La disciplina come pratica della libertà. Rigenitorializzare la società dopo il 68

Inviato da Nuccio Salis

disciplina1. La parola disciplina viene spesso equivocata come portatrice di un significato sinistro, evocatrice dei fantasmi delle autorità punitive ed ipercontrollanti. Nei processi educativi, il termine è diventato col tempo un vero e proprio tabù. L’educatore che sostiene l’importanza di ottenerla ed esercitarla è immaginato alla pari di uno squadrista senza scrupoli, insensibile ai bisogni di libertà e di emancipazione dei bambini o dei ragazzi. Essa è inquadrata, come al solito, dentro un limitato orizzonte dualistico, dentro il quale, si sa, nulla è confrontato secondo il concetto dell’integrazione quanto piuttosto secondo la logica dell’opposto e della negazione (cioè o Bianco o Nero). Ed ecco che allora il termine “disciplina” è intriso di un senso che lo distorce fino a farlo apparire come quel rigurgito di autoritarismo che si associa alla forza coercitiva di un soggetto in posizione dominante nei confronti di un soggetto posto in situazione svantaggiata e che per questo viene sottomesso e governato contro la sua volontà. In una società alla più completa deriva, che ha fatto delle regole un fastidioso corollario di decisioni comuni condivise, che rappresentano solo un ostacolo alle conquiste individualistiche dell’Ego, rappresentare regole basilari e cercare di farle anche rispettare diventa un compito impopolare, di difficile attuazione; ne sanno qualcosa tutti quegli insegnanti che solo per aver richiamato all’importanza ed al valore delle regole si ritrovano poi a subire aggressioni di ogni tipo da parte dei genitori dei loro studenti.


I principi promossi dalla società contemporanea sono in primis la ricerca di successo, il reperimento di facili scorciatoie per affermarsi e diventare popolari, il mantenimento dell’efficienza e l’attenzione a non “uscire dal giro”, l’ottenimento a qualunque costo di un posto al sole per esercitare potere e privilegi, la visibilità e l’apparenza prorompente per coprire il vuoto dei contenuti e la pochezza del pensiero e dello spirito. A fronte di tutto questo, come si può constatare, l’essere umano diventa inevitabilmente proteso verso la facilità nel corrompersi, schiacciare il suo prossimo senza pensarci due volte, violare regole elementari di convivenza civile che obbligherebbero a prestare attenzione verso i bisogni altrui. Queste, che ci piaccia o no farci caso, sono le caratteristiche ed i comportamenti maggiormente diffusi fra le persone, specialmente, com’è naturale conseguenza, nelle nuove generazioni, che fanno di giorno in giorno una robusta “colazione di cattivi esempi” dai loro partners genitoriali.
Le regole diventano solo una seccatura, un impiccio, e le istituzioni che a vari livelli le rappresentano (es: arbitri, magistrati, poliziotti, insegnanti ecc.) diventano rispettivamente “cornuti”, “disturbati”, “sbirri”, “severi” ecc.
Nel film di Antonio Albanese Cetto La Qualunque, il politico corrotto interpretato dal comico, quando esce dalla galera ritorna nel suo villaggio turistico abusivo, accompagnato da alcuni suoi pittoreschi leccapiedi affiliati alla ‘ndrangheta. Cetto si ferma ad osservare un canale di scolo e chiede che cosa è. Gli scagnozzi che lo seguono gli spiegano che è soltanto lo scarico fognario del villaggio. “Ma dove va?”, chiede lui, “A mare!” gli spiegano con tutta noncuranza i suoi. “Quindi è tutto regolare?” ridomanda lui. Certo, è tutto regolare, abusivamente regolare nel film, regolarmente abusivo nella realtà.

 

2. Anche se non è già più di moda, mi piacerebbe argomentare sul valore della disciplina intesa proprio come pratica della libertà. Nella visione dualistica della cosiddetta “generazione del 68”, la disciplina è soltanto ciò che è contrario alla pratica della libertà, e quest’ultima viene in buona sostanza confusa ed accavallata con l’atteggiamento anarchico. Cioè, secondo un semplice meccanismo di natura molto infantile ed immaturo, la libertà è espressa nel concetto “faccio quello che mi pare”, cioè mi trascuro nell’aspetto, mi accoppio sessualmente senza protezione, mi sballo con la droga, rifuggo a ogni genere di responsabilità. Dal punto di vista di una tradizionale analisi strutturale, Berne direbbe che queste sono le libertà del “demone”, semplice figura rappresentativa con cui il noto psicologo americano designava un aspetto funzionale dell’Ego Bambino che si prendeva libertà negative, cioè distruttive per se stessi e per gli altri. Ora, secondo altre tradizioni spirituali, assumere una forma di libertà distruttiva non è affatto una forma di libertà! Anche il filosofo Stuart Mill ci ha insegnato che la libertà è connessa alla dimensione della responsabilità, caratterizzata sempre da un valore che richiama la necessità del legame con “l’altro da noi”. Non siamo effettivamente liberi se all’interno dell’esercizio della libertà non è incluso l’altro, poiché sarebbe un’espressione di libertà antisociale, ed in questo modo, chi guadagna la propria libertà la deve perpetuare a danno del suo prossimo, secondo il principio “mors tua vita mea”, che non è affatto una edificante versione del concetto di libertà. Quindi, anche dentro questa spiegazione, si verifica palesemente improprio l’uso dell’aggettivo “libertà”. Quindi, cosa ci fa liberi? Personalmente, per il mio credo, non ci sono dubbi: la Verità.
Allora perché la rottura generazionale, peraltro necessaria, con un modello pregresso impregnato di eccessiva durezza, è andato a degenerare in un attuale ginepraio di rapporti invischiati, di rapporti famigliari e sociali senza rotte, senza obiettivi, senza costruttivi impegni reciproci?

