LE ANTINOMIE NEL COUNSELING SCOLASTICO: rischi e comodità della “via di mezzo”

Inviato da Nuccio Salis

school counseling1. Mi occupo di counseling scolastico da circa 3 anni. L’esperienza con le nuove generazioni mi sta insegnando tante cose, mettendomi a contatto con i vissuti dei giovanissimi, così frequentemente caratterizzati da una solitudine esistenziale di fondo, da un’anomia disorientante e da una inevitabile ricerca di compensare e dimenticare la disperazione autoalimentandola mediante comportamenti autodistruttivi ed eterolesivi, condotte disturbanti e antisociali, talvolta oltre il limite legale consentito.
Generare spazi di accoglienza e di ascolto per comprendere tale fenomeno, nonchè le sue crescenti e preoccupanti manifestazioni di disagio, risulta sempre più un dovere da parte dell’istituzione scolastica, che si adopera nel tentativo di interpretare tale questione ed offrire un qualificato sostegno nell’ambito delle sue risorse, dei suoi limiti e dei compiti formativi ai quali è chiamata ad attendere e soddisfare.
Diverse scuole stanno tentando di reagire a questa situazione implosa ormai da diverso tempo, nell’ambito delle nuove generazioni, per le quali occorre una risposta radicalmente innovativa in termini didattici ed esperienziali circa l’organizzazione, i contenuti e l’intero sistema del rapporto “scuola-allievo”.

 

La scuola, spesso isolata se non addirittura osteggiata da un contesto socioculturale e politico che sembra in molti casi aver bandito le pratiche educative e l’interesse che si dovrebbe meritatamente rivolgere alle dinamiche generazionali, cerca a suo modo, con enorme dispendio talvolta eroico di sforzi e di risorse, di gestire il continuo e precipitante fenomeno di una dichiarata inimicizia verso la scuola da parte di una abbondante moltitudine della popolazione studentesca, a qualunque livello di istruzione essa si situi. L’impopolarità della scuola, a torto o a ragione, è legata al fenomeno della caduta motivazionale verso lo studio, che alimenta la dispersione scolastica, che accresce di conseguenza il disagio personale, che limita la difficoltà emancipativa dei ragazzi, che fa lievitare la moltitudine dei “non pienamente scolarizzati”, che di certo non costituiscono una incoraggiante percentuale in merito a certi urgenti bisogni emancipativi di una società che troverebbe proprio nella cultura e nell’istruzione molte delle soluzioni esistenziali al disagio personale.
La percezione dei ragazzi, naturalmente, è diversa, ed è oltremodo sostenuta e corroborata da molti idoli cartacei la cui popolarità assume innegabilmente una valenza formativa negativa per i ragazzi. L’istruzione ne esce sconfitta e mortificata: ciò che rende vincenti è il successo, il denaro, il possesso, la popolarità, non importa a quale prezzo e per quale motivo.

 

