La storia di M. è una storia di ricerca. La ricerca di attenzioni dolorose da parte di compagni che ci fanno dubitare del nostro stesso equilibrio psichico.
E’ la sua, la medesima di tante donne, che, a diversi livelli di intensità, di rischio, umiliazione e pericolo, sembrano avere una capacità particolarmente sviluppata nel cercare (e trovare) uomini che le tratteranno male. Carnefici.
Ricordo frasi dei miei maestri che ripetono nell’aria “non ci sarebbe Romeo senza Giulietta, non esisterebbe Lancillotto senza Ginevra”.
Non ci sarebbe Carnefice se non ci fosse Vittima. E infatti queste donne si incastrano perfettamente come in un ingranaggio con l’individuo che lamentano, un ingranaggio che in AT viene definito “Simbiosi”: una metà della coppia attiva parti di sè in sostituzione dell’altro, e l’altra metà si passivizza delegando il proprio stesso permesso/diritto di esistere, di essere visti e riconosciuti a diversi livelli, fino a quello ultimo e definitivo di esseri viventi.
In ogni coppia c’è un po’ di Simbiosi. Ma spesso non è cosa grave poichè finisce in quella che è una relativamente normale divisione dei ruoli, con una specializzazione a volte limitante, ma che può stare serenamente in equilibrio per anni senza particolare malessere percepito. Di fatto ognuno di noi, se non si analizza, se non intraprende percorsi di autoconsapevolezza, se vive col pilota automatico, resta almeno parzialmente ingabbiato nel proprio personaggio, nei propri eccessi e nelle manifestazioni di sè categoriche che espone al mondo. Così ci sarà il marito che avrà il compito di chiudere la porta a chiave e di buttare la spazzatura secondo una procedura minuziosa, la moglie che paga regolarmente le bollette e compra i vestiti.
Il marito che prende le casse d’acqua e gestisce la cantina del vino, ma ignora totalmente la propria taglia di mutande. La moglie che conosce perfettamente i movimenti del conto corrente, ma non sa che fare se si fulmina il faretto della plafoniera.
Ma poi ci sono storie diverse. Storie di persone che un giorno furono bambini non visti. Storie di bambini che pur di essere visti hanno giocato qualsiasi carta, fino ad arrivare a quella dell’annientamento. Perchè nell’aria frullava un’idea non poi tanto bizzarra: “non sono degno di esistere, ma se smetto di esistere, forse comincerò a essere degno”.
Mi viene da stare un attimo in silenzio, perchè questo è un sillogismo lucido e chirurgico, proprio come la crudeltà che M. attribuisce ai suoi carnefici. Allora chi è il primo carnefice di noi stessi?
Il meccanismo appare ancor più perverso se aggiungiamo che lo scopo finale sarebbe quello di salvarsi, di sopravvivere e di trovare “accudimento amorevole“, ma la profonda conferma di cui si va a caccia è quella conclusa verso i 10 anni, quando le nostre idee su di noi e sugli altri sono formate e annotate nel quaderno della vita, che sarà nel taschino a portata di mano anche nell’esistenza adulta. “Non sono nata prediletta. Ma forse potrei diventarla se, se, se.” Finchè un giorno si conclude: no, prediletti non ci si diventa, nemmeno quando alzi l’asticella a livelli insostenibili.
Come darle torto? Il termine prediletto, con il suffisso “pre“, descrive uno stato antecedente e incondizionato. Un essere diletto (= “teneramente amato”) pre (= “prima”, ma anche “a priori”), cioè indipendentemente da ciò che si potrà fare dopo.
Un essere amati teneramente (esattamente l’opposto dell’amore carnefice) prima di tutto, prima del tempo, prima della nostra stessa nascita, prima del resto e più incisivamente di ogni possibile ed eventuale nostro errore.
Come si può dopo, diventare ciò che si sarebbe dovuti essere prima? E’ una partita persa in partenza prendere una persona che rispecchi il modello di indifferenza a cui siamo stati avvezzi e asservilirsi meglio che si può, nella speranza che “questa volta lui cambi”.
E la verità è che piuttosto che non essere visti, preferiamo essere trattati male. Piuttosto che nessun riconoscimento, meglio un riconoscimento negativo. Almeno sento di esserci anche io. Ecco perchè le attenzioni negative non sono poi una fame così rara. Sono comunque attenzioni e, in un mondo che ha una sua logica, sfamano.
Ma la domanda andrebbe riformulata: dal chiedersi “si può sperare di diventare prediletti?“, bisognerebbe chiedersi “prediletti per chi?“
Se oggi cerchiamo uomini o donne, che ci rendano prediletti, colmando quel vuoto che non è stato riempito anticamente, accumuleremo frustrazione crescente, raccogliendo acqua fresca con uno scolapasta.
Piuttosto la nostra stessa parte amorevole, che ben sa essere devota al carnefice, dovrebbe iniziare ad accudirci, guardandoci con lo sguardo di cui avevamo bisogno quel giorno. La nostra parte affettiva dovrebbe prediligerci, e cioè metterci davanti a tutto il resto, ascoltando il bisogno autentico e il modo sano per soddisfarlo.
A questo proposito è interessante leggere gli studi di Mary Ainswworth, di Mary Main e la teoria dell’attaccamento di Bowlby, in cui si approfondisce anche il concetto di IMW (internal working model). Qui vi lascio un breve riassunto del concetto di Modello Operativo Interno e della teoria dell’attaccamento, che può essere un utile spunto di riflessione.
Lucia Violi
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