RIFLETTERE SERVE A... RIFLETTERE. Il mirroring nell’ascolto attivo

Inviato da Nuccio Salis

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Se esiste un ascolto attivo, esisterà di contro anche un ascolto passivo. In vero, questa ultima modalità non è affatto opposta alla prima, può risultare semmai complementare e precedente alle procedure della tipologia attiva. L’ascolto attivo è una tecnica molto diffusa nell’ambito della relazione di aiuto, poiché si basa su una strategia che rappresenta il principio guida fondamentale nella conduzione di un percorso di crescita della persona.  Tale assunto consiste nel dare modo all’interlocutore di ricevere il messaggio che egli stesso ha inviato al consulente, affinché la persona stessa verifichi l’avvenuta e corretta accoglienza e decodifica dei contenuti narrati. È un segnale molto forte nei confronti di chi si appella allo specialista dell’aiuto, perché questa esperienza da modo di ri-controllare accuratamente la bontà del messaggio, e di sperimentare che ciò che si racconta può essere accolto senza che per questo provochi giudizio, scandalo, obiezioni o rimproveri da parte del professionista. È la costruzione di un rapporto di fiducia che genera alleanza fra le parti, condizione imprescindibile per co-partecipare in modo condiviso e collaborativo ad un comune progetto di evoluzione di sé.

 

Tuttavia, c’è anche chi sostiene l’utilizzo dell’ascolto attivo all’interno di una sequenza più complessa, la quale prevede di applicare stili e modelli di comunicazione che si richiamano al più generale linguaggio dell’accettazione, inteso come un compatto paradigma di riferimento a cui devono tendere in modo organico tutte le varie tecniche impiegate. Pertanto, muovendosi all’interno di questo contenitore allargato, e facendolo sia considerandone il senso concettuale che le sue ricadute operative, l’azione di sostegno alla persona comincia con la modalità dell’ascolto passivo. Secondo questo orientamento, il cliente riceve come risposta il silenzio. Si può ben sperimentare come risulti impegnativo e non privo di rischi inviare la conferma dell’ascolto e dell’attenzione senza profferire parola alcuna. È questo un procedimento piuttosto raffinato, perché ben si presta all’equivoco. Nel senso che la restituzione dell’avvenuta ricezione del messaggio, e la dimostrazione di aver prestato interesse a ciò che si è accolto, si deve confrontare con la credenza comune secondo la quale chi non ti risponde sembra non averti ascoltato. Esiste una regola condivisa, nei processi della comunicazione interpersonale, secondo la quale i partecipanti avvertono il bisogno di chiudere la circolarità della dinamica comunicazionale, fornendo risposte verbali, congruenti e strutturate in aderenza ai contenuti affrontati. Il professionista che sceglie la modalità “passiva”, dovrà essere abile nel gestire il silenzio conferendogli un valore, dovrà altresì adibire il silenzio ad un possibile spazio che veicola significati e sollecita risposte autocentrate, private di ogni possibile condizionamento e interferenza esterni. Lo specialista in modalità passiva non si presenterà ovviamente come una statuetta rigida, visto che così facendo potrebbe trasmettere una posizione giudicante, imbarazzata o scossa da ciò che ha sentito. Tale condizione non potrebbe che avere la spiacevole conseguenza di creare nel cliente la sensazione di aver detto qualcosa di vergognoso. Come si dovrà condurre il counseling, allora, in questo caso? Prima di tutto è necessario ricordare che la parola non è l’unico elemento di comunicazione, e quindi sarà doveroso rispecchiare significati mediante lo strumento-corpo. In questa circostanza, il professionista dell’ascolto che dovrà monitorare il valore dei segnali non verbali emessi da tutte le altre componenti non verbali, regolando in modo particolare la sua complessa scenografia cinestetica, sia statica che dinamica. Annuire, sollevare gli occhi in espressione riflessiva, dirigere lo sguardo senza mai fissare troppo l’interlocutore, sollecitando con la mano la continuazione del suo racconto per mezzo di cui si autorivela, sorridere se ciò è congruente ai contenuti ed al modo con cui sono espressi e contattati; sono esempi di modalità che invitano a stare in situazione, beneficiando anche di un setting protetto dall’eccesso del rumore, inteso proprio come stimoli e vissuti che hanno influenzato e contaminato il libero e sereno fluire del pensare, da parte del cliente. In modalità paraverbale, altre valenze di incoraggiamento sono manifestate mediante mugugni o vocalizzazioni che sottolineano importanti passaggi nella narrazione, denotando comunque accettazione e complicità.

In seconda battuta, è contemplato l’ausilio di piccole frasi di incoraggiamento, che hanno lo scopo di rendere la narrazione più chiara, completa, e di pungolare ulteriormente il cliente all’approfondimento di sé. Alcuni esempi: “e poi?”; “mi chiedo se c’è dell’altro” (con minore intensità interrogativa).

Come ultimo step, che nel principio sostanzia comunque il senso stesso di un colloquio di counseling, si situa l’ascolto attivo. Noto anche come “ascolto riflessivo”, non a caso, il criterio guida consiste nel restituire contenuti, significati e vissuti esperiti dall’interlocutore, allo scopo di riappropriarsene senza svuotarli sugli altri. Questa funzione è in modo particolare utile specialmente per lo specialista dell’ascolto, che evita in tal modo di farsi riempire come un secchio vuoto dalle storie altrui. Con questa modalità, infatti, ogni storia è riassunta e restituita, come se il counselor fosse uno specchio che in un certo senso obbliga il cliente a ri-confrontarsi con se stesso, durante tutto il processo della comunicazione. Questa dinamica di rispecchiamento, si eleva propriamente ad attività di riflessione per il cliente. Egli, che non riceve soluzioni impersonali e precotte dal professionista a cui si appella, è spinto a guadagnare da sé un percorso dentro cui ricercare e trovare le formule di vita più idonee ai propri valori ed ai propri obiettivi.  Il counselor, infine, assumerà il compito di un facilitatore che aiuta a riflettere… riflettendo a propria volta, nel tentativo di ri-attivare il cliente al pensiero produttivo e ad una conseguente implementazione di azioni costruttive ed efficaci.

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