Il Cambiamento in un percorso di Counseling
con clienti con problemi di depressione
Fabrizio si è rivolto a me, inizialmente senza un’ espressa richiesta . Fondamentalmente aveva bisogno di qualcuno capace di accogliere e contenere il suo dolore. Fabrizio lo, ha cercato espressamente me. Infatti non è un cliente del Centro di Ascolto, né, tantomeno, una persona che per un disagio o una dipendenza si é indirizzato al Centro Caritas dove, grazie al progetto presentato, abbiamo potuto realizzare un punto di accoglienza professionale per tutti coloro, a vario titolo, hanno difficoltà nella gestione del quotidiano. Quello che sarebbe diventato il mio primo personale cliente, ha cercato il mio aiuto su indicazione di una comune conoscenza. Paradossalmente durante il primo colloquio l’ utente si soffermò diversi minuti a ribadire la sua sfiducia, non nel Counseling in se stesso, quanto piuttosto verso ogni tipo di relazione d’aiuto. Nel modo di argomentare Fabrizio colpiva per la coerenza del ragionamento mostrando, inoltre, un livello culturale non indifferente.
Fin dal primo incontro il racconto del vissuto del cliente si alternava con lunghe parentesi di riflessione esistenziale, come se oltre ad tentare di trovare spiegazioni a problemi molto concreti che lo affliggevano, il mio cliente avesse un’ urgente necessità più che un semplice bisogno di dare almeno un’ ipotesi di risposta alla personale ricerca. Il fatto che spostasse la narrazione da vicende particolari, ed alle emozioni ad esse connesse, ad interrogativi che solo in apparenza potevano sembrare di portata più generale, non mi ha mai indotto a pensare che fosse una via di fuga dall’ affrontare il proprio disagio. Mi era stato subito chiaro, infatti, che se davvero c’era qualcosa da cui Fabrizio voleva davvero scappare, non si trattava certo del suo dolore, quanto piuttosto dalle sue responsabilità. Dalle più piccole, alle più grandi! Tale modus operandi somigliava più ad un’ ostinata incapacità che ad una semplice inclinazione.
Questo atteggiamento era ormai degenerato in automatismo finendo poi col determinare, in concreto, quel progressivo irrigidimento che nel tempo gli aveva reso impossibile anche il solo pensare di dover attivarsi in prima persona per realizzare un cambiamento nella propria vita. Eppure non era stata nemmeno una inespressa richiesta di aiuto a condurre Fabrizio da me. Infatti, oltre alla sfiducia, immediatamente manifestata, verso ogni tipologia di relazione finalizzata all’ empowerment dell’ individuo, il mio utente aveva palesato, con altrettanta determinazione, la sfiducia nel genere femminile,ed a ben vedere nei rapporti interpersonali che andassero oltre una fuggevole conoscenza. C’è da dire, infatti, che anche il racconto rimandava un grande senso di solitudine. Così, capii che affidarmi esclusivamente ad un’ accoglienza di ispirazione rogersiana,“base sicura” per ogni helper, con questo cliente non avrebbe portato molto lontano.
Perciò, avendo ben compreso quanto fosse importate in questo caso impostare e mantenere approccio cognitivo ma non direttivo, decisi di procedere in maniera, direbbe Carkhuff “ personalizzata”. Assecondando la passione per la lettura del mio cliente ricorsi a quello che potrei definire “ biblio-counseling”, ossia una sorta di passeggiata letteraria che, attraverso la quale si doveva costruire la fiducia necessaria per rendere produttiva la relazione d’aiuto. Era importante, per me, spostare l’ attenzione di Fabrizio su qualcosa, solo in apparenza, del tutto estraneo al suo mondo interiore. Infatti, nell’ ascoltarlo, mi ero resa conto che il cliente aveva una modalità ossessiva di raccontare il suo vissuto. Aveva l’abitudine di soffermarsi ad analizzare un fatto preciso ( quasi sempre si trattava di problemi sentimentali) per poi incominciare a tormentarsi sempre con gli stessi dubbi, senza mai spostare l’attenzione dai comportamenti tenuti dalle perone con cui era in relazione invece di cercare di capire il modo in cui lui stesso aveva affrontato la situazione.
