Cristianamente counselor


cardinale martini

Mi piacerebbe lanciare qui una piccola sfida ai miei colleghi che, prima di essere counselor, sono persone che  si sentono (o definiscono) cristiane, persone che stanno cercando di credere, o persone non credenti, ma che sono aperte al dialogo.  Vi propongo un articolo, che troverete anche sul mio blog (www.micaelaonblog.it) scritto in occasione della preparazione di un lavoro che ho recentemente presentato al Martini Award (un premio dedicato al card. Martini, i cui incontri tra credenti e non credenti hanno rappresentato per anni un'occasione ricca di contributi).

 

Invito chi lo desidera a dare il proprio, preziosissimo commento:  

 

Molti anni fa un’amica psicologa con la quale stavo condividendo la mia personale esperienza d’incontro con Gesù, quando cominciai a parlarle di come, secondo me, l’amore cristiano sarebbe potuto entrare nei percorsi formativi al counseling e alla psicologia, mi interruppe con una certa irritazione e mi disse: “sì, certo, tutto bellissimo, ma per favore non parlare di amore a sproposito. Io sono credente, anche se non pratico, ma nel mio lavoro l’amore non può entrarci, è un’utopia. Io non amo i miei clienti, come potrei? Nemmeno li conosco! Tutt’al più posso provare empatia, o simpatia, ma amore….L’amore cristiano è esso stesso un’utopia e di certo non posso parlarne con i miei clienti, né mettermi a leggere il vangelo, o dire loro che li amo come Cristo ha amato me.Tanti sono atei, altri appartengono ad altre religioni, io devo rispettare tutti e devo limitarmi a fare il mio lavoro.”

Avrei tanto desiderato chiederle come mai sentiva l’obbligo, da cristiana, di fare un passo indietro nella sua professione rispetto al credo (o non credo) dei suoi clienti, riconoscendo di conseguenza che le innumerevoli influenze filosofiche orientali o al limite dell’esoterismo, da cui la psicologia umanista trae molti spunti, fossero molto più rispettose delle diversità, rispetto agli insegnamenti evangelici sull’amore universale.

Resistetti alla tentazione di porle questa domanda, anche se in passato mi era accaduto a volte di sentirmi vagamente a disagio di fronte alla pretesa della psicologia di catalogare gli insegnamenti di Cristo come “improponibili”, perché non rispondenti all’obbligo di laicità a cui, pare, tutti i professionisti dell’aiuto agli altri sono tenuti (forse confondendo il dogma con l’essenza, la lettera con lo spirito, la religione cattolica con il messaggio cristiano universale).

Chissà come mai, mi chiedevo in quelle occasioni, siamo sempre noi cristiani a scegliere di abdicare ai nostri valori, mentre al contempo accettiamo con grande spirito di tolleranza di essere formati nel minestrone, spesso torbido, della new age?

Alla fine non chiesi nulla alla mia amica, sentivo che insistere l’avrebbe fatta sentire a disagio ed io ho troppo rispetto della libertà di pensiero, per rischiare di allontanarmene.

Una delle sue affermazioni mi aveva colpito in particolare: la riporto testualmente perché, nonostante sia trascorso qualche anno, me la ricordo bene: “…nel mio lavoro l’amore non può entrarci…”

E’ proprio così? L’amore cristiano non ha alcuna possibilità di entrare in una relazione d’aiuto alle persone, in un rapporto tra terapeuta, o counselor e cliente?

Al prossimo articolo la mia risposta: grazie per i vostri commenti e le vostre risposte, sono quelle a cui tengo maggiormente.

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