L’importanza terapeutica delle psicofiabe per i bambini in età prescolare e scolare


 psicofiabe

Negli Stati Uniti, spesso, vengono somministrati, anche a bambini in età prescolare, degli psicofarmaci. Le motivazioni che adducono gli specialisti americani sono molteplici, secondo il loro protocollo medico e la loro visione scientifica, questi farmaci, curerebbero i bambini ipercinetici così come i depressi, gli ipocondriaci o coloro che sono affetti da fobie generalizzate. Uno dei farmaci più utilizzati e venduti negli USA è il Prozac (nome commerciale), il cui principio attivo è la fluoxetina, ovvero un antidepressivo che stimola la produzione di serotonina. La cosiddetta “pillola della felicità” (mai espressione fu  più infelice e poco veritiera di questa, chi utilizza questi farmaci non è mai completamente appagato o realmente felice, si tratta di una forma di “felicità” non solo molto limitata nel tempo ma artefatta, è una sorta di surrogato rispetto a quella “reale”), che dovrebbe raddrizzare, mettere a posto tutti i vari problemi, quasi come un tempo, in Italia, si usava fare con la camomilla, il bicarbonato o le empiriche tisane. Con la differenza che qui siamo di fronte a farmaci con effetti collaterali sull’organismo, effetti a breve od a lungo termine, e così come accade per le benzodiazepine ed altri farmaci ansiolitici c’è anche da tenere in dovuto conto l’effetto assuefazione e la necessità, a volte ravvisata, di dovere incrementare la dose per ottenere lo stesso risultato iniziale. Una sorta di cane che si morde la coda, si entra in un circolo vizioso dal quale è spesso difficile uscirne.

 

Per carità, non è che qui si vuole sostenere che questi psicofarmaci siano tutti inutili o dannosi, per alcuni casi specifici sono utili e necessari, lo stesso Prozac è stato citato solo a titolo di esempio ma non per sminuirne la sua presunta o reale validità clinica, i suoi effetti positivi (anche se a volte solo transitori).

Il linguaggio tecnico usato sul cosiddetto “bugiardino” viene precauzionalmente redatto dai medici in collaborazione con degli avvocati della casa farmaceutica che produce quel determinato farmaco. A leggerlo, ovviamente, sono i genitori di questi bambini, che spesso si preoccupano nel leggere determinate espressioni quali: “secchezza della fauci”, “diarrea oppure stitichezza”(che sembra quasi un ossimoro farmacologico un composto chimico che possa provocare effetti contrapposti), ecc.. Ciò che colpisce è che nel linguaggio comune le fauci vengono attribuite ad animali feroci e non ad essere umani se non addirittura bambini, così come solitamente avviene in questi foglietti illustrativi acclusi, nell’ambito dei quali vengono descritti gli effetti collaterali del farmaco.

Tutti i bambini, durante il loro processo evolutivo legato alla crescita, si trovano sovente a fare i conti con le fantasie legate alla propria età ed alla fase di sviluppo ma anche alle angosce ed alle forme di ansia, trovandosi a dovere affrontare delusioni narcisistiche, complessi edipici, complessi di Elettra, dipendenze infantili, gelosie e rivalità tra fratelli.

Lo strumento delle psicofiabe, al contrario dei farmaci, rappresenta una terapia mirata (anche se solitamente lunga), a volte anche di supporto ad altre terapie e senza alcun effetto collaterale nocivo; le psicofiabe hanno lo stesso fascino di una vera fiaba, anche se spesso non sono scritte da autori famosi come i fratelli Grimm (Wilhem Grimm e Jacob Grimm). A questo genere di terapia partecipa fattivamente, nell’ambito della relazione d’aiuto con impostazione dedicata alla famiglia, il cousellor, che, ovviamente integra e supporta il lavoro del pediatra o, nei casi più importanti, collabora con uno psicoterapeuta specializzato nel gestire problematiche legate alla prima infanzia. La fase ludica, assolutamente non clinico/farmacologica, gestita dal counsellor è quasi sempre di grande aiuto al medico specialista che sovraintende al percorso, liberando lo stesso da incombenze che lo impegnerebbero eccessivamente. Parlavamo prima dei fratelli Grimm e prendendo in esame la fiaba di  Hansel e Gretel si evidenzia il tentativo del bambino di aggrapparsi ai suoi genitori anche quando è giunto il momento di affrontare il mondo da solo. In questa fiaba compare la necessità di superare il bisogno di oralità – l’infatuazione dei piccoli per la casetta di marzapane –  e l’angoscia legata alla separazione, che spesso viene interpretata come un vero e proprio abbandono. Il tono della voce con il quale viene letta la fiaba dal counsellor è importante a creare la giusta atmosfera per far si che il bambino possa fronteggiare le sue paure, anche quelle peggiori. Il tono deve essere rassicurante, le pause nell’ambito della lettura servono a fare assimilare meglio alcuni concetti, si deve creare una certa sintonia ed intesa con il bambino. Questo genere di paure si manifestano in maniera frequente fra i bambini di 4-5 anni d’età, ma a livello inconscio possono colpire anche quegli adulti che hanno registrato nella prima infanzia dei traumi più o meno complessi oppure è venuta a mancare una delle figure genitoriali.

Infatti la fiaba può essere utile ed incoraggiare anche nelle età successive, allorquando fanciulli ed adolescenti provano – a livello inconscio – il timore di manifestare la paura di essere abbandonati dai genitori. In questa fattispecie la fiaba entra nell’inconscio del ragazzo, esprime le su ansie immotivate e le allevia, cercando di evitare che emergano dalla coscienza.

Lorenzo Lorusso

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