LOGICA E IMMAGINAZIONE SI CAPISCONO? Ipotesi e auspici di integrazione

Inviato da Nuccio Salis

uomo benessereLa percezione del mondo che ci circonda è legata alle nostre proiezioni emotive ed esperienziali, è cioè costruita dai nostri bisogni, aspettative e motivazioni. La nostra visione delle cose dovrebbe renderci più accurati, nel tempo, circa la valutazione della stessa, e non soltanto; coi vari passaggi evolutivi che ci caratterizzano dovremmo riuscire addirittura a ricostruire consapevolmente una realtà che non può più sovrastarci soltanto con i suoi aspetti più salienti e marcatamente in grado di impressionare i nostri sensi.
Da adulti, in pratica, si dovrebbe riuscire ad uscire sia da circuiti di pensiero egocentrico intriso di proiezioni soggettivo-affettive interne, sia da rapporti oggettuali con la realtà tipicamente stereotipi, ritualistici e meccanicamente ripetitivi. In pratica, la nostra mente dovrebbe evolvere, e maturare strumenti di controllo, metacognizione e pensiero laterale molto più sofisticati rispetto ai processi psichici primari naturalmente attivati durante l’età evolutiva, specie quella infantile.


Se ciò, dopotutto, avviene comunque in termini logici, causalistici e deterministici, permettendo cioè lo sviluppo delle abilità razionali, al tempo stesso sembra che la mente, che da una parte acquista importanti progressi nel suo repertorio di competenze, d’altra parte sembra proprio che involva o si blocchi nell’ambito della percezione legata maggiormente all’intuito e all’immaginazione.
Ma diventare logici, razionali, accedere a un livello di controllo e monitoraggio della realtà non più viziato da estensioni animistiche e credenze, non dovrebbe anche aprirci ad un rapporto con la realtà più maturo e cosciente? e di conseguenza, questa condizione, una volta raggiunta, non dovrebbe favorirci una libertà di espressione qualitativamente superiore rispetto a chi, per condizione evolutiva, si trova nella condizione di disporre di un ventaglio limitato di scelte?


Insomma, la logica, l’oggettività e l’obiettiva e completa raccolta sulle informazioni rilevate dall’ambiente che ci circonda, dovrebbe farci acquisire un privilegio di non poco conto, soprattutto in merito ad una lucida e profonda visione di se. Se così fosse, la relazione che svilupperemo con la realtà ci aiuterebbe a guadagnare quella dimensione ascetica di pace, benessere interiore e sensazione di equilibrio, che in genere è invece il paradiso perduto che conduce molti di noi alla ricerca per il ritrovamento dell’ospite rifiutato.
Se l’avvento e l’utilizzo degli strumenti del pensiero secondario fossero sufficienti a garantirci lo sviluppo di un crescente senso di appagamento, gioia e pienezza vitale, nessuno si troverebbe nella situazione di riprendere da se stesso quella parte cacciata e discriminata, e che deve il suo ostracismo esattamente dalla sua metà ingannata nel pensare di bastare a se stessa, cioè la ragione. Essa, impropriamente esaltata da una cultura segnatamente dualistica e fanaticamente positivista, genera contro se stessa l’illusione di poter esercitare un’efficace gestione della complessa “macchina” sociopsicobiologica dell’individuo umano, salvo poi scoprire a sue spese di avere risorse limitate ed incomplete, non soltanto per prendere possesso dei dati di realtà, quanto soprattutto per poter conquistare un livello di quiete interiore ed omeodinamica al tempo stesso.


In pratica, si genera un curioso paradosso secondo il quale, nel raggiungere ragguardevoli traguardi in merito ad importanti aspetti funzionali della propria mente, si perde al tempo stesso quella capacità di infatuarsi del mondo secondo una rinnovata visione poetico-romantica, dove i parametri legati all’immaginazione, all’intuito e all’emozionalità istintuale dovrebbero risultare altrettanto importanti, almeno in una prospettiva di evoluzione integrale del soggetto umano.
Personalmente non credo che tutto ciò avvenga per istanza naturale, come se questo percorso fosse inscritto nella genetica umana. Propendo più facilmente a pensare che la natura abbia invece ammesso e previsto la sintesi e che l’uomo abbia creato per contro la dualità. Opponendo, per concetto, la ragione al mondo enigmatico dell’intuito e della trascendenza, l’uomo ha promosso la prima al rango di una despota regina la cui parola è Legge, e detronizzato la seconda dal suo importante ruolo di eleggere e promuovere l’essere umano alla completa consapevolezza di se.


