TRA IL DIRE E IL FARE SARA’ MEGLIO IL FARE. Realizzare gli auspici e gli obiettivi preposti

Inviato da Nuccio Salis

aratro

Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio” (Gesù Cristo, in Lc 9, 51)

 

Per poter parlare di successo nell’ambito della relazione finalizzata all’aiuto, è necessario passare dalle parole ai fatti, dai proclami all’agire, dagli obiettivi annunciati al conseguimento concreto dei percorsi immaginati. Il counselor non è un parolaio che si diletta nell’intrattenere il cliente con la sua abile dialettica. Egli è un facilitatore che sollecita ad intravedere percorsi risolutivi, a co-creare e costruire possibilità effettive di fronteggiamento delle proprie situazioni limitanti. Questo itinerario assume per tale ragione una sequenza stadiale, che deve naturalmente possedere la caratteristica della flessibilità, ed insieme a questo criterio conserva anche l’obiettivo di giungere ad un nuovo ordine, generato dal caos precedente. In linea con la sua prospettiva dinamica e di una piena condivisione con l’idea della crescita permanente, il nuovo equilibrio stabilito non potrà essere considerato come la fine di un traguardo, quanto un punto di eventuale rinnovamento e tensione verso la completezza di sé in termini espressivi, strutturali e identitari.

 

L’epicentro del paradigma di cui si avvale il counseling fa riferimento esattamente alla trasformazione continua della persona, e si accentra su questo principio per guidare un’azione programmata, suscettibile per l’appunto anche circa la possibilità di saper gestire le occasioni estemporanee non altrimenti prevedibili.

Nell’ambito  dell’alleanza interpersonale fra counselor e cliente, verrà dunque riservato un posto d’onore al processo riguardante il prendersi cura dell’impegno diretto alla realizzazione effettiva di ciò che il cliente stesso si è ripromesso. Aver assunto una decisione ed averne maturato il senso e l’importanza è già una fase indispensabile, durante il percorso che si è intrapreso, e che necessita investire verso il momento più edificante che corona il cambiamento auspicato: l’esecuzione effettiva dell’azione prevista e immaginata.

Il primo tempo del percorso di counseling è dunque rivolto a sviluppare nel cliente la motivazione ed il coraggio idonei nell’affrontare l’ipotesi di cambiamento, sia dal punto di vista dell’accettazione che della volontà concreta di perseguire l’azione. Si possono dunque identificare a grandi linee due blocchi temporali della procedura dell’aiuto, così come le suddivide propriamente il counselor e psicoterapeuta George Gazda: la prima fase è chiamata facilitante, ed a legittimarla è il fine riconosciuto nello sviluppo di una struttura interpersonale coesa e solidale, che lo specialista crea con il proprio cliente. Egli, grazie alle tecniche dell’ascolto comprensivo, guadagna la fiducia del richiedente aiuto, e modella lo stesso su un atteggiamento auto-esplorativo, da cui si presuppone si possa far leva affinché per il cliente diventi possibile pensare a pianificare nuove strategie dell’agire. Nel senso che una nuova e più completa conoscenza di sé, circoscritta comunque alla situazione del qui ed ora che si presenta, funge da stimolo alla curiosità di esplorarsi anche in una progettualità che vuol conseguire nuove azioni più efficaci e vincenti. il counselor coinvolto in tale processo riveste un’ampia responsabilità nel determinare il successo di questo primo periodo di ampliamento della coscienza di sé, da parte del cliente che co-partecipa alla strutturazione di tale esperienza. Il professionista è chiamato infatti ad essere accurato circa la conoscenza precisa sulle proprie modalità del percepire l’altro, per riconoscere eventuali disturbi quali errate convinzioni, pregiudizi malgestiti, inferenze e risonanze interne che potrebbero fuorviarlo dal compito di accogliere con incondizionata accettazione la persona che incontra. Questo punto costituisce il valore essenziale del sostegno alla persona, senza il quale non si può accedere ai livelli successivi più avanzati. I messaggi impliciti da parte del counselor devono essere dunque puri e non contaminati da residui di proiezioni personali sull’interlocutore che si appella al professionista. Qualora infatti, il cliente intercettasse messaggi doppi, non congruenti e non autentici da parte del counselor, difficilmente potrebbe sentirsi di proseguire verso i successivi apprendimenti. Soltanto prendendosi seriamente carico di questo aspetto, il soggetto che richiede aiuto potrà sentirsi sostenuto nell’accedere al passo che segue.

L’esperienza continuerà con il sopraggiungere della seconda fase, propriamente riconosciuta come quella dell’azione, e che consiste nel passaggio atto a validare ciò che è stato meditato in termini di obiettivi, durante il periodo precedente.

Sul piano teorico-operativo, vi aderisce anche Robert Carkhuff, noto allievo di Carl Rogers, il quale suddivide l’itinerario ideale dell’aiuto in 8 tappe e 3 dimensioni:

. AUTOESPLORAZIONE :

a ) Rispetto

b ) Empatia

c ) Cordialità

 

. COMPRENSIONE:

a ) Autorivelazione

b ) Genuinità

c ) Concretezza

 

 .AZIONE:

a ) Franchezza

b ) Immediatezza

 

La finalità a cui si giunge, anche in questo caso è individuata nell’azione, la sola che può far conseguire la certezza di un qualche risultato tangibile. L’azione genera l’esperienza, conducendola da un piano immaginario ad uno scenario visibile e concreto, da cui il cliente stesso ricava le sue conclusioni ed eventualmente perfeziona e rilancia il proprio agire.

Fino a che non si sperimenta, tutto rimane su un orizzonte vago ed ipotetico, che può avere un estremo di immaginario idilliaco da una parte, contro un altro lato in cui si paventano angosce e paure del tutto inesistenti.

Il counselor, proponendosi come specchio nella relazione, aiuta ponendosi in primo luogo come modello di persona che sa mettersi in discussione, gestire le difficoltà e mostrare reale curiosità sull’altro, manifestando tendenza all’avvicinamento e al desiderio esplorativo di conoscenza, per collimare coi bisogni di ascolto e di accoglienza della persona, poiché sono queste abilità a contagiare il soggetto a far crescere dentro se stesso il coraggio di affrontare la sfida ed i rischi connessi al cambiamento.

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