IL FIUME DI ERACLITO. Il problema come spinta all’apprendimento

Inviato da Nuccio Salis

problema apprendimento

La decisione è un incontro fra teorie personali sulle alternative e l’esperienza di soluzioni già possedute. Entrambi gli ambiti ineriscono a parametri di incertezza. Da una parte, infatti, vi sono le ipotesi, legate a discreti margini di rischio  e di possibilità, dipendenti da fattori spesso non gestibili e non esattamente prevedibili. Sull’altro versante complementare, si pone il bagaglio esperienziale in merito ai percorsi già battuti e sperimentati, e che includono sia quelli in cui si è verificato il successo, sia quelli in cui si è dovuto fare i conti col fallimento.

Il percorso della scelta, a questo punto, risulterà pertanto come una sommatoria (non meramente matematica) fra l’area delle opzioni possibili e quella rispettiva delle opzioni conosciute. Il fenomeno processuale sembra davvero presentarsi con tutta la sua ricca prospettiva di risorse e probabilità, attivando le dimensioni dell’agire e del sentire umano, secondo una “meccanica” di regole complesse ed articolate.

 

Dentro questo panorama, fitto di allettanti propositi, vi sono insediati tutti quei preziosi potenziali di crescita di sé, e che possono essere sviluppati ed esplicitati, a patto che ciascun soggetto decida di riappropriarsi o costruire una visione aperta ed esplorativa, rivolta verso i fatti e le circostanze della vita.

Le aspettative originate da credenze implicite che richiamano il successo, erogano difatti una maggiore motivazione nel ricercare percorsi dapprima non indagati. L’entità di un problema può essere in questo caso vissuto come viva occasione di scoperta, di prosieguo del flusso esistenziale, nella consapevolezza e nell’accettazione che qualunque evento, sia esso di natura storica o personale, è soggetto alla legge universale della trasformazione.

L’assioma che postula che “niente si crea e niente si distrugge ma tutto si trasforma”, è una efficace sintesi che si allinea a quel Panta Rei eraclitico, secondo il cui stesso pensatore, l’immobilità di alcuni fenomeni è soltanto apparente. Tutto è dunque da cogliere in prospettiva di moto e di perpetua mutazione. Anticipando di enorme tempismo le conclusioni scientifiche, Eraclito riuscì a farci capire che noi siamo abituati ad osservare l’illusoria stabilità di ciò che ci circonda, e quindi anche di ciò che abbiamo dentro di noi. Egli spiegava, per esempio, che un fiume che guardiamo non è mai lo stesso fiume. Esso è in realtà uno scorrere ininterrotto di acque sempre diverse, ma la percezione umana, che sembra avere una particolare predilezione per soddisfare il suo bisogno di unità e strutturazione definita, suggella un nome ed un’etichetta per poter creare così una apparente fissità.

Questo espediente ci rende molto spesso sfuggenti ed aridi di iniziativa, poveri di una rinnovata tensione rigenerativa, che costituisce invece la base per produrre domande, ricercare alternative, divenire fonti di cambiamento e di rinascita.

Tutto questo si rivela di fondamentale importanza dal momento in cui, posti di fronte ad una situazione dichiarata problemica, si è chiamati ad attribuire la misura del problema stesso, rendendosi conto di quanto siano gli atteggiamenti personali ad essere primariamente coinvolti nella visione generale dell’evento considerato.

Ciò vale a dire che qualunque problema non consta soltanto di una struttura intrinseca e casomai oggettiva, in quanto è anche il risultato di personali modalità del percepire. Insomma, non esiste problemi che non si accompagni ad un “framing”, cioè ad un processo di significazione in merito alla cornice che racchiude e contestualizza il problema stesso. Questo aspetto è oltremodo delicato ed importante, anche perché giustifica peraltro la presenza e le funzioni del counseling. Il modo con cui si interpreta e ci si rappresenta un problema, influisce di certo su come orientiamo la nostra scelta nell’affrontarlo, sia in termini di risorse che di strategie, di azioni svolte, di valutazioni e bilanci.

Un problema è dunque prima di tutto identificato e riconosciuto alla luce di obiettivi perseguiti e soprattutto di valori condivisi e prescelti. E questo vale non soltanto nel momento in cui si prende atto della natura problemica di un evento, ma anche quando si volge la propria attenzione alle possibilità solutorie nel fronteggiarlo e scioglierlo; in quanto le decisioni assunte devono rispecchiarci e ne dobbiamo in qualche modo rivendicare la giustezza o l’appartenenza. Adottare soluzioni eccessivamente discrepanti dal proprio sistema di giudizi e valori, infatti, conduce ad una discrasia che preme per farci desistere ed abbandonare.

