"TIMIDO" E "INTROVERSO" NON SONO DUE CATEGORIE CLINICHE. (E nemmeno giuridiche)

Inviato da Nuccio Salis

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Il dualianesimo è l'unica dottrina che può vantare un numero incalcolabile di seguaci praticanti molto fedeli. Fra i dogmi inconsapevolmente più diffusi ed ostili ad ogni aggiornamento della conoscenza, c'è sempre stata la visione antinomica fra introverso ed estroverso, due categorie concettuali molto approssimative, che invece di essere proposte ed utilizzate come primi rispettivi indicatori della complessa espressione umana, sono abusate come termini che definiscono in maniera perentoria due tipologie personologiche nettamente distaccate e inconciliabili. Oltre all'assurdità di una visione così ristretta e limitata, che mortifica la bellezza incantevole di un mondo interiore articolato e variopinto, le due espressioni sono spesso

usate come classificazioni cliniche, improvvisandosi diagnosti con una disinvoltura imbarazzante e molto pericolosa. D'altra parte la legge del dualismo non ammette sfumature, con la conseguenza che questa ingenua nosografia associa come è inevitabile una categoria al "sano" e l'altra al "patologico", con buona pace del povero Carl Gustav Jung che delineò una parte delle sue ricerche e teorie allo studio della personalità, partendo proprio dalle due tendenze temperamentali "introversione" ed "estroversione". Pur premunendosi di avanzare ipotesi e schemi di lettura corredati di sagge e corrette raccomandazioni, l'impostazione di tale studio finì per essere stravolta dal pressappochismo e dall'equivoco a causa di una ipersemplificazione che ancora oggi persiste nella credenza che vi sia qualcosa di bello e giusto in una (l'estroversione) e di squilibrato nell'altra (l'introversione).

È curioso come Jung, che era uno psichiatra, non illustrò questa teoria secondo un paradigma medicalizzante, mentre nella percezione comune questi due termini vengono abitualmente usati per suddividere le persone in gradevoli ed affabili (gli estroversi) e gli ombrosi, più sfuggenti al contatto interpersonale (gli introversi). Ambedue i rispettivi profili psicologici in oggetto, devono essere considerati col medesimo valore, evitando attribuzioni che squalifichino un modo di essere in confronto all'altro. Sarebbe un errore sia sotto l'aspetto scientifico che socio-culturale. Un'impostazione consolidata (purtroppo) anche da certe ricostruzioni giornalistiche sulle vicende di cronaca nera: "L'assassino era un introverso", si sente spesso asserire.

E chi lo ha stabilito? Qualcuno ha fatto il tampone? Ah già.... lo dicono la gente! Andava dallo psicologo perché era depresso, addirittura perché era timido! E i timidi, si sa, sono dei veri serial killer. Il dipinto diventa il seguente: timido uguale introverso, ovvero depresso ovvero assassino. Nell'immaginario collettivo, questo modello narrativo ha una forte presa emozionale, e certo giornalismo, molto più interessato a sollazzare il medioman con la suggestione, per motivi di spettacolarizzazione e audience, rinuncia a un racconto almeno abbastanza obiettivo, per promuovere una forma discutibile di intrattenimento basata sulla manipolazione percettiva dell'utente.

Questo deleterio contributo da parte del mainstream ribalta il senso autentico con cui dovrebbe essere approcciata una questione molto più complessa e per questo anche avvincente, quale è quella delle due personalità estroverso ed introverso. Come difenderci da questo equivoco di cui siamo a volte un po' carnefici ed altre volte vittime? Come prima contromisura suggerirei di approfondire la questione affrancandosi dal solito "sentito dire", avulso di imprecisioni e di un'aneddotica viziata dalla soggettività e dalla propria comoda personale visione di mondo. Secondo aspetto (e non certo per ordine di importanza) impegnerei ciascuno ad evitare l'autoetichettamento.

Quando ti definisci "estroverso" o "introverso" generi un personaggio che dovrà rispondere al suo copione prescritto dalle aspettative altrui e da una percezione di sé limitata, ridotta e iper-adattata ai condizionamenti introiettati durante la propria esistenza. Insomma, un modo per vivere depotenziati e per mortificare la propria ricchezza interiore. Ciascuno di noi, pur possedendo un aspetto dominante, si manifesta sia con tratti o espressioni introvertite che estrovertite a seconda dei contesti, degli interessi e delle circostanze richieste anche dalle congiunture ambientali, dalle opzioni e dalle scelte che intendiamo assumere in forza dei nostri valori ed obiettivi.

Pur mantenendo una generale struttura psicodinamica coesa e congruente nei suoi elementi, ci permettiamo anche di ridefinirci, seguendo itinerari trasformativi molto più arricchenti ed accattivanti se confrontati all'abitudine di percepire gli altri e se stessi attraverso etichette preconfezionate. Quando riusciremo a comprendere che non siamo prodotti seriali su cui mettere il bollino, ma individui artefici e co-protagonisti della propria storia, solo allora avremo ridato dignità al nostro status di Essere, l'unico in grado di superare le etichette e ricondurci nella piena dimensione di autenticità.

(dott. Nuccio Salis - pedagogista clinico, counselor socioeducativo, formatore analitico-transazionale)

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