fresche ri-letture... a caso, ma non troppo
2. Paul Watzlawick
Ribadisco l’intento: provare a sentirci capaci di libertà, a respirare meglio anche con la calura estiva ri-avvicinandoci a qualche suggerimento, intuizione, alla saggezza e alla scienza dei grandi maestri.
Credo, convinta, che il benessere e l’agilità di affrontare la vita nelle scelte fondamentali come nella realtà quotidiana, abitino in noi e costituiscano le nostre intime risorse e se a volte neppure le conosciamo o non le ri-conosciamo può essere un efficace esercizio quello di tornare con la mente a ciò che ha avuto almeno una volta il potere di rinvigorirci: un’esperienza, un evento, una riflessione, talvolta una parola.
Ognuno di noi si costruisce i propri sostegni ed è fondamentale che li serbi ben riposti in una parte accessibile di sé, accessibile sì ma non troppo esposta, non troppo visibile e interpretabile dal mondo esterno perché quei sostegni non perdano la loro straordinaria efficacia.
Anche le parole del poeta, quello autentico che vive su di sé il peso e la bellezza di tutta l’umanità, hanno questo grande inesauribile potere di aiutarci a definire in estrema sintesi e come meglio non si potrebbe il nostro personale sentire...ma qui non si tratta del ruolo e del valore meraviglioso della poesia, piuttosto di contributi sapienti alla conoscenza di noi, attraverso lo scandaglio di studiosi ed esperti come appunto Paul Watzlawick, verso il quale ognuno di noi come persona e come counselor sicuramente prova gratitudine.
Scelgo dal prezioso volumetto Istruzioni per rendersi infelici, Feltrinelli, 2006 un passo tra i più noti e apparentemente - ma SOLO apparentemente - divertente.
Pag. 22:
“sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. risponde l’uomo e si mettono a cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio sicuro di averla persa lì. L’altro risponde: <no, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio.>
È la chiave perduta, ovvero “ancora lo stesso”. Dietro questa semplice espressione si cela una delle più efficaci e funzionali ricette per le catastrofi, un gioco col passato conosciuto dai nostri animaleschi antenati fin dal quinto giorno della creazione [lbidem].
Animati da buona e sincera volontà a capire, possiamo chiederci quale sia di volta in volta il nostro lampione, che cosa ci renda ubriachi, se abbiamo talvolta anche noi avuto o cercato la collaborazione del poliziotto, possiamo riflettere sulla fioca luce del lampione e il troppo buio.
Sempre per farci chiarezza, proviamo ad interpretare:
-la condizione dell’ubriaco è la condizione di chi ha oltrepassato un suo limite alla ricerca di un piacere, di libertà, di un’emozione di gioia, consapevolmente o meno, per libera scelta (primo abuso di alcool, magari cercato per fare un’esperienza nuova, o per dimenticare) o per abitudine, un condizionamento ormai consolidato, che vince ogni debole tentativo di resistenza
- il lampione, metafora di ciò che, nel mondo esterno, può apparirci come un aiuto anche se debole proprio come la luce che il lampione diffonde attorno a sé e poco più in là
- il poliziotto, volenteroso e sinceramente disposto ad aiutare, tanto che dopo aver collaborato alla ricerca seguendo le indicazioni dell’ubriaco, prova a fare il punto della situazione, ad individuare una possibile altra scelta, dunque altra soluzione
- la chiave. Forse è la chiave dell’interpretazione: che sia dell’appartamento o dell’auto è inequivocabilmente la metafora di ciò che consente il ritorno alla propria dimensione, è la metafora del ritorno a casa.
Se abbiamo deciso di tornare a casa e se per noi questo è un valore primario, la nostra stessa determinazione e motivazione ci daranno sicurezza, coraggio e dunque anche...la forza di attraversare la zona là dietro, troppo buia, fermandoci di tanto in tanto ad ascoltare la voce del poliziotto –dentro di noi– che ci chiede dove abbiamo perso ciò che ha il potere di ri-condurci a ciò che vogliamo.
Di Watzlawick Umberto Galimberti ha scritto (la Repubblica, 04.04.2007, Paul Watzlawick , Se le idee si ammalano):
“è lo psicologo che meglio di tutti è riuscito a coniugare i problemi della psiche con quelli del pensiero e quindi a sollevare le tematiche psicologiche al livello che a loro compete, perché ad “ammalarsi” non è solo la nostra anima, ma anche le nostre idee che, quando sono sbagliate, intralciano e complicano la nostra vita rendendola infelice.”
Cordialissimamente
Giancarla Mandozzi
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