Formazione, Counseling o Coaching: un punto di svolta


faccia punto_interrogativoIn un precedente articolo abbiamo sostenuto che un percorso formativo, in alcune sue fasi, presenta inevitabili connessioni con gli interventi di counseling e di coaching.

Il formatore, ad un certo punto dei lavori, non si rivolge più alla sola dimensione logica dei partecipanti ma sollecita anche le loro sfere emotive ed etico/ cognitive. E’ questo il momento in cui agisce da coach e da counselor favorendo il potenziamento dei ruoli ( professionale, sociale, familiare ) e delle risorse emotive/ cognitive/ comportamentali di coloro che operano attraverso quei medesimi ruoli.

 

Già nell’articolo a cui abbiamo accennato ci siamo chiesti in che modo si manifesta, nella pratica, questa connessione tra le tre modalità di intervento a cui ci riferiamo. Una parziale risposta è che tale innesto è esito, e nello stesso tempo origine, di un mutamento della relazione tra formatore ed aula. Vale a dire che il docente metterà in campo, così come chiede di fare agli allievi, le sue componenti emotive ed etico/ cognitive fino a realizzare con gli allievi una relazione non più asimettrica ( Io trasmetto – Tu apprendi ) ma simmetrica ( Io e Te apprendiamo, insieme ).

 

Al fine di non limitarci a trattare il tema sotto un profilo esclusivamente teorico, osserviamo più nei particolari le occasioni concrete di cui il formatore dispone per spingere in questa nuova direzione : la fase delle domande, le simulate e il circuito delle positività ( definizione nostra). Quest’articolo si concentra sulla prima. Simulate e circuito delle positività saranno oggetto di un terzo e conclusivo intervento.

 a)Forme, contenuti ed obiettivi del domandare degli allievi

 Nella fase iniziale del percorso le eventuali domande poste dai partecipanti vertono essenzialmente su aspetti prevalentemente teorici.

Superato questo momento, gli allievi trasferiscono i contenuti appena appresi dall’aula alla loro realtà quotidiana ed elaborano un rapido confronto tra le istanze ( ricerca di soluzioni al problema vissuto nell’esercizio del ruolo) e le risposte che, direttamente o indirettamente, ricevono dal formatore.

La realizzazione, in parte anche inconsapevole, di tale comparazione è segnata da un mutamento della qualità, e direzione, delle domande il cui contenuto non è più, o non è solo, l’elemento concettuale bensì è connesso all’esperienza diretta e quotidiana che ne fa l’allievo. Attraverso il quesito che pone, l’allievo invia al formatore una sua valutazione sull’utilità che quel concetto ha per lui/ lei nella messa in atto del ruolo. Si discutono, dunque, non più la teoria ma la sostanza dell’intero percorso e la capacità del formatore di aderire alla concretezza dell’esperienza quotidiana dei partecipanti. Ciò che il quesito rende sensibile, di fatto, è la relazione stessa tra formatore ed aula. Quest’evento, perciò, non può evitare di sollecitare non solo le dimensioni logiche di allievi e docente ma anche, e di più, le loro componenti emotive ed etico/ cognitive.

Per chi ha qualche conoscenza dell’Analisi Transazionale appare evidente che ora, nella relazione, sono coinvolti sia lo Stato dell’Io Genitore ( in tutti i suoi versanti ) che lo Stato dell’Io Bambino ( anch’esso in tutte le sue manifestazioni ) dei partecipanti al confronto ( incluso il formatore ), con lo Stato dell’Io Adulto ( il fattore prevalentemente logico ) che vigila affinché ogni espressione emotiva ed etica/ cognitiva avvenga nel qui ed ora e sia connessa agli obiettivi del percorso.

Le domande, adesso, contengono in varie forme o critiche ( “ non è questo quello di cui abbiamo bisogno “, “ non è questo quello che accade a noi “ ) o passive adesioni ( “ è vero, è proprio quello di cui abbiamo bisogno “, “ è vero, è proprio quello che accade a noi “ ). In un caso e nell’altro interrogativi ed affermazioni, ora più che in seguito, sono la cornice linguistica in cui si manifestano le emozioni dei partecipanti : la paura di non riuscire a svolgere il proprio ruolo, la rabbia verso la propria incapacità ( presunta ) o verso l’ostilità ( percepita e/ o reale ) altrui, la tristezza per un insuccesso vissuto come definitivo.

E’ questa la fase in cui, in genere, prendono il via giochi ( in senso analitico transazionale ) e manipolazioni che tendono, in maniera del tutto inconsapevole e priva di qualsiasi intento malevolo, alla conferma, da parte dei partecipanti, delle loro paure e resistenze. Il pensiero che tra gli allievi tende ad affermarsi è ora sintetizzabile nell’espressione “ Anche tu non ci capisci “. La loro paura di non farcela, insomma, punta ad autoalimentarsi nonostante la razionale richiesta di uscire dalla impasse.

 

Il domandare, così inteso, costituisce dunque il momento in cui il formatore si gioca il suo rapporto con l’aula: il successo o fallimento dipenderanno dalla sua capacità di tradurre l’elemento emotivo/cognitivo ( anche se oppositivo ) in una opportunità per fare emergere, nei partecipanti, il cuore dell’istanza o in un ostacolo insormontabile in quanto unico e definitivo. E’ il momento, insomma, in cui prevale o la relazione, unico strumento per giungere ad elaborare effettive soluzioni, oppure il giudizio critico e distruttivo. Proprio nel momento in cui tutto il percorso sembra messo in discussione o si realizzano tra docente e discenti alleanza, fiducia ed empatia oppure distanza e reciproco sospetto.

Il domandare, così inteso, è il punto di svolta, se il formatore sa coglierlo, tra la fase della trasmissione del sapere concettuale e quella che rimanda al counseling e al coaching. E’ insomma il momento in cui il docente può cominciare a rivolgersi alla persona.

Gli strumenti per mettere in atto questo ulteriore passaggio li esamineremo, come poc’anzi accennato, nel successivo intervento.

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