2. Ma a parte queste riflessioni, ciò che spesso emerge dall’esperienza del counseling scolastico, non è mai (per fortuna) una ricetta precotta che si somministra come inconfutabile soluzione a tutta questa miriade di problematiche. Piuttosto, tale esperienza pone di fronte la teoria più consolidata ed accreditata ad un riaccomodamento nell’ambito della complessità entro cui è costretta a confrontarsi. L’articolata rete ambientale dei rapporti costituisce il campo fenomenico entro cui si esperisce la propria opera come agenti costruttivi e ri-costruttivi insieme a tutti gli attori partecipanti dell’immenso palcoscenico.
Per tale ragione, mi sento di evidenziare come molte delle questioni evinte dai propri paradigmi applicati in situazione, siano riconducibili al noto tema dibattuto sulle antinomie rilevate nelle pratiche sia educative che didattiche.
E già, nemmeno l’intervento di counseling pare sia sfuggito a questo regolare e ricorrente fenomeno!
Intendo che molte delle legittime e doverose domande da formularsi, vertono inevitabilmente su tematiche le quali, avendo una decisa declinazione pedagogica, assumono quel noto taglio dicotomico che in genere può dividere finanche se stessi, inducendoci a meditare circa le nostre personali percezioni in merito a cosa sia più opportuno fra due possibili soluzioni che, se apparentemente entrambe efficaci e bastevoli a se stesse in termini di sufficienza autoreferenziale, si scoprono essere anche opposte ed inconciliabili, soprattutto se considerate in modo assoluto. La difficoltà consiste dunque nel guardare a due proponibili prospettive solutorie, considerate entrambe valide, ma inefficaci se assolutizzate. Ne consegue un tentativo di avvicinarle, dapprima concettualmente prima che tradurle in termini esperienziali ed operativi, attenuandone in un certo senso la loro forza semantica prima e pragmatica poi, nel tentativo di miscelare una sorta di efficace compromesso che soltanto ad uno sguardo ingenuo può risultare come una sommatoria semplice. Tale processo rappresenta in vero un’autentica alchimia, dovuta all’impegno nel cercare un’alternativa solutoria, partendo da ciò che già si può pensare e sperimentare. Purchè, naturalmente, questo non ci esimi dal pensare comunque in modo complesso, laterale, inter-sistemico ed ecologico; riparandoci dal rischio illusorio di aver trovato quasi una sorta di magica scappatoia. Non si tratta di semplificare due parabole e trovarne un punto di congiunzione, si tratta propriamente di non dimenticare il largo margine di aleatorietà ed incertezza che il percorso di counseling costituisce, richiedendo continuo monitoraggio e sistematica e flessibile sperimentazione.

 

3. Tali dicotomie, personalmente riscontrare nell’ambito dell’esperienza di ascolto e sostegno interpersonale, desidero argomentare al fine di estrapolarne una succinta riflessione, aiutandomi col seguente elenco:

 

.A) Autorivelazione / Discrezione: È questo uno degli aspetti decisamente più controversi e dibattuti sul processo della relazione di aiuto, e che divide gran parte degli operatori dell’ascolto. Se sia o no opportuno, e in quale misura e circostanza, rivelare qualcosa di se, da una parte trova sostenitori convinti che mediante questa possibilità è possibile mostrarsi con piena autenticità e trasparenza, offrendo il massimo calore ed empatia, ridimensionando un certo disagio percepito dovuto dall’asimmetria di ruoli nel rapporto counselor-cliente; dall’altra parte, chi invece paventa il rischio di concedere un equivoco spontaneismo amicale, poco professionale e poco protettivo sia per l’helper che per la persona aiutata, determinando perdita dei confini di ruolo e un’eventuale difettosa gestione del controtransfert.
Non v’è dubbio che nessuna delle due opzioni possa suggellare una sorta di disposizione dogmatica inviolabile. Sarà il contesto, il clima relazionale costruito, il livello di fiducia e di apertura che va maturando, a portare l’operatore a scegliere l’opzione e la strategia più opportuna, che in ogni caso non sfugge alla sua rigorosità professionale.

 

.B) Strutturazione / Libertà: Lo spazio dell’ascolto deve essere certificamente strutturato o può invece cambiare di volta in volta quasi seguendo l’estemporaneità delle contingenze? Un principio generale potrebbe essere che attraverso il setting si intende offrire una cornice spazio-tempo che comunichi protezione, regolamentazione dei rapporti, impegno contrattuale da ambo le parti. Consiglio questo genere di procedura con gli adolescenti.
L’opzione libertà potrebbe non essere intesa del tutto come l’antitesi della seconda, ma si tratta di non contrattare regolari e prevedibili spazi, lasciando al caso, all’improvvisazione e al bisogno del momento la gestione dell’attività dell’ascolto. In tal caso vi è chi avanza il rischio dell’assenza di una cornice che dia sicurezza, senso di stabilità e continuità, che finisca per assecondare la dirompenza adolescenziale e la tendenza a frantumare l’aiuto strutturato, a manipolare l’adulto, ad auto-convincersi di avere un arbitrario controllo della situazione.
Un opportuno precetto da considerare può consistere nel ribadire l’importanza di poter contare su una struttura certamente flessibile, costruita nello spazio-tempo secondo una reciproca disponibilità concordata; tenendo presente, d’altra parte, l’importanza del “giocare in casa”, di ricevere cioè nei luoghi deputati alla funzione di consulenza e sostegno che si è scelti. Non è escluso che potrebbero verificarsi casi eccezionali che possono richiedere, per varie e non sempre classificabili ragioni, la fruizione di spazi ulteriori, e ciò è pensabile, a patto che l’attività si svolga comunque nell’istituzione, evitando assolutamente uscite o scampagnate, col rischio di attivare “giochi” transazionali, come per esempio quelli fra Salvatore e Vittima.