Il genere umano secolarizzato, invece, ha diviso ciò che l’Intelligenza Cosmica Onnicreante ha generato unito. L’intero percorso di scolarizzazione obbligatoria, per esempio, privilegia l’addestramento dei processi e delle attitudini mentali: il calcolo, la memoria, la ripetizione meccanica, il controllo del dato, l’attenzione e la concentrazione. L’impostazione socio-culturale prevede un cammino formativo che sollecita la disgiunzione fra le parti che per loro natura sono già in un rapporto di interdipendenza. E ciò scinde l’essere umano da se stesso, istigandolo a rinnegarsi e a disconoscersi, ad evirare la coscienza di se come essere infinito e trascendente.
La metafisica ci insegna invece che è l’uso della nostra intrinseca capacità a sublimare la nostra natura biologica che può offrirci l’esperienza della felicità. Cioè l’utilizzo dell’antenna emisferica destra che disattiva gli schemi della controparte analitica, come dimenticandola. In pratica “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” (da Matteo 6,1-6.16-18)


Invece, ciò che evolutivamente abbiamo chiamato progresso, dunque, per tradizione si è essenzialmente riferito all’espressione della sfera cognitiva, e sulla base di questa si è strutturato un concetto unilaterale di normalità e sano psichismo che ha distinto le persone in meritevoli e non meritevoli di promozione scolastica, avanzamento di carriera e riconoscimento sociale. Relativamente di recente, il genere umano ha cominciato a sospettare di questa tendenziosa rappresentazione dell’individuo, e curiosamente, nello scoprire di aver raggiunto livelli considerevoli di evoluzione nei processi cognitivi, si sta rendendo conto che imboccare unicamente questa strada significherebbe sradicarsi dalle proprie origini e dissacrare la propria profonda natura, perdendo il senso intrinseco e personale che ciascuno porta con se.


Insomma, siamo diventati adulti, per scoprire che dovevamo restare bambini. O quanto meno, che uscendo dalla fase infantile abbiamo gettato, come si suol dire, il bambino con l’acqua sporca. Decentrandoci da una visione ellittica abbiamo anche rinunciato al piacere del gioco, del sogno, dell’immaginazione, di uno spontaneismo verace, di una tensione sperimentale, sia operativa che espressa mediante i “perché?”
Spesso, invece, dell’infanzia ne abbiamo conservato le tendenze possessive egocentriche, le manchevoli o rudimentali abilità di mediazione, la paura dell’estraneo.
Siamo evoluti per scoprirci spiritualmente poveri e pieni di problemi generati proprio da quella mente logica che tanto osanniamo ed incoroniamo come fosse l’unico baluardo di salvezza umana.


E ciò, infatti, si è riflesso anche in campo macrosociale, poiché il progresso tecnicista e meccanicistico costruito dall’uomo dimostra un imponente potere alienante sull’individuo; e continua a porre in un deleterio dislivello il grado di evoluzione tecnologica con quello etico e spirituale. Il primo cresce e il secondo decresce, esattamente come sta capitando alla mente dell’uomo. Ella, di fatto, rifornita esclusivamente nell’emisfero sinistro della logica e del calcolo, ma in modo disgiunto dall’emisfero destro come “meta-Io” trascendente, non può che asservire tale calcolo alla logica del profitto e dell’utilitarismo senza scrupoli che sta conducendo inesorabilmente alla rovina la vita su questo pianeta. Eppure lo si sta facendo con impeccabile logica.


E con la stessa riverenza inculcataci verso la logica, spesso, anche in sede di servizio operativo dell’aiuto, conduciamo il nostro sostegno alla persona nel tentativo di ricreare nel soggetto una visione che sia più possibile vicina ad un concetto di tangibilità e controllo. Poiché l’idolatria per il controllo è diventata la bandiera della cultura occidentale, e non c’è cellula o neurone che non ne sia pervaso. Ed è secondo questi parametri che si cerca di ricondurre una persona in stato di difficoltà esistenziale, all’ovile apollineo della concretezza, della sicurezza e della prevedibilità. Già, perché se il sonno della ragione genera mostri… figuriamoci quello dello spirito!

Potrebbero interessarti ...