Nemesi

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In un modo o in un altro ognuno di noi è alla ricerca di giustizia, che ci compensi tangibilmente o simbolicamente dei torti subiti. Sappiamo che non sempre è così e dobbiamo imparare a convivere con  l’inappagamento del desiderio di giustizia. Il limite con la vendetta è labile. Vendetta è un termine che deriva dal latino vindicta. La vindicta altro non era che una specie di bastone con il quale un padrone, affrancava il proprio schiavo di fronte ad un Pretore, toccandogli leggermente il capo. Vendetta dunque come liberazione. Ma liberazione da che cosa? La vendetta è un dolore non superato, che in ogni caso non cambia la situazione insita nella sua origine. Nel momento in cui mettiamo in atto un proposito di vendetta in realtà  diamo sfogo alla nostra parte istintuale, forniamo nutrimento al nostro Ego.

Non tutti ne sono capaci, tant’è che generalmente si auspica di veder girare la ruota del destino in modo che il responsabile di un torto possa patirne le stesse conseguenze. E’ l’idea del contrappasso ampiamente descritta da Dante nei Canti dell’Inferno. L’idea che il fato, il destino possa riparare le ingiustizie ha essenzialmente un carattere consolatorio, mantenendo vivo il desiderio di giustizia o di vendetta e che ci evita di sporcarci le mani, di evitare l’incontro con il senso di colpa, con il giudizio morale. Un counselor che si occupi di separazione e divorzi affronta frequentemente la problematica del risentimento, della volontà di vendicarsi. Non è detto che la vendetta stia nell’agire. Può essere altrettanto vendicativo l’ignorare, il disprezzare, lo squalificare. Le parole a volte hanno un peso devastante.  Come afferma Robert Dilts, a proposito di PNL, “attraverso le parole ognuno di noi può dare a qualcun altro la massima felicità oppure portarlo alla totale disperazione”. Per il credente la giustizia compensatrice non fa parte di questo mondo. Ai mortali rimane in carico solo il perdono. Il perdono richiede certamente più coraggio della vendetta. Non vuol dire porgere masochisticamente l’altra guancia ma tentare di aprire una breccia nell’altro affinché ritrovi la rinascita della coscienza morale. La nemesi non può prescindere dal mantenere la propria dignità. 

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