Si rivelò, poi, una buona scelta utilizzare un riferimento fatto dal mio cliente ad un libro che, secondo quanto riferitomi durante il colloquio, aveva dato al mio cliente molti spunti di riflessione per portarlo, attraverso il ricorso alla riformulazione rimando, a fare focusing su alcune delle sue dinamiche. Già dai primi istanti del nostro incontro, avevo capito che Fabrizio, pur essendo arrivato all’ appuntamento senza grosse aspettative, non aveva fatto altro che valutare, non tanto la mia adeguatezza professionale quanto piuttosto la mia “capacità di saper cogliere velocemente l’essenza delle cose. Mi pare superfluo chiarire che il mio utente, si attribuisse in prima persona queste qualità! Probabilmente il fatto che avessi individuato nella passione per la lettura la ricerca ossessiva di risposte, e , che per questo motivo avessi trasformato la sua incidentale indicazione letteraria in un punto di partenza, indusse Fabrizio a conferirmi la idoneità necessaria per poter avere un rapporto dialogico con me.
Non credo sia stato un caso, infatti, che agli appuntamenti successivi il mio cliente si sentisse libero di assecondare senza alcuna remora la sua ricerca di senso. Partendo dalla riflessione che gli avevano indotto i libri che leggeva, fu subito chiaro come ciò divenne il punto di partenza delle considerazioni più profonde sulle sue vicende personali. Di appuntamento in appuntamento Fabrizio abbassò l’altezza del muro della sua iniziale diffidenza ; smise di parlare sol ed esclusivamente, e nello stesso modo, della sua ultima relazione sentimentale naufragata come tutte le precedenti in un mare di incomprensioni, ripicche e recriminazioni che, come sempre, non erano mai iniziate anche a causa di una sua corresponsabilità. Incominciò così ad avvicinarsi al nucleo della sua intimità emotiva.
Mi raccontò di come non sa più cosa sia dormire la notte rispettare gli orari o gli impegni e di quanto si vergognava di se stesso, di come era diventato e di come aveva buttato la sua vita. C’è da dire che già al momento in cui gli avevo proposto il test di inquadramento diagnostico, secondo quanto previsto dal protocollo di formazione cui mi attengo, Fabrizio, sfogliandone le pagine prima di iniziare a compilarlo, lo aveva deriso affermando che quel test non poteva rivelare a nessuno niente più di quanto già non fosse in grado di capire da solo. Aveva proseguito poi, dicendo senza incertezze che, per quanto lo riguardava, sapeva già di essere depresso. Eppure il mio utente non aveva rifiutato di fare il test.
Anche in questa circostanza aveva rispettato quella sorta di personalissimo e “ pendolare automatismo”; diffidava di ogni tipo di relazione d’ aiuto ma aveva iniziato senza interromperlo il suo percorso di counseling; non si fidava di nessuno, tantomeno delle donne, eppure aveva scelto in intraprendere e continuare il suo cammino di auto- esplorazione con una donna; si disperava per la mancanza di amore, eppure, mantenendo l’assoluta convinzione che i rapporti umani siano una giungla e che bisogna solo essere più veloci a “sbranare” per non soccombere, si imbarcava sempre in relazioni catastrofiche, che, prima ancora che lui le iniziasse- sempre con la riserva mentale di dover distruggere prima di essere distrutto e di dover andarsene prima di essere abbandonato e chiaramente di dover imporre un tradimento prima di subirlo- non avevano la minima possibilità di durata solo prendendo in considerazione i soggetti coinvolti. Ed , infine, derideva il test, eppure lo faceva.
Così, per tutto questo, per il materiale portato di volta in volta nel setting, unitamente alla modalità stessa che l’ utente aveva di raccontare, non avevo bisogno di aspettare che lo psicologo di riferimento sgrigliasse il test del mio cliente e ne discutesse con me, per capire che, per quanto si sarebbero, di certo, chiariti anche alcuni aspetti della sua struttura di personalità,sicuramente ci sarebbe stato, contestualmente, il riscontro di una sintomatologia depressiva. Nonostante non desse a se stesso o alle relazioni d’aiuto nessuna possibilità, Fabrizio continuò a venire agli appuntamenti . Diceva di non aver ormai alcuna relazione interpersonale Ripeteva che il setting era ormai l’ unico luogo in cui si sentiva libero di parlare, “con brutale sincerità” di sé, della sua vita, del suo fallimento della vergogna e soprattutto libero di potersi fare domande e tentare di trovare risposte sulla Vita e sulla Morte, sull’ Odio e sull’ Amore, sulla Felicità e sul Dolore, della Verità e della Finzione.
