Tecnofobia, non solo una resistenza al cambiamento


Tecnofobia, non solo una resistenza al cambiamento

           Conviviamo con reiterati atteggiamenti di rifiuto del cambiamento, di ogni modificazione, anche piccola che in qualche modo ci costringa a ri-vedere  e ri-posizionare i nostri schemi mentali, i nostri automatismi a cui siamo tenacemente aggrappati. Così, anche se può apparire un paradosso in questa società all’insegna della corsa all’ultima tecnologia, della versione più semplice di ogni strumento, è diffusa la tecnofobia. Come si può provare paura per ciò che inseguiamo affannosamente? L’entusiasmo diffuso per le meraviglie dei più recenti dispositivi, al servizio di un utente appena appena alfabetizzato su elementi fondanti della comunicazione e delle telematica, ingenera, in realtà, stati di ansia di cui raramente il soggetto conosce la vera origine e che provoca effetti a cascata nella vita di relazione intra e interpersonale. Gli studi di Yashar Salamzadeh (avviati nel 2013), analizzando i dati raccolti in interviste semi-strutturate su un campione non specifico di studenti e lettori che frequentano un università iraniana, hanno portato alla conclusione che ben quattordici sono i diversi fattori alla base della tecnofobia, suddivisibili in quattro macrocategorie: fattori individuali, sociali, infrastrutturali, e fattori moderanti (mancanza di allenamento, esperienza, età). Franco Amicucci (in Prometeo, marzo 2019, pag. 88 e seguenti) descrive la tecnofobia come un lato negativo del progresso tecnologico, “ansia tecnologica” che si genera di fronte all’introduzione di un cambiamento che modifica la routine.

 

E, paradosso nel paradosso, neppure se in preda alle paure di effetti collaterali, ci risolviamo a modulare/diminuire l’uso di strumenti digitali di ultima generazione (come per altro ci accade per ogni abitudine consolidata, che sia positiva per noi  o meno). Leggiamo qualche passo dall’articolo di Franco Amicucci:

La società odierna è contraddistinta da un continuo progresso tecnologico: lo sviluppo digitale ha portato alla creazione di un susseguirsi di dispositivi innovativi, i quali si rivelano caratterizzati da una complessità sempre maggiore.

Questi strumenti non sono utili solo in ambito lavorativo, dove la loro conoscenza è, oggi, indispensabile, ma sono diventati anche parte integrante della nostra vita privata. La loro introduzione ha facilitato lo svolgimento dei più banali compiti giornalieri, rendendone indispensabile la comprensione e l'utilizzo: chi decide, per varie motivazioni, di evitarli, corre il rischio di rimanere isolato. La tecnologia presenta numerosi aspetti positivi; in ambito lavorativo ha permesso la semplificazione e velocizzazione di processi complessi, oltre ad aver permesso l'accesso a orizzonti che mai ci si sarebbe sognati di poter raggiungere prima. La digitalizzazione ha anche contribuito a ridurre le distanze, portando a una nuova visione di relazione e rapporto, basato ora anche sull'utilizzo del medium tecnologico in ambito comunicativo. Il nuovo stile di vita a cui il progresso tecnologico ci ha condotti, però, non viene considerato da tutti come un'evoluzione positiva. Come ogni fenomeno porta con sé una serie di "contro", che variano dalla sfera etico-morale alla necessità di cambiare la propria forma mentis per imparare ogni volta a utilizzare il nuovo dispositivo che esce sul mercato. Una parte della popolazione è talmente ammaliata dai vantaggi introdotti dallo sviluppo della tecnica da meritare l'appartenenza alla categoria dei tecnofili. Un tecnofilo altro non è che un individuo che considera positivamente la maggior parte delle forme di tecnologia, accogliendone in maniera entusiastica le evoluzioni e le novità; per il tecnofilo la tecnologia non è solo un modo per migliorare le proprie condizioni di vita, ma anche un utile strumento da sfruttare nelle battaglie sociali. Un'altra parte, di contro, si concentra sul rovescio della medaglia, un’indistinta percezione che non ha una natura totalmente unitaria, un’ansia tecnologica, costituita da paura, disprezzo, malessere che derivano dall’idea di utilizzare moderne tecnologie e/o dal timore di effetti collaterali connessi al loro uso.”

           Nell’un caso come nell’altro è evidente che prevalgono atteggiamenti  e conseguenti comportamenti di mancato equilibrio, di irrazionale entusiasmo o rifiuto, non adeguatamente assimilato e interiorizzato a modularne gli effetti sulla nostra persona. Siamo di fronte a manifestazione di eccessi, di abitudini in una direzione come nel suo opposto, che non siamo in grado di controllare o, addirittura, non ci poniamo neppure il proposito di farlo, in quanto sono diventati la nostra routine, il nostro modo di fare, il nostro stile… Ma è davvero nostro, davvero lo abbiamo scelto?.

Questa è la condizione che ci accomuna, da qualcuno insistentemente denunciata e, dunque, occorre che ci si interroghi sulle strategie per liberarcene; il primo traguardo non può che essere quello di prenderne consapevolezza proprio quando ci riguarda in prima persona; non è sufficiente stigmatizzare gli eccessi negli altri, dirsi stupiti e delusi dalle nuove generazioni perché ci sembrano godere dell’essere vittime designate della ipertecnologia; il problema attraversa tutte le generazioni, appunto se pur con stati d’animo e paure opposti e compromette il dialogo con se stessi.

La relazione d’aiuto è fondamentale più che nel passato. Prima che i comportamenti, adeguamento acritico o fobie, si radichino irrazionalmente e si fissino in noi assumendo loro il controllo sulle nostre azioni, il counselor e ogni figura che si prenda cura del Bene-Essere di ciascuno è chiamato a raffinare competenze e abilità per uscire da questa strettoia e per aiutare l’altro –adolescente, adulto o anziano– a desiderare di impegnarsi con tenacia e positività per ascoltar-si e ri-trovar-si. Resilienza cercasi...

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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