livello crescente, dal primo al terzo), facendo i conti col fatto che sta fallendo sempre, proprio come gli avevano chiesto; quindi, di fatto, questo è pur sempre un successo. Come gestirà questo grottesco paradosso? Chi è contrassegnato dall'ingiunzione "non sbagliare", dovrà pur difendersi con lo scudo illusorio di una distorta immagine di sé che non prevede la fallibilità. Per difendere tale condizione, il costo psicologico del soggetto consisterà nell'indossare la maschera sociale di chi è sicuro di sé, a tal punto di non poter ammettere di essere contrariato o colto in errore. Avrà cioè necessità di vivere secondo l'illusione dell'efficienza. Comoda facciata che gli permette di mascherare sia agli altri che a se stesso la sua vulnerabilità di persona incapace di apprendere dall'errore, di rimediare agli effetti spiacevoli dello stesso, di riorganizzare strategie efficaci per indirizzarsi verso percorsi e risultati più raggiungibili e soddisfacenti. In pratica, questo soggetto, caratterizzato dal sentire di continuo il peso di un costante allarme che può pre-segnalare il giudizio altrui diretto alla sua persona, e ad evidenziarne aspetti e punti di criticità che egli non può considerare tollerabili, si abitua a guardare gli altri come potenziali nemici che possono mettere a nudo le sue debolezze e i suoi punti nevralgici di tendenza al fallimento. Egli dunque non potrà relazionarsi nella modalità costruttiva ed efficace all'interno di un gruppo e nemmeno nelle relle dinamiche interpersonali in genere. In definitiva, egli ha la sventura di sentirsi in equilibrio con se stesso soltanto a patto che il suo agire possa essere considerato finalizzato ed efficace, adatto peraltro ai canoni a cui è stato plasmato dal modello parentale primario. In sintesi, lo sviluppo e il mantenimento della sua autostima e della sua percezione di autoefficacia, sono vincolati ad una perentoria condizione che di fatto costituisce un ricatto psicologico interiorizzato, una manipolazione che ostacola al soggetto il raggiungimento di una condizione di benessere ed autentica conoscenza di sé che gli farebbe apprezzare la gratuità di uno status appagante di umore, che non deve contrattare ciò che gli spetta per natura, all'atto della sua nascita. Con il sottile tranello del ricatto emotivo, invece, il soggetto affida la sua condizione di benessere a una formula condizionata. In pratica, può volersi bene soltanto a condizione che, per esempio: "ho ottenuto l'impiego a cui ambivo", "guadagno di più a seguito dello scatto di carriera", "mi dicono che sono un bravo genitore" ecc. Questo atteggiamento promuove (e al tempo stesso ne viene alimentato) una performance di pensiero secondo lo stile convergente, e quindi chiude il soggetto ad una ristretta visione unilaterale di sé e del mondo con cui è in contatto. Fino a che egli non matura una lucida visione su questo terribile impasse, seguirà schemi di comportamento destinati (contro le sue stesse aspettative ed auspici) a una deriva di continue rotture, conflitti e incomprensioni nei confronti altrui, che non comprenderanno comportamenti quali l'evitamento, l'aggressione preventiva e tutto ciò che rende più che complicato e difficile decodificare nei suoi comportamenti-maschera, che lo rendono innaturale e inadeguato di fronte ai suoi interlocutori. Occorre uno straordinario percorso interiore di ricerca di sé, per contattare la natura di questo fenomeno e sviluppare modelli più efficaci per fronteggiare questa insidiosa e subdola trappola del ricatto emotivo trasmesso dalle ingiunzioni genitoriali. Senza colpevolizzare nessuno e men che meno se stesso, il soggetto dovrà impegnarsi a mobilitare nuove risorse per riscoprire una nuova condizione di sé e imparare il diritto inalienabile di godere della propria esistenza. Cioè per la sola cosa che conta: essere. È la principale e originaria gratuità che abbiamo l'obbligo di difendere, con la nostra più attenta ed amorevole cura. Si tratta, dopotutto, di tutelare qualcosa di sacro. (dott. Nuccio Salis -pedagogista clinico, counselor socioeducativo, formatore analitico-transazionale) #analisitransazionale #counseling #counselingeducativo #genitoriefigli #ingiunzioni #modellifamigliari #educare #consulenzapedagogica #educazioneprimaria #educazionesocioaffettiva

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