Si potrebbe praticamente affermare che il framing sta al frame come il problem-solving sta al problem-setting, nel senso che il processo dinamico dell’agire si confà e si situa sempre sull’impalcatura delle informazioni codificate che si delineano secondo termini constatativi.

Naturalmente tutti questi elementi sono interdipendenti e confluiscono verso una relazione continua e circolare.

Può essere importante cogliere anche consapevolmente questa struttura di rapporti, perché può incoraggiare la possibilità di pensare in modo aperto, dare spazio ad ogni ipotesi e offrire diritto di cittadinanza ad ogni nuova possibile teoria.

Le buone soluzioni, molto spesso, infatti, sono tali proprio perché caratterizzate dall’essere versatili, flessibili ed ampiamente applicabili.

Esse scaturiscono da ragionamenti che vincono le strutture dualistiche chiuse, che superano cioè quei percorsi categorici di un pensiero dicotomico che obbliga ad una scelta del tipo “A o B?” Ma l’alternativa ad A non è B, presentata come un’antitesi. L’alternativa ad A consiste semmai in tutto ciò che ancora non è stato pensato né come A e né come B. In sintesi, non soltanto A ≠ B e viceversa, e per giunta dentro un orizzonte sigillato che non permette ulteriori possibilità, ma A≠A1, A2… An, così come anche B ≠ B1, B2… Bn.

La decretata fine del dualismo, dogmatico e autoreferenziale, apre ad una comune zona ampia ed intermedia fra A e B, frequentata da nuove idee e inedite proposte concettuali. Ciò che prima era una rigida divisione, diventa un terreno dialogico ove è possibile la mediazione, e dove in pratica ciascuna soluzione ricercata può essere il risultato di mediazione fra le varie prospettive immaginate. In un contesto siffatto,  diventa così possibile accogliere ciò che poteva prima essere valutato assurdo, paradossale o improprio. Possono rovesciarsi convinzioni, aspettative, percezioni ed atteggiamenti. L’importante è monitorare e verificare il processo, in merito al percorso solutorio intrapreso, affinché non si ceda ad una improvvida ed impulsiva improvvisazione. Ed ecco allora profilarsi la necessità di formularsi alcune domande di controllo. Esse possono essere le seguenti:

 

_ Dove mi trovo? (Rispetto al problema). Significa realizzare a quale punto si è arrivati

_ Dove dovrei o vorrei essere (misurare percettivamente la discrepanza fra la situazione presente ed il punto desiderato di arrivo)

_ Cosa si può fare per ridurre la discrepanza e raggiungere lo stato voluto? Domanda che sollecita al reperimento delle migliori risorse da impiegare

_ Dove mi trovo ora? (Dopo l’azione pianificata eseguita)

 

Al seguito delle risposte , è preferibile verificare le differenze fra lo stato iniziale e l’attuale condizione raggiunta. Si possono cioè calcolare vantaggi e benefici, e confrontarli con le perdite e i costi. Per ricavare informazioni attendibili, sarebbe opportuno disporre di criteri di verifica per essere certi di aver raggiunto l’obiettivo. Ci si può rivolgere ulteriori quesiti, quali: ho ridotto i rischi? Ho massimizzato il guadagno? Ho rispettato la mia etica? Ho considerato sia l’esperienza consolidata che le alternative? Scoprire cioè se si è riusciti ad accomodare il nuovo nel conosciuto, il noto nell’ignoto, a conciliare l’esperienza consolidata ei dati prevedibili e controllabili con la volontà di ricercare la novità.

Sono queste, in pratica, le tappe che completano il loop del percorso solutorio di un problema, e che possono sintetizzarsi in conclusione nella sequenza seguente:

 

_ Identificazione (strutturazione del problema in termini di contenuti e di percezione dello stesso)

_ Esplorazione (reperimento degli strumenti idonei a fronteggiare il problema)

_ Selezione (scelta fra le strategie validate come le più efficaci)

_ Attivazione (concreto agire nel contesto)

_ Valutazione (feedback che può generare una nuova struttura problemica)

 

La circolarità del percorso  indurrebbe a far pensare che non vi è una battuta d’arresto definitiva, all’interno di tale processo. In pratica, nessun problema è stato mai risolto. La sua struttura, infatti, altro non è che un perenne invito ad accogliere nuove domande, intercettare nuovi bisogni e profilarsi ulteriori finalità ed orizzonti del possibile. In questo senso, alcun problema sembrerebbe addirittura esistere. L’insegnamento che vi si può trarre è che ciascun problema, rispecchiando la vita stessa, si manifesta nel suo eterno fluire, e come il più grande contenitore che determina l’iniziativa all’apprendimento, anch’esso come esperienza continuativa, esattamente come la nostra stessa esistenza.

Potrebbero interessarti ...