Michael Vincent Miller, direttore del Boston Gestalt Institute, e co-fondatore dell’I.G.T.A. (International Gestalt Therapy Association), ha prospettato un criterio molto importante per l’integrazione del sogno e della creatività, del quale ha parlato nel corso del seminario “La creatività ed il sogno nella psicoterapia della Gestalt” che si è svolto a Milano il 24 e 25 marzo 2001. Miller afferma che l’approccio di salute sostenuto dalla Gestalt sia molto più prossimo al processo estetico e creativo piuttosto che non a quello scientifico.[1]Il lavoro con i sogni può essere uno dei modi principali per donare, come fa l’artista nelle sue opere, forma e grazia all’esperienza, per compiere una metamorfosi degli elementi negativi che caratterizzano la vita delle persone, in un materiale altro, che sia funzionale e rilevante, in modo che l’individuo senta di essere nell’elaborazione di senso della propria vita.
Miller non si interessa solo dei sogni ricordati, anche perché nell’attimo in cui il sogno è raccontato e rivissuto, non è più quello sperimentato. Non si può riformulare lo stesso sogno e per questo, nel setting della relazione, si può fare solo in modo che siano date forma e corpo a un qualcosa che in sé è molto personale e imperscrutabile. Nella difficoltà di entrare nel mondo e nella consapevolezza altrui è proprio nel modellare e ripristinare i nostri sogni che possiamo generare qualcosa che parli agli altri.
Si può giungere a creare una vera opera d’arte, avvalendosi della materia prima del sogno, ad esempio, il linguaggio con cui il sogno viene ricordato, i ritmi e i suoni con cui si esprimono i sentimenti e le emozioni, ecc. Secondo Miller, se l’uso degli elementi del sogno è opportuno, ogni persona può attivare la propria creatività che gli permette di attribuire una forma personale alla propria esperienza, che può essere compiuta solo in modo dinamico, momento per momento e non da altri.
Il materiale contenuto nel sogno è personale, soggettivo e deve prima essere reso utilizzabile, perché non ha l’immediata capacità di comunicare. Esso sarà approfondito nel setting con il counselor che sarà vigile a ciò che avviene nel momento, perché è proprio nel processo in corso tra i due soggetti della relazione d’aiuto che si sta generando l’esperienza.
Miller sostiene che tutto è nell’azione del divenire e ribadisce che l’interesse della Gestalt non è volto alla reminiscenza, ma a ciò che accade nel momento presente del ricordare, intendendo per esso il “mettere di nuovo in forma l’esperienza come in una nuova allucinazione”.[2]
Nel sognare compiamo un atto spontaneo, ma nella narrazione del sogno quel momento si conclude e non potrà più essere recuperato. Al risveglio lo si potrà in parte rievocare e nel ricordo avviene una trasformazione del materiale onirico perché altri elementi entrano in campo, es. colori, suoni, immagini, parole. Nel corso della seduta il racconto sarà ancora diverso, più minuzioso dello stesso sogno, in quanto è già l’interpretazione di un resoconto linguistico.
Dall’interpretazione è necessario passare al modo gestaltico di lavorare coi sogni, agevolando il cliente a scorgere la possibilità di identificarsi nella parte che ha prodotto.
Nell’interpretazione scenica, le persone possono condurre in primo piano ciò che era nello sfondo e fare diretta esperienza di altre polarità alternative.
Per Miller anche il percorso di lavoro sui sogni, dovrebbe essere come l’arte, che converte la sofferenza in qualcosa di diverso, in modo che l’artista possa continuare a dare forma e un senso responsabile alla sua esperienza di vita umana. Questo percorso può essere metaforicamente rapportato alle stelle che ogni notte compaiono e formano tante minuscole e ammirevoli opere d’arte, e che sono tali perché sempre diverse per ogni individuo che le osserva, in quanto unico e differente dagli altri.[3]
Mentre dormiamo, il sogno, in quel momento esatto, è il nostro mondo, la nostra realtà, che svanisce quando termina; nel ricordarlo e raccontarlo, possiamo poi elaborare il materiale che ci ha fornito.
Sono quattro i passaggi che vanno colti in sequenza: il sogno sognato, la rimembranza del sogno, il ricordo e il racconto della rimembranza e l’elaborazione della narrazione, al termine dei quali resta poco del sogno originale. Miller ritiene che questo poco importa, ma che è essenziale che per il sognatore ciò abbia una funzione di sostegno, per conseguire la “sua” verità.
In questo processo, il counselor diventa per il cliente l’equivalente di ciò che rappresenta il critico per l’artista, nell’aiutarlo a trovare il modo per realizzare il suo sogno, nell’offrire elementi sui quali riflettere e da utilizzare in modo più funzionale rispetto al passato, per scoprire insieme all’individuo le modalità di dare origine a un cambiamento nel presente. Attraverso la rappresentazione e la sperimentazione, il sogno diventa consapevole e ad occhi aperti e può partire da un qualsiasi “flash”.
Nel corso del seminario del 2001, sopra citato, Miller asserisce che ciò che importa non è creare grandi eventi, ma il piccolo, il comune, che il cliente può comprendere. Inoltre, afferma che il sogno può essere quello raccontato o qualcosa che si genera nella relazione d’aiuto, dichiarando, in pieno rispetto dei principi del teorico della Gestalt, col quale ha collaborato: “Queste sono alcune delle cose importanti che ho imparato da Perls:
1. essere sensibili alle polarità che si avvertono nelle situazioni;
2. quando c’è qualcosa, si trova da qualche altra parte il suo opposto;
3. se c’è troppo di una cosa, dall’altra parte si trova poco del suo opposto;
4. sul piano della Gestalt c’è un alternarsi di figura e sfondo;
5. l’opposto è nascosto nello sfondo;
6. lo psicoterapeuta gestaltico è interessato a tirare fuori qualcosa dallo sfondo che crea la possibilità di trasformazione/integrazione;
7. a volte entrambi i poli sono in primo piano e danno la sensazione del paradosso e della contraddizione”.[4]
L’attenzione allo sfondo va data, in particolare, quando: non si mostra la seconda polarità, in quanto è complesso compiere un’operazione di integrazione in presenza di un solo polo e quando esso diviene un’alternativa sulla quale spostarsi, se emerge una difficoltà a restare sul primo piano. Il muoversi verso un altro elemento del sogno favorisce il rispetto dei tempi e delle modalità del cliente. Per Miller ciò che conta non è arrivare da qualche parte, ma rispettare il ritmo di ogni persona, perché per affrontare l’ombra, il cliente non deve essere spinto ad andare contro le proprie resistenze, ma sentire un contesto di fiducia e protezione, creato da un operatore d’aiuto che sia partecipante attivo.
Il processo di counseling deve permettere al cliente di riconquistare e avvalersi in modo nuovo dei suoi strumenti espressivi, di recuperare la sua capacità di scelta, di discriminare, di ritrovare la libertà perduta per dare origine alle proprie esperienze e vivere inserito nel mondo. Secondo Miller, è la creatività che consente alle persone di dare forma al mondo, in quanto “creare la propria identità nel mondo è un’attività estetica. E una vita sana, bella, buona ha le proprietà estetiche di un’opera d’arte”.[5]
La capacità creativa che permette di attuare questa creazione si sviluppa verso gli 8/9 mesi di vita del bambino, quando cominciano a crescere i denti. In questo periodo della vita diventa possibile addentare, masticare e scegliere, sviluppando il confine di contatto tra sé e mondo, per giungere ad acquisire ed ampliare le possibilità di cominciare a creare il proprio mondo.
L’obiettivo è di riacquisire l’aggressività perduta per convertirla in uno strumento di difesa, di scelta e di intervento assertivo nel mondo. L’opera d’arte e la trasformazione del sogno in opera d’arte viva hanno origine dalla rabbia e dall’aggressività, tanto quanto dall’amore. Creare vuol dire intrattenere rapporti col mondo, rivelare il bello che in esso esiste e realizzarvi qualcosa per poi giungere a lasciarlo andare in esso. Miller conclude che “la creazione è una forma d’amore, (…) e anche la rabbia che a volte la produce può essere considerata una forma d’amore, di contatto con il mondo”.[6]
In base a questi principi, il compito del counselor è quello di accompagnare nel percorso e portare empaticamente attenzione al cliente, così da condurlo a creare, in modo responsabile ed esteticamente gradevole, la sua storia.
[1]Edoardo Giusti, Veronica Rosa, Psicoterapie della Gestalt. Introduzione dell’Evoluzione Pluralistica, Roma, Sovera Multimedia s.r.l., 2006, p. 309.
[2]Ivi, p. 310.
[3]Ivi, p. 311.
[4]Michael Vincent Miller, Comunicazione orale al seminario “La creatività ed il sogno nella psicoterapia della Gestalt”, Milano, 24/25 marzo 2001, riportato in Edoardo Giusti, Veronica Rosa, Psicoterapie della Gestalt. Introduzione dell’Evoluzione Pluralistica cit., p. 312.
[5]Ivi, p. 313.
[6]Ivi, p. 314.
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