In buona sostanza Fabrizio aveva bisogno di sapere e di sentire che il Setting poteva essere li luogo dove portare avanti senza subire alcun giudizio, senza paura ed in totale autenticità la personale ricerca di Senso. C’è da dire che l’utilizzo da parte mia della riformulazione, determinava sempre nel mio utente una reazione di fuga che si snodava sempre seguendo lo stesso schema: Al mio riformulare e rimandare, quindi, tutte le incoerenze presenti nel suo racconto, l’ utente reagiva sempre con un momento di silenzio e poi con un radicale spostamento della narrazione su un'altra questione. Al mio ulteriore rimando circa la sua attitudine comportamentale rimaneva di nuovo in silenzio, per poi continuare a mantenere la sua attenzione sul nuovo argomento Tale aspirazione, pur non essendo una vera e propria via di fuga, confermava comunque che, per la sua forte resistenza al cambiamento, il mio cliente, di fatto, risultava essere come cristallizzato nelle sue posizioni.
E’ lecito supporre che la profonda mancanza di consapevolezza rispetto ad una personale assunzione di responsabilità fosse da ascrivere tanto allo stato depressivo quanto a quella rigidità che, essendosi trasformata in una qualità della sua struttura, impediva concretamente al mio utente di attivare un cambiamento reale della propria vita. Intanto, nel corso degli incontri, Fabrizio aveva continuato a snudarsi sempre di più tanto da spostare l’ oggetto del suo narrare dal racconto di un dolore specifico al racconto del dolore della vita stessa! Sembrava ansioso di incontrarmi poiché ogni tanto portava con sé una cartellina con dei ritagli di articoli e recensioni che “ gli avevano dato coscienza” e mi voleva dire come e perché. Il racconto era sempre molto pieno di contenuti, con un modalità espositiva che , quando aveva ad oggetto la sua personale esperienza, si trasformava in quella che in Analisi Transazionale viene indicata come “ la transazione della forca” Perciò, in questa relazione d’ aiuto, agire eticamente senza tradire la fiducia che il cliente stava acquisendo sia in me che nella relazione, senza tuttavia venire meno ai limiti imposti alla mia professione dal codice deontologico, significava definire un obiettivo che fosse possibile non solo per il mio cliente, ma per l’ intervento di counseling in se stesso.
In tutta quell’ abbondanza di materiale che Fabrizio aveva gradatamente e costantemente portato nel colloquio, l’unica cosa su cui non aveva mai cambiato opinione era la sua ricerca di Senso. Il fatto che buona parte di ogni colloquio era dedicato a questo, perché nell’ atto stesso del cercare nelle pagine di un libro come parlandone nel setting Fabrizio diceva di trovare sollievo al suo dolore, aveva, di fatto, trasformato il suo comportamento in una richiesta di aiuto per essere agevolato nel suo percorso di auto esplorazione. Seguendo questa intuizione proposi al mio cliente di dare agli incontri l ’imprinting di un setting di counseling filosofico in considerazione dei contenuti che venivano affrontati in ogni appuntamento. Questa ipotesi di intervento , a mio parere, innanzitutto rispondeva all’esigenza etica di accogliere un aveva il vantaggio di assecondare Seguendo questa intuizione e, soprattutto senza mai dimenticare l’ importanza dei libri in questa relazione d’aiuto, proposi al mio cliente di dare agli incontri unitamente a quello di “biblio-counseling” l’ imprinting di un setting di counseling filosofico in considerazione dei contenuti che venivano affrontati in ogni appuntamento. Il cliente accettò la mia proposta dicendo che l’unica cosa che aveva sempre voluto nella vita era arrivare all’essenza delle cose, Questa ipotesi di intervento , a mio parere, innanzitutto rispondeva all’esigenza etica di accogliere un bisogno preciso manifestato costantemente dal mio utente e, allo stesso tempo, aveva il vantaggio di fornire al cliente un impegno costante che lo aiutava da un lato a contenere quegli accessi depressivi che spesso gli facevano passare “ buttato sul letto” gran parte della giornata, e, dall’ altro, mantenendone la fiducia e l’abitudine mentale ad una relazione di aiuto, ad intraprendere, quando se ne sentisse pronto, il passaggio ad un’ intervento operativo più specifico.
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