 

3. Inforcando gli occhiali dell’Analisi Transazionale, come mi propongo quasi sempre di fare, ormai per singolare abitudine, potrei dire che la generazione “frusta e punizioni” è stata la generazione del “Bambino Escluso”, che ha ceduto il passo alla generazione del “Genitore Escluso”. La trama epicopionale si sarebbe cioè interrotta per via di un passaggio praticamente brusco di energia dallo Stato dell’Io Genitore a quello dell’Io Bambino, che la ha assorbita interamente, depositandola però, forse a causa di ferite dovute a ingiunzioni e rabbia vendicativa, nel profilo del Bambino Ribelle, dando luogo a distruttive agitazioni massificate, che segnavano il tramonto di un’epoca e l’inaugurazione di qualcosa di nuovo anche se non proprio definito. Cioè, sempre seguendo gli insegnamenti dell’AT, potremo dire che la “generazione del 68” ha scardinato il proprio Copione sociale ricorrendo però al suo Anticopione sociale, cioè riprogrammandosi sulla base di una oppositività che sostanzialmente non ha proposto valori di vera emancipazione dell’individuo umano, quanto lo conservava in una certa misura dipendente dal modello “nemico” da distruggere. Cioè, per opporsi al modello si ha bisogno del modello, mentre per promuovere un radicale cambio di rotta ed inaugurare una nuova stagione dell’umanità sarebbe stato necessario rivoluzionare fino in fondo i propri atteggiamenti nutrendo di energia non il “demone” quanto invece quella parte del Bambino Libero che sceglie una libertà che conduce al benessere attraverso la dimensione del gioco, della spontaneità, dell’intimità e della tensione creativa e rigenerante, che ci congiunge però al Bambino che sa anche riconoscere la dimensione di un Sé e di un “altro” nel piano sociale, ed allora si propone anche di negoziare attivamente regole comuni per adeguarvisi in vista della sua integrazione. Probabilmente questo è ciò che è mancato. La sfera dimensionale dell’Ego Bambino è diventata esclusiva, nel senso che ha emarginato gli elementi dell’Ego genitoriale, per paura di identificarvisi e somigliare così ai propri “persecutori” primari.
Sarebbe probabilmente ora, invece, di redistribuire armonicamente la carica libera fra i diversi stati dell’Io. E nel fare questo diventa allora puntualmente essenziale riconoscere ed ammettere la validità delle caratteristiche funzionali dell’Ego Genitore, rivalutando secondo accezioni positive le seguenti qualità:
_ Coerenza/Congruenza: Il modello genitoriale è credibile se manifesta la qualità della congruenza. Su questo punto non c’è dibattito. Se fumo, non posso chiedere o impartire ai ragazzi di non fumare. Deve esistere, salvo umani ed accettabili margini di fallibilità, una certa continuità sintonica fra ciò che si dice e ciò che si fa. Da questo atteggiamento scaturiscono esempi di innegabile e permanente valore formativo.
_ Rigore/Fermezza: Può essere considerata un’estensione della coerenza. Qualità anch’essa confusa con la rigidità, ha invece il pregio di espletare il proprio ruolo educativo tenendo fede alle regole ed ai valori che si professano. Cedere a capricci o ricatti morali significa svalutare i principi che cerchiamo faticosamente di trasmettere, perdendo inoltre credibilità. I bambini ed i ragazzi hanno diritto di poter contare su figure genitoriali sicure e protettive; questo è decisamente un modo per poterlo essere e comunicare.
_ Limite/Contenimento: Molti conoscono il libro di Asha Phillips “I NO che aiutano a crescere” e magari pochi “Elogio della disciplina” di Bernhard Bueb; che pur partendo da esperienze e culture differenti convergono sull’importanza del trasmettere ai bambini il senso del limite. Purtroppo anche porre limiti è stato erroneamente interpretato come intervento correttivo, che mina alla libertà del singolo, mentre è assolutamente la condizione base per aiutare il bambino a preservarsi da un futuro comportamento distruttivo e problematico, in cui scompare il senso della presenza dell’”altro”, col suo carico di esperienze personali ed affettive da cui poter eventualmente accogliere ed interloquire. Offrendo amorevolmente contenimento il bambino cresce sicuro, protetto, sviluppa la fiducia di base e vince le inconsapevoli ipotesi di abbandono. Riuscirà ad aderire in modo sano al piano di realtà, senza essere vinto dalle proprie pretese.
_ Asimmetria/Certezza dei ruoli: La grottesca ibridazione dell’amico-genitore, spacciata per una evoluta conquista ideologica, ha finito visibilmente per produrre generazioni senza rotta e senza bussola, che navigano a vista, non sapendosene che fare di una finta libertà che è invece soltanto una delega al loro senso di solitudine ed al loro diritto di avere rigorosi schemi di riferimento a cui ispirare le loro autonome iniziative. L’amico-genitore, figura utile solo all’adulto incapace di assumersi responsabilità e funzioni genitoriali, ha fabbricato sbandati seriali in cerca di figure educative sostitutive a quelle manchevoli, magari di dubbia o discutibile qualità formativa. Un rapporto educativo efficace, di contro, richiede specificità e chiarezza dei ruoli, onde evitare invischiamento e confusione, con conseguenze di disadattamento nelle dinamiche famigliari.

 

Questa è la mia banalissima e personalissima breve disamina storico-sociologica sul fenomeno del modellamento educativo intergenerazionale, secondo una lettura aderente all’ottica dell’impianto dell’Analisi Transazionale. Mi auguro possa aver sollecitato qualcosa al più attento lettore.

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