 

.C) Contenimento-attaccamento / Separazione: Per spezzare la dipendenza, sotto qualunque forma essa si presenti e si radichi nel ricevente aiuto, questi viene accolto inizialmente all’interno di un modello che orienta alla vita proteggendolo ed eccitando in egli potenzialità e risorse di autonomia. Questo ci porta inevitabilmente ad investire un ruolo “genitoriale”, che deve espletarsi nella consapevolezza di avere un termine, una scadenza non fissata e prestabilita con assoluta certezza, ma definita in un processo relazionale come strumento che spinge e che incoraggia all’azione. In altri termini, se vogliamo, possiamo ravvisarne due istanze: quella del proteggere, avvicinare e tenere a se, e quella dell’allontanare, di incoraggiare all’esplorazione e alla fiducia in se nel contatto col mondo.
Esiste una fortunata espressione, si tratta del cosiddetto “contenimento amorevole”, che racchiude il delicato e fondamentale equilibrio fra dare sicurezza manifestando fermezza, senza equivocare questo termine ma sforzandosi, anche se può sembrare fuori moda, a pensarlo come un impegno doveroso di qualunque adulto con funzioni educative, tenuto quindi ad offrire un modello coerente che evochi e stabilisca una sana disciplina, concernente nel rispetto delle regole comuni e condivise sia da norme formali che da abitudini e convenzioni. Tutto ciò mediante l’immancabile rifornimento di segni ed atti di sincero affetto e di immancabile sostegno umano.

 

.D) Linguaggio contemporaneo (digital) / Tradizione: Come parlare coi ragazzi? Come esprimersi? Fino a che punto è possibile rispecchiare alcuni contenuti del loro slang ed usarli strategicamente senza apparire grotteschi ed innaturali?
Ero adolescente negli anni 80, e quando sentivamo un adulto pronunciare la parola “bestiale”, ci sentivamo imbarazzati al posto suo. Difficilmente potremo essere smentiti se dicessimo che ciò che conta è fondamentalmente la spontaneità, che pur tiene conto del possibile divario fra registri e codici verbali. Credo che l’importante sia essere semplici, forse lasciarsi scappare qualche inflessione dialettale quando serve, se è efficace, per rafforzare il concetto, creare un congruente umorismo, senza per questo dover fare i compagni di merende, assumendo cioè il rischio di essere prevaricati mentre si crede di conquistare la simpatia dei ragazzi.
Il counselor scolastico non è un amico del ragazzo!
Per poterlo dimostrare non è necessario affermarlo e puntualizzarlo: se non si indossano cappellini al contrario, non ci si presenta con pantaloni da rapper o borchie da vitello sul naso è già un buon segno di distinzione generazionale. Non si tratta di essere austeri o forzatamente distanti, ma di rammentarsi che dietro tutta quella corazza di spavalderia e di ostilità al mondo degli adulti, si nasconde proprio la ricerca dell’adulto! Il giovane, oggi, ahimè, si guarda intorno e si chiede che fine abbiamo fatto!
Va bene dunque aggiornarsi, conoscere il loro mondo ed essere vicini o perché no prossimi anche ai loro gusti o preferenze, senza dimenticare di avere un capitale culturale di diversa fattura, da utilizzare per arricchire il rapporto col giovane e non certo per svilire o deprezzare chicchessia. Tutti siamo OK. Insomma, né ostinati conservatori e nemmeno irriducibili e accaniti internauti perdigiorno il cui unico interesse è scaricare giochi e suonerie per l’I-pod.

 

4. Con tali riflessioni mi auguro soprattutto di aver sollecitato ulteriori curiosità e domande che attendono la nostra ricerca, la nostra esperienza e il nostro scambio di impressioni, contributi, dati, vedute ed opinioni personali.
In fin dei conti, è proprio questo margine di confronto e discutibilità che rende ai miei occhi appassionante questa professione.

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