Bambini e bambine giocano: scelte di genere spontanee o indotte?
«Vai via! Le bambine non possono stare all'angolo delle costruzioni!»
Così un bambino alla bambina che si è accostata all’angolo dei giochi riservato ai costruttori.
Nel 2005, in una scuola dell'infanzia tedesca, alcuni ricercatori chiesero alle insegnanti di osservare i bambini e le bambine nel momento del gioco libero e di registrare se venissero o meno scelti i giocattoli secondo le tradizionali linee di genere. Un’insegnante osservò che all'angolo delle costruzioni, dove stavano soltanto i maschi più grandi, si avvicinò una bambina di tre anni. La piccola si fermò a guardare e, dopo un po', si sedette accanto a loro e iniziò a pescare dei mattoncini dalla scatola per allestire la sua costruzione. Appena lo notò, uno dei bambini le si rivolse duramente dicendo appunto: «Vai via! Le bambine non possono stare all'angolo delle costruzioni!»
La bimba lasciò cadere i mattoncini e se ne andò.
Dopo aver constatato quanto accaduto, come un educatore può considerare la scelta del gioco, tra bambini e bambine? È indice di una predisposizione naturale a giochi differenziati, o invece, essa, già dall’infanzia, è l'esito di diffuse sanzioni sociali, determinate dal controllo dei confini di genere ed età da parte del gruppo dei pari o del mondo adulto?
In quella scuola dell’infanzia, in seguito a questo evento, fu progettato un laboratorio in cui bambine e bambini si potevano cimentare nella costruzione di oggetti ciascuno per conto proprio.
Naturalmente non era necessario impegnare una équipe di ricercatori per scoprire che bambini e bambine possono essere anche molto punitivi verso coetanei che trasgrediscono le aspettative sociali. Proprio la generale consapevolezza di questo fatto può portare molti adulti, genitori e insegnanti, a voler «proteggere» il bambino o la bambina dalle angherie e dalle prepotenze dei compagni prevenendole e incoraggiando comportamenti appropriati secondo il genere. [...] Tuttavia, non bisogna dimenticare che gli sforzi didattici e pedagogici che si propongono di aprire allo sconfinamento nascono spesso dalla presa d'atto che qualcosa non va.
Ma cosa non va? Cosa c'è di male se alla fine le bambine restano a giocare con le bambole e i bambini con le costruzioni?
La risposta a questa domanda è complessa, ma è esattamente ciò che muove le pratiche di educazione alla parità.
(da Rossella Ghigi, Fare la differenza. Educazione di genere dalla prima infanzia all’età adulta, Il Mulino, 2019).
Dal 2005 ad oggi, molti aspetti della realtà sono cambiati, profondamente cambiati in alcuni casi sono i criteri educativi e nelle scuole dell’infanzia accade che vengano proposte bambole ai bambini e camion giocattolo alle bambine. Alla scuola primaria si parla di famiglie con due papà e due mamme. Alla secondaria si realizzano documentari sulle persone transgender. Esperienze educative sul tema del genere si stanno moltiplicando nel nostro paese, alimentando accesi dibattiti tra insegnanti, educatori, genitori e amministratori pubblici, oltre che sulla stampa. Ma cosa si intende esattamente per educazione di genere? Quali sono le ragioni dei sostenitori e quelle degli oppositori? È davvero una novità? Se giochi e giocattoli esposti sugli scaffali dei mega Toys Center, mantengono, collocati in ambienti separati, inalterata la netta divisione tra quelli destinati ai bambini e quelli destinati alle bambine, secondo immarcescibili stereotipi: qui costruzioni, giochi di magia, paste modellabili, sport all’aria aperta, creatività, ruoli vincenti e di potere da superman e, là, in una nuvola di rosa fucsia che acceca, perline da infilare, trucchi e belletti, bambole corredate di abitini, elettrodomestici per una perfetta padrona…pardon domestica di casa… Non c’è dubbio, è evidente, che siamo ancora vincolati, venditori e compratori (tutti adulti, almeno anagraficamente), alla distinzione manichea dei ruoli tra uomo e donna, alla convinzione che le bambine non hanno capacità logico-matematiche, a considerare l’aggressività come segno di una necessaria affermazione di sé nell’uomo (educato a giochi di lotta e anche un po’ violenti) e assolutamente deprecabile nella donna. E se immaginiamo –è solo condizione ipotetica: chi oggi ancora pensa al libro cartaceo?- di regalare un libro, la distinzione non è meno severa: avventure, fantascienza, storie di scalatori, eroi della storia, e in altri scaffali, in altro angolo, storie di animali domestici, storie familiari, diari di e magari libri di ricette. Per inciso, chissà come mai se un uomo si occupa di cucina, nell’immaginario collettivo, allora è, o diventerà, uno chef e se una donna si occupa di cucina è una cuoca? Se ad un ragazzino regaliamo una penna o un pennetta usb, perché alla ragazzina non troviamo altro da regalare che un gioiello? Ancora continuiamo a dare per scontato che sappiamo in anticipo che cosa vogliono, ma, se anche fosse vero, è assolutamente improbabile che quel desiderio sia una loro scelta, piuttosto resta un bisogno indotto da noi, come persona e come società.
Non riflettiamo abbastanza, evidentemente, prima di scegliere che cosa regalare, giochi e giocattoli, o persino strumenti digitali (per questi resta un obbligo far prevalere l'estetica, quando destinato alla bambina, e quando destinato al bambino le tecniche e le funzioni). Una subdola, sottesa tenace mentalità ancora pilota senza alcuna fatica le nostre scelte?
Disfare la disuguaglianza, al di là di diffusi stereotipi e atteggiamenti che non vanno oltre argomentazioni teoriche non agite, forse significa davvero fare la differenza restituendo alla condizione di essere diverso la dignità e il diritto a essere. Il compito, arduo e fondamentale, è dell’educatore e di ciascun adulto in quanto responsabile del futuro delle giovani generazioni.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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