“ Salutare correttamente significa vedere l’altra persona,
diventarne cosciente come fenomeno,
esistere per lei ed essere pronti al suo esistere per noi”
E. Berne – “ Ciao!…E poi?”
“ Viveva nel mondo dell’approssimativo,
dove si saluta nel vuoto, si giudica nel falso…”
M. Proust – “ Alla ricerca del tempo perduto “
( Vol. II All’ombra delle fanciulle in fiore )
Gli stimoli hanno la funzione di spingerci oltre il normalmente dovuto oltre che rafforzare e proteggere la nostra integrità fisica e mentale. Nascono, nell’incontro tra noi ed il mondo, quando in esso intravediamo qualcosa che ci manca e che vorremmo o anche che non vorremmo ma che ci è comunque necessaria per vivere e sopravvivere.
Ne abbiamo bisogno però anche per l’inazione, per riflettere , per riposare. E’ ancora uno stimolo oppure un eccesso di stimoli che ci muove alla ricerca del silenzio, di uno spazio abitato solo da cose non inanimate, nel senso di non insignificanti, ma discrete, in cui poter ritrovare il dialogo con noi stessi, quel dialogo di cui a volte perdiamo le tracce quando le voci dell’esterno diventano ingombranti..
Altre ancora sono le spinte che vengono dal nostro mondo interiore. Come il mondo materiale anch’esso, se non alimentato e protetto ma soltanto utilizzato, si svuota senza più rigenerarsi. Sempre uno stimolo è l’origine del suo rinnovamento, anzi ne è uno di tipo particolare, quello che un individuo può ricevere solo da un suo simile: il riconoscimento.
Esso soddisfa un bisogno che riguarda il senso d’identità personale, contribuisce a costruirlo e a confermarlo o ad indebolirlo o addirittura cancellarlo. Senza riconoscimento lo sviluppo psichico, e spesso anche fisico, della persona avviene come quella di una pianta che più cresce e più si avvolge su sé stessa, una pianta che nasce già secca, che mai conosce aria e luce .
Questo bisogno è tanto forte che ogni genere di riconoscimento è preferibile a nessun riconoscimento. L’indifferenza, com’ è ben noto, produce danni alla struttura emotiva di un bambino più di un rimprovero o di un diniego. L’Analisi Transazionale dice che quel gesto o parola con cui trasmettiamo all’altro che ci siamo accorti di lui o di lei in quanto persona ha valore quanto una carezza, proprio la carezza data ad un bambino. Pertanto meglio carezze negativeche nessuna carezza. E’ così per il neonato, per il bambino, per il giovane, per l’adulto. E’ un aspetto delle relazioni umane che accompagna la persona per tutto l’arco della sua vita e che è il segno evidente della responsabilità che ci assumiamo ogni qual volta comunichiamo. Da questa ottica la comunicazione è chiedere, ricevere e dare riconoscimento, di qualsiasi genere.
Aspirare a questa forma di individuazione, che è desiderio ed urgenza di comprensione e non di pura identificazione, vuol dire chiedere a chi ci sta di fronte uno sguardo o un sorriso o una parola che ci segnali che, in qualche modo e in qualche misura, esistiamo.
Dire ad un altro essere umano “ Esisti” oppure “ Non esisti” è tra le maggiori responsabilità a cui siamo chiamati ed essa cresce quanto piùaumenta il grado di dipendenza dell’altro nei nostri confronti. Se anche l’estraneo ci chiede, direttamente o indirettamente, di essere riconosciuto tra i tanti figuriamoci l’entità della richiesta del figlio al genitore, del dipendente al dirigente, del giovane all’anziano, dell’alunno al docente. Insomma di chi, in quel momento ed in quella relazione, dipende.
La fame di riconoscimento è lo stimolo che ci spinge verso mete sempre diverse e alte. E’ la molla che, se ben utilizzata, rende migliori gli uomini e le società.
Questo bisogno presenta però le sue insidie in cui di tanto in tanto rischiamo di inciampare. L’impegno e l’urgenza a soddisfare questo bisogno infatti possono in alcuni momenti dare vita a comportamenti inopportuni rispetto alle proprie ed altrui attese con il rischio che un conseguente insuccesso materiale, affettivo o sociale amplifichi il bisogno inappagato, determinando così un vortice in cui si perde il contatto con la realtà effettiva
Fa altrettanto danno a se stesso chi si difende da questa naturale esigenza, chi la nega e rinnega, chi spende le proprie energie per ingannarsi dicendo a sé stesso non riguarda me, io sono indipendente, autonomo, autosufficiente.
Una forma di prevenzione è anche non riconoscere gli stimoli che coloro che ci sono accanto ci inviano, non apprezzare il valore che essi ci attribuiscono come mariti o mogli, genitori o figli, amici o parenti, colleghi di lavoro o semplicemente come persone. Non accogliere l’essere riconosciuti può avere origine da una disabitudine a vedere confermata la propria identità o dall’inquietudine suscitata dall’essere visti. Se è vero che cerchiamo costantemente riconoscimento è altrettanto vero che sappiamo bene quanto ottenerlo comporti una responsabilità: infatti si esce dall’anonimato, non si è più l’ultima ruota delcarro, si è in bella vista. Si diventa riferimento per qualcuno. Si riceve riconoscimento, è vero, ma si è chiamati anche a darlo.
Né riempiono la nostra vita le carezze negative, quelle critiche o veri e propri rifiuti ( non a ciò che facciamo ma alla nostra persona nella sua globalità) che accettiamo senza reagire in quanto le riteniamo le uniche forme di riconoscimento a noi concesse. Le uniche di cui siamo degni, insomma.
Altro non c’è da fare che accogliere la necessità del tutto naturale, perché profondamente umana, di riconoscimenti positivie viverla utilizzando gli strumenti ( conoscenze, sentimenti, emozioni ) di cui disponiamo adesso, evitando così di sacrificarci dl bisogno, che se negato, risulterà sempre e comunque inappagato.)
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