Ostacoli alla motivazione e all'autenticità del Sè: false credenze e distorsioni cognitive

Inviato da Nuccio Salis

ostacoloMotivare le persone a compiere dei passi verso i loro obiettivi, anche se loro stesse desiderano raggiungerli, è un traguardo che può implicare un impegno di natura assai complessa, sia da parte del facilitatore che si pone l’intento di promuovere tale esperienza limitandone gli ostacoli, sia da parte di chi si propone di compierla in prima persona. La ragione della difficoltà sentita da parte di chi è utente diretto del servizio di crescita e sostegno alla persona, consiste spesso nel constatare la discrepanza fra obiettivi sognati ed immaginati e possibilità concrete nel realizzarli. Ostacoli di varia natura si possono intromettere fra la visione della propria meta e l’entusiasmo e la tenacia che fanno da carburante per l’azione. Molto spesso, la constatazione di difficoltà inattese può condurre facilmente allo scoramento, o in altre occasioni ancora è solito osservare come l’emergere di nuove categorie di concetti e di bisogni, che sono necessari al proprio autentico soddisfacimento, anche se accolti sotto l’aspetto cognitivo, stentano a tradursi in comportamenti effettivi, secondo coordinate pianificate e dirette a un tentativo di soluzione.

 

In sintesi, accettare e persuadersi sulla necessità di nuovi orientamenti esperienziali o valoriali non è sufficiente, soprattutto se intervengono fattori inibenti, direttamente collegati a quella sensazione di angoscia e dissolvimento di sé, dal momento che le proprie stabili rotte ed i propri certi confini, anche se disfunzionali, cominciano a sgretolarsi una volta che si accetta di farsi spingere dalla corrente del processo di destrutturazione personale. In pratica, per immaginare e poter passare poi effettivamente al piano dell’azione, è essenziale prendersi cura delle proprie strutture percettive; conoscere cioè le modalità attraverso le quali diamo forma e valore alla nostra esperienza.

L’essere umano, infatti, essendo complesso, imponderabile ed imprevedibile, non è scientificamente indagabile secondo il modello riduzionista S-R scaturito dall’approccio comportamentista. Applicando lo schema semplicistico Stimolo-Risposta non potremmo che omettere il valore dell’esperienza interiorizzata ed elaborata dall’individuo umano, sia in termini percettivo-cognitivi che di vissuto affettivo. Avremo cioè un vuoto di conoscenza incolmabile, una tale povertà e miseria di dati e di informazioni da obbligarci a vederci per quello che non siamo, cioè organismi elementari semplici, dominati da impulsi meccanici, automatismi e comportamenti prevedibili. È questo l’essere umano? Qualunque persona di buon senso e di media cultura darebbe la sua saggia risposta.

In pratica, il passaggio dallo Stimolo che eccita la Risposta, all’emissione della stessa, poniamo anche in termini comportamentali osservabili, consiste in un flusso non diretto, giammai immediato e scontato, secondo lo schema obsoleto di ricerca S-R, di pieroangelista memoria; poiché fra lo Stimolo e la Risposta si interpongono variabili di lettura soggettiva. Perciò, specie se facciamo riferimento ad un individuo dotato di una consistente maturità esperienziale, e in grado di attivare i processi psichici superiori o secondari, la Risposta conseguente allo Stimolo che l’ha generata non dovrà per forza essere univoca ed universale, ma potrà essere invece caratterizzata da esclusività, originalità e unicità. Tale discorso risulta più valido se facciamo riferimento ad esperienze complesse, dove si intrecciano cognizioni, sentimenti, esperienze, tratti distintivi personali e caratteriali, il livello personale di creatività e di resilienza, attitudini e valori spirituali. A fronte di tutto questo materiale individuo emerge la singolarità di ciascuno, che fa cadere la barba a Darwin e a chi ci ha sempre osservati alla stregua di protoscimmie o nutrie da labirinto sperimentale.

La faccenda comincia a complicarsi, dunque, soprattutto se applichiamo tutto questo alla relazione di aiuto. Liquidata la religione comportamentista, possiamo finalmente rivelare a noi stessi di essere vivi, anche se non possiamo più permetterci di sottrarci al gioco ed al giogo della complessità, e perciò la consapevolezza dell’aleatorietà e dell’imprevedibile deve trovarci aperti e preparati, pronti allo stupore ed alla meraviglia. Questo proprio perche esiste quel filtro, formatosi fra il contatto con lo Stimolo e l’emissione della Risposta, che ci rende unici, peculiari, distinti ed inimitabili; ecco perché credo sia contronatura l’omologazione. Tale filtro, a cui ho fatto appena riferimento, è responsabile della percezione dello Stimolo; ci porta cioè oltre la sensazione semplice dovuta all’assimilazione dello Stimolo, catturato dai nostri organi recettori. Esso infatti è ciò che da la lettura interpretativa al fenomeno dell’esperienza. Quindi, se vogliamo ottenere risultati efficaci insieme alla persona che stiamo supportando in un percorso di crescita, forse dovremmo innanzitutto occuparci del suo sistema di significazione e rappresentazione della realtà, poiché sarà attraverso questo strumento, vivo e palpitante, che l’individuo crea la sua direzione di senso, costruisce la sua scala di principi e genera vissuti che lo determinano come essere psichico. E non risulta certo semplice, per l’appunto, aiutare chi ha montato questo filtro in modo da manipolare inconsapevolmente la realtà, privandosi della possibilità di sperimentare, gioire, conoscere, impiegare il proprio potenziale per autodeterminarsi.

Esiste, del resto, un elenco di distorsioni cognitive, descritte come meccanismi che producono veri e propri errori nel sistema di attribuzione di valore e giusta dimensione ai dati di realtà. L’attivazione di tali “disturbi” (da intendere come interferenze e non secondo un’accezione clinica) impedisce di ritrovarsi su un piano esperienziale maggiormente ricco di significati, e sottrae dunque tensione esplorativa, inibendo l’evoluzione. Tali interferenze fanno parte di un grande calderone cognitivo che lo psicologo americano Albert Ellis chiama Belief System, ovvero un sistema di false convinzioni ed erronee credenze con cui si compiono inferenze ed attribuzioni distorcendo il piano di realtà.

Quindi, non più il modello comportamentista S-R, valido (forse nemmeno) per le tortorelle ghiotte di macine, ma A-B-C, dove l’Activant event funge da stimolo (interno o esterno), che viene elevato ad una personale rappresentazione mediante il Belief system, che giustifica e sceglie una determinata risposta, come Consequence (conseguenza) comportamentale strategica in linea con il significato ascritto allo stimolo originario. Con la differenza, fra l’altro, non proprio sottile ed emarginabile, che le conseguenze generate e vissute possono introdurre modificazioni nel sistema delle convinzioni, nella misura con cui questo si presenta flessibile e disponibile ad ospitare nuove ipotesi di realtà. È su questo aspetto che a mio umilissimo parere si impernia l’efficacia di una costruttiva relazione di aiuto.

Vediamo ora quali sono, in letteratura, le distorsioni cognitive indicate dallo psichiatra americano Aaron Beck:

_ Pensiero dicotomico: Il dualismo che separa ciò che può essere letto in modo integrato. Un ordine morale che divide secondo schemi manicheici di Bene/Male, Giusto/Sbagliato, Bello/Brutto; con precisi canoni di giudizio ritenuti infallibili ed universali.

_ Ipergeneralizzazione: “Siccome è accaduto, dovrà pur di nuovo succedere, e allo stesso modo”. Può essere questo il ragionamento di chi generalizza su fatti e accadimenti, e su dati inerenti anche alle persone: “Poiché quel tipo non si è avvicinato a me dubito che vorrà incontrarmi”.

_ Astrazione selettiva: Si tratta di ignorare aspetti o eventi piacevoli, concentrandosi unicamente su particolari che hanno suscitato vissuti spiacevoli.

_ Squalificare il lato positivo: Ciò che è positivo, anche se non ignorato, viene svalutato, e viene dato maggiore peso alle cose che hanno prodotto frustrazione.

_ Lettura del pensiero: Consiste nell’essere convinti che gli altri stiano emettendo giudizi impliciti di valore negativo verso i nostri confronti, che stiano pensando qualcosa di riprovevole su di noi.

_ Riferimento al destino: È la strategia di chi ha difficoltà a riconoscersi eventuali responsabilità (meritorie o meno) in seno agli eventi della propria vita. Si preferisce attribuire tutto a un fatale futuro già scritto, immodificabile.

_ Catastrofizzare: Imputare eccessivo spessore catastrofico a un evento spiacevole ma gestibile, e relativamente rientrabile in categorie non di esagerato malessere. Frasi tipiche del soggetto, su circostanze non obiettivamente precipitanti: “ È veramente terribile”, “Non ci sarà rimedio” (p. e.).

_ Minimizzare: Le esperienze gratificanti sono ricondotte ad un livello tale da farle perdere il loro spessore positivo. C’è sempre qualcosa che è più importante, al confronto.

_ Ragionamento emotivo: Inferire dallo stato emozionale il valore dell’avvenimento, secondo un rapporto di proposizione del tipo “Se provo questo sentimento X, allora vuol dire che la situazione è Y”.

_ Doverizzazioni: Pensare che tutto debba sempre andare come dovrebbe, come è giusto che sia, secondo le proprie relative categorie. Le espressioni “Si deve”, “Bisogna”, “È bene che”, sono spesso pronunciate dal soggetto che usa tale modalità rigida del pensiero, trasformando legittime aspettative in pretese.

_ Etichettamento: Il soggetto si vede in una cornice identitaria da cui si appiglia addosso giudizi squalificanti sulla persona e non sul comportamento.

_ Personalizzazione: Attribuire esclusivamente a se stessi colpe per errori, mete non realizzate o compiti non riusciti. Individuarsi sempre come inadatti, e come causa di tale inadeguatezza, con tutte le sue conseguenze.

Ecco che, a fronte, di queste corpose teorie sul funzionamento psichico e comportamentale dell’individuo, le nostre congetture possono rivolgersi a quell’area dei processi decisionali della persona, tenendo conto che motivarsi significa quindi, prima di tutto, riconoscere una personale costellazione di motivazioni e bisogni, il cui valore non è per forza di cose prescritto dalla natura o dalla società, ma può essere invece trasceso da un ordine di priorità personale, sovraordinato da quel disegno interiore che ciascuno può scoprire solo quando riconosce come meta principale il raggiungimento della piena espressione autentica di sé.

È questo il focus delicato, e forse non del tutto indolore, che rappresenta la scommessa della validità della relazione di aiuto.

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