Milton Hyland Erickson
Io amo Milton Erickson.
Lo immagino ragazzino davanti al dizionario, che scorre parola per parola, pagina dopo pagina, fino ad arrivare al vocabolo ricercato.
Fu soltanto in un giorno qualunque della scuola secondaria che, colpito da illuminazione, capì l’utilità dell’ordine alfabetico e ringraziò il suo inconscio per averglielo fatto comprendere così tardi: quanti vocaboli aveva potuto imparare, adottando quel suo personale metodo!
Sento la sua ribellione di diciassettenne all’annuncio dei medici che, a consulto nella stanza accanto a quella dove giaceva vittima del primo attacco di poliomielite, ebbero la presunzione di prevedere la sua morte entro la nottata.
Decise che prima di morire avrebbe visto un ultimo tramonto, perciò chiese di posizionare una specchiera in modo che dal suo capezzale fosse possibile vedere riflesso il calare del sole e testardamente si impose di non darla vinta a quegli uomini che si erano rivelati così crudeli da annunciare ad una madre la morte di suo figlio.
Vedere un ultimo tramonto avrebbe significato superare quella notte e poter sperare di continuare a vivere.
Fu quella la prima esperienza che molti anni dopo definì ipnotica: l’immagine che egli assorbì con tutta la capacità percettiva di cui fu capace in quel momento, conteneva focalizzazione, dissociazione, distorsione temporale, sensibilizzazione sensoriale ed elicitazione delle proprie abilità.
Provo compassione per quel ragazzo dimenticato sulla sedia a dondolo adattata ai bisogni fisiologici. Divenne così intenso il suo desiderio di avvicinarsi alla finestra da provocare un leggero dondolio.
In quella circostanza scoprì il principio ideomotorio, fondamentale in ipnosi, in base al quale il solo pensiero o idea di un movimento può portare all’effettiva esperienza di un movimento automatico del corpo.
Da quell’attacco di poliomielite riuscì a sopravvivere ma completamente paralizzato ed il modesto paese nel quale viveva non offriva possibilità di cure riabilitative.
La determinazione a tornare ad avere pieno possesso delle facoltà fisiche fu la spinta verso la scoperta delle proprie strategie interiori.
Andò a ripescare tutti i suoi ricordi sensoriali per cercare di reimparare a muoversi.
Fissava la propria mano cercando di ricordare la sensazione che provava quando, ad esempio, afferrava un oggetto e, a poco a poco, le sue dita incominciarono a fare piccoli scatti, poi a muoversi leggermente in modo scoordinato, fino a diventare movimenti più ampi.
Non erano semplici esercizi di immaginazione, ma esercizi di attivazione di reali ed intensi ricordi sensoriali.
Fu così che ciò che in una nota storiella zen condannò il millepiedi a non riuscire più a camminare, per il giovane Milton rappresentò la possibilità di reimparare a muovere il proprio corpo: l’attenzione consapevole.
Sfido chiunque a dare una descrizione altrettanto dettagliata dei primi passi:
“Imparai a stare in piedi guardando la mia sorellina che imparava a stare in piedi: usa le tue due mani come base, allarga le gambe, usa le ginocchia come base larga, poi poggia più peso su un braccio e una mano sollevati. Ondeggia avanti e indietro per trovare l’equilibrio.
Esercitati a piegare le ginocchia e a mantenere l’equilibrio. Dopo che il corpo è in equilibrio, muovi la testa. Dopo che il corpo è in equilibrio muovi la mano e la spalla.
Metti un piede davanti all’altro mantenendoti in equilibrio.”
E’ con ammirazione che guardo a quel giovane, ancora troppo debole nelle gambe, deciso a partire da solo in canoa per un viaggio lungo il fiume che durò dieci settimane, duemila chilometri e, ricorrendo esclusivamente alla propria intelligenza e alle proprie risorse, lo vide ritornare a casa robusto, orgoglioso e autonomo.
La scelta dello studio della medicina fu conseguenza della sua condizione fisica, che lo privò della possibilità di dedicarsi a ciò che fino a quel momento era convinto sarebbe stato il suo futuro: l’agricoltura.
Fu così che scoprì che alcuni dei fenomeni che egli viveva come esperienza interiore, venivano esaminati come attinenti all’ipnosi.
Incominciò a partecipare ai seminari settimanali che si svolgevano al dipartimento di psicologia dell’Università del Wisconsin, sotto la direzione di Clark L. Hull, psicologo statunitense i cui interessi riguardavano l’ipnosi, l’apprendimento ed il comportamento.
Durante quegli accesi dibattiti si discuteva sulla natura dell’ipnosi, dei metodi di induzione e della risposta psicologica del soggetto, sui valori e significati dei processi, sulla possibilità di trascendere le capacità normali e, soprattutto, sull’identificazione della figura primaria nello sviluppo dello stato di trance: era l’operatore o il soggetto?
Fu il disaccordo su quest’ultimo argomento che convinse Erickson a sviluppare un proprio progetto di ricerca, con il quale si discostò dalla convinzione radicata di Hull secondo cui ciò che l’operatore diceva e faceva fosse di gran lunga più importante dei processi comportamentali interiori del soggetto.
Hull tentò di stabilire una tecnica standardizzata per l’induzione dell’ipnosi che prevedesse l’uso delle medesime parole, ritmo e tono di voce, nel tentativo di provocare stati di trance tutti simili, che non tenevano conto delle differenze individuali, di motivazione, interesse e capacità di apprendere.
L’esperienza introspettiva e di auto guarigione vissuta personalmente convinsero Milton Erickson a dimostrare che i fenomeni di trance costituissero parte normale della vita di tutti i giorni e trasformò la vecchia concezione autoritaria dell’ipnosi in un approccio permissivo e di facilitazione.
Lo stato di trance diviene uno stato di dinamica complessità e individualità, nel quale le capacità personali del soggetto possono essere utilizzate per facilitare il processo di guarigione, inteso nel senso più ampio del termine.
Erickson sentì il bisogno di mantenersi indipendente rispetto alle scuole di psicologia o psichiatria (nel corridoio che portava al suo studio era appeso un fotomontaggio di Freud vestito da generale) per mantenere ampia la libertà di esplorazione, poiché traeva enorme piacere nello studiare la comunicazione, la percezione e tutto quanto la natura ci mette a disposizione affinché ne facciamo buon uso.
Per questo il suo lavoro venne apprezzato anche in ambiti diversi, dalla filosofia all’intervento sociale.
Amo Milton Erickson perché al culmine della sua fama si permise di addestrare all’impiego dell’ipnosi operatori sociali, infermieri e polizia, sostenendo lo scontro con le organizzazioni professionali e politiche che avrebbero preteso un addestramento unicamente